Capitolo 13 - Domenica 18 Dicembre

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"Ti piace Francesco Guccini?"

Adel non aspettò la risposta di Sabrina e inserì un compact disc nel lettore MP3 dell'autoradio. Poi pigiò ripetutamente il tasto d'avanzamento dei brani.

"Ha scritto molte splendide canzoni, a mio avviso poesie musicate, ma questa ha un qualcosa d'ipnotico che mi provoca ogni volta delle sensazioni difficilmente descrivibili."

Se la nostalgia avesse un suono questo sarebbe molto simile alla melodia che riempì l'abitacolo, mentre l'auto sfrecciava tra le colline dell'entroterra toscano, imbrunite dal freddo come cartine di tornasole. I due si erano svegliati di buon ora ed erano partiti alla volta dell'abbazia di San Galgano, in perfetto orario sulla tabella di marcia che si erano prefissati. Sabrina era nervosa e da quando si erano messi in moto non aveva spiccicato una parola. Adel la trovava bellissima mentre con lo sguardo fisso sul panorama corrugava la fronte in balia di chissà quali pensieri. Probabilmente pensava al suo futuro con Domenico Montaldo, collassato al ritmo di un'arma da fuoco, inghiottito da pochi buchi nella pelle.

Dopo alcuni minuti la canzone terminò con una strofa scomoda: siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno. Sabrina non l'aveva minimamente ascoltata, ma Adel sapeva come attirare l'attenzione dell'amica.

"Ieri sera ho cominciato a leggere il quaderno di Montaldo" disse.

"Davvero?"

Sabrina era ritornata improvvisamente nel mondo reale.

"Solo le prime pagine, poi mi si sono letteralmente chiuse le palpebre."

"Cosa c'è scritto?", la voce della ragazza tradiva l'impazienza.

"Inizia con un discorso sull'amore..."

Sabrina accennò un sorriso e Adel si affrettò a completare la frase in modo da non generare false illusioni.

"... non l'amore come possiamo intenderlo comunemente, ma l'amore per la verità e la sua ricerca. Montaldo racconta come l'uomo, dall'inizio della sua storia, si sia sempre adoperato per comprendere se stesso e il mondo in cui si trova immerso. Del resto, se ci rifletti, nasciamo completamente privi d'informazioni. È una situazione a dir poco sconcertante, la nostra. Potremmo paragonarla a quella di una persona che si sveglia una mattina in preda a un'amnesia totale. Non sa chi è, non riconosce il suo letto, la sua casa, né le persone che gli stanno vicino. L'unica cosa sensata che può fare è investigare sul suo passato sperando di ricomporre il puzzle e dare nuovamente un valore alla sua vita. Quando i primi barlumi di autocoscienza si affacciarono nelle menti dei nostri progenitori preistorici le sensazioni che devono aver provato quegli ominidi non devono essere state molto differenti. Attorno a loro si estendeva una natura spesso ostile della quale non riuscivano a cogliere l'intrinseca razionalità. Tutto doveva apparire magico, guidato da forze oscure, sovrannaturali. Poi a poco a poco l'uomo è divenuto capace di articolare pensieri e domande, di dare un nome agli oggetti delle sue osservazioni, di indovinare le relazioni che legavano gli eventi tra loro. Fino al punto di fare scoperte, spesso rivoluzionarie, capaci di migliorare la propria esistenza e quella dei suoi simili. C'è stato un giorno preciso in cui un uomo per la prima volta si è chiesto il senso di tutto questo. L'istinto di fare ricerca sembra sia innato negli esseri umani, lo possiamo considerare la reazione fisiologica di un'intelligenza immersa nella propria ignoranza."

"Non riesco a capire se sono parole tue o di Domenico..." commentò Sabrina.

"Sono parole del professore, ma le ho trovate particolarmente familiari..."

"Cos'altro scrive?"

"Continua dicendo che per molti uomini la curiosità, il desiderio di colmare questo naturale stato d'ignoranza, diventa un'esigenza spasmodica, un'ossessione che si fa motore delle loro azioni. I più grandi filosofi e scienziati della storia hanno vissuto questo tarlo interiore, questa necessità di comprendere cosa si cela dietro le quinte dell'assurdo palcoscenico costituito dal mondo. Anche le persone comuni non possono esimersi dal porsi domande esistenziali. Montaldo dice che, di fronte a queste problematiche, esistono diversi approcci messi in pratica dagli uomini. I più tendono a disinteressarsene completamente, dedicando tutte le loro energie ai problemi quotidiani delle loro vite. Queste persone non perdono tempo chiedendosi il motivo della vastità dell'universo o delle sofferenze dei popoli, piuttosto preferiscono fare di tutto per migliorare la loro situazione, al limite appoggiandosi a un culto solo lo stretto necessario a ricavarne un tornaconto. Montaldo definisce questa categoria quella dei superficiali, considerandola, forse non a torto, la più corposa. Accanto ad essa esistono altre due categorie, quella dei credenti e quella dei miscredenti. I primi affrontano il mistero dell'esistenza dichiarandosi esplicitamente incapaci di risolverlo e pertanto delegano a una rivelazione divina l'unica possibilità di illuminare la propria coscienza. Costoro considerano la vita un passaggio, spesso una prova, che ha senso solo in funzione di un mondo immateriale che ci verrà svelato dopo la morte e nel quale comprenderemo il senso ultimo della nostra esistenza. I credenti non considerano questa visione una semplice ipotesi, la vivono come una realtà più schiacciante di qualunque evidenza. La fede che loro ripongono in un'intelligenza creatrice è capace al tempo stesso di lenire il loro bisogno di risposte e di mantenere in piedi il senso del mistero. Nessuna religione, difatti, è in grado di spiegare il significato profondo della vita, ma riesce comunque a dare l'impressione che un senso ci sia. Ed è questo ciò che conta, l'appiglio a cui i credenti possono aggrapparsi per superare le piccole e grandi tragedie della vita."

Apologia dei miscredentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora