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troppo bello per morire


–Sei sicuro di non voler prendere altro? Ci metterà un po' ad arrivare.– mormorò Jisung, in piedi, appoggiato alla sua moto, Minho vicino a lui.

–No, non importa. Voglio solo andarmene da qui per un po'.– rispose, i capelli intenti a ricadere sui suoi occhi. –Ritornerò presto, suppongo.

Avevano parlato ancora per pochi altri istanti, si erano scambiati qualche sorta di informazione quasi del tutto inutile e superficiale, e poi Minho gli aveva confessato di odiare il suo appartamento. Di odiare di doverci stare costantemente, di non riuscire a fuggire. Jisung non sapeva cosa intendesse il ragazzo con le sue parole di preciso, ma lo aveva ascoltato paziente e gli aveva dato l'opzione di passare un po' di tempo in uno dei suoi appartamenti.

Si era pentito inizialmente di avergli fatto quella proposta, perché non poteva sapere per certo cosa sarebbe successo se lui fosse finito nei guai e Minho fosse stato a casa sua, ma il ragazzo non aveva neppure preso nulla per cambiarsi. Era lì, con il suo cellulare in mano, una giacca lunga e le sue vans rovinate ai piedi.

Jisung aveva dovuto chiamare Chan, perché non avrebbe potuto portare Minho in giro per la città senza un casco da fargli usare. Dunque ora erano lì, sotto al palazzo di Minho, in attesa dell'arrivo del suo amico, il quale lo aveva avvertito poco prima che non ci avrebbe messo più di tanto.

Infatti, quasi a chiamarlo, la sua auto apparve in lontananza, fermandosi con calma sul bordo della strada. Il finestrino dal lato dell'autista si abbassò, un viso familiare per Chan e sconosciuto per Minho apparve davanti ai loro occhi. –Hey!– li salutò. –Guidi tu?– chiese subito, diretto a Jisung.

–Se non mi distruggi la moto.– rispose il ragazzo, un ghigno sul viso.

–Se tu non mi distruggi l'auto.– ribatté Chan, uscendo e facendo il giro della macchina, fermandosi davanti ai due altri ragazzi. I suoi occhi si soffermarono per poco tempo su Minho, rivolgendogli un caldo sorriso. –Io sono Chan.– si presentò. –Sì, lo so, tu sei Minho.– disse poi, ridacchiando. –Non esitare a urlare contro Jisung se guida come un idiota. Per il resto, dovresti sentirti a casa.

Minho rimase in silenzio, domande nella sua testa. Annuì soltanto, osservando Chan mentre si spostava verso la moto di Jisung e seguendo quest'ultimo quando gli fece segno di entrare in macchina.

–Vuoi andare da qualche parte o al mio appartamento?– gli chiese Jisung, tirando un'occhiata alla strada movimentata.

La testa di Minho si girò verso il finestrino, una cintura che lo teneva al sicuro contro il sedile. –Appartamento.– mormorò.

–Okay.– sussurrò Jisung, rivolgendogli un sorriso che però Minho non avrebbe visto.

Quando arrivarono a Gangnam, Jisung fu felice di trovare il suo appartamento in condizioni decenti, senza Changbin ad inquinare l'aria con fumo o altro disordine causato da qualcun altro. Richiuse la porta alle sue spalle, facendosi seguire all'interno da Minho e pensando ad un modo per riuscire a farlo sentire a casa.

Era tutto così assurdo. Aveva incontrato Minho solo due giorni prima, non poteva fidarsi di lui totalmente, ma ora era a casa sua.

–Vieni con me.– disse Jisung, una volta lasciate le sue scarpe all'entrata e aspettato che Minho lo imitasse, facendogli segno di seguirlo con un sorriso e muovendosi con calma verso la sua camera.

Come si aspettava, a quell'ora della mattina, dei forti raggi di sole entravano dalla finestra, proiettando strisce chiare e ombre scure sulla parete vicino al letto, dando più vita a quel posto di quanto ne avesse solitamente durante la notte. Il letto era ancora sfatto e nell'aria c'era ancora un leggero odore di fumo, ma molto meglio della sera precedente. –Puoi sederti sul letto. Torno subito, okay? Provo a vedere se c'è qualcosa da bere.– mormorò, svanendo dalla stanza prima di poter essere fermato.

grafite e diamanti | minsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora