Capitolo Quattordici (14)

337 18 2
                                    

Seduta sul sedile sporco e sbiadito del treno osservavo il paesaggio scorrere al di fuori del finestrino. Pioveva a dirotto e non potei fare a meno di constatare che il meteo rispecchiasse perfettamente il mio umore.

Mi sentivo annegare. La sensazione di avere un nodo alla bocca dello stomaco iniziava ad essere insopportabile e i miei occhi, rossi e gonfi, bruciavano per quanto li avessi strofinati con il fazzoletto.

Non sapevo davvero come affrontare l'argomento con Federico, mi pesava tremendamente l'idea di farlo stare male. Io, la persona di cui lui era innamorato e di cui si fidava ciecamente, stavo inesorabilmente per distruggerlo.

Quando la voce metallica diede l'annuncio dell'arrivo alla stazione di Porta Nuova dovetti fare affidamento a tutte le mie forze per alzarmi, asciugarmi nuovamente gli occhi e scendere dal treno.
Mi sentivo talmente smarrita che mi girava la testa, osservavo tutti i dettagli dei posti in cui passavo quasi con la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima volta.

L'aria gelata mi sferzava il viso e mi faceva pizzicare ulteriormente gli occhi. Una volta arrivata davanti il portone del suo palazzo sentii i battiti accelerare e una soffocante sensazione di ansia togliermi il respiro.

Chiusi gli occhi per un istante e con un gesto debole e incerto suonai al campanello. Speravo con tutta me stessa che non rispondesse dandomi così l'occasione di rimandare il disastro che stava per venire a galla. 'Che codarda' pensai scuotendo impercettibilmente il capo, agli occhi dei passanti sembravo senza dubbio una pazza.

-Ale?- la sua voce tenera e profonda, velata di sorpresa, mi riportò velocemente alla realtà. Non si aspettava di certo il mio arrivo, non avevo più risposto a nessuno dei suoi messaggi

-ciao Fede. Posso salire?- sussurrai intimorita sapendo benissimo quanto sarebbe stato impegnativo mantenere l'autocontrollo e fingere che andasse tutto bene da lì in poi.  I miei piani per procrastinare quel momento erano andati in fumo nel giro di mezzo secondo.

Salii le scale con una lentezza quasi fastidiosa per poi infine trovarmelo sull'uscio della porta.
Era bellissimo, bellissimo da togliere le parole. Indossava dei semplici pantaloni in tuta bianchi e una magliettina nera, i capelli lunghi gli ricadevano sulla fronte e il suo sorriso illuminava il pianerottolo più di quanto lo stesse facendo il grande lampadario che scendeva dal soffitto.

Mi avvicinai a lui con passo incerto, poggiandogli poi una mano su una guancia nella quale lui si accoccolò socchiudendo gli occhi

-ciao amore- la voce mi si ruppe inevitabilmente. Ero emozionata e felice di averlo con me, per un secondo dimenticai il motivo vero per cui mi trovavo lì, avrei voluto tanto abbracciarlo e farci l'amore per tutta la notte.

Lui mi tirò a se avvolgendomi con le braccia e facendomi poggiare la testa contro il suo petto. Riuscivo a sentire i battiti del suo cuore accelerati e, con tutta la mia buona volontà, non riuscii comunque a trattenere le lacrime.

Inevitabilmente lui si preoccupò e mi sollevò il viso con il pollice mentre sentivo le sue braccia stringersi ulteriormente attorno alle mie spalle

-Alessia che succede? Inizio a preoccuparmi- il tono della sua voce era lineare mentre i suoi occhi dicevano tutt'altro. Era terrorizzato e glielo si leggeva in viso, non sarei stata in grado in quel momento di confessare ciò che avevo fatto.

Iniziai a muovere la testa in segno di negazione mentre con una mano mi coprivo gli occhi in modo da non farmi vedere da lui in quelle condizioni, sapevo però che non avrebbe mollato la presa così

-ti precipiti a Torino senza avvisarmi, sali nel mio appartamento e scoppi in lacrime. Non venirmi a dire che non hai nulla perché non ti credo- mi sorrise comprensivo accarezzandomi e spostandomi i capelli dietro alla schiena.

UNEXPECTED || Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora