Capitolo 34.

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Mattia.

Solo.

Ancora una volta nella mia vita sono rimasto da solo.

Bevo le mie stesse lacrime, credendo di potervici annegare da un momento all'altro.

Come scosso da un momento di piccola lucidità mi guardo intorno e noto che ci sono una serie di visi che mi stanno fissando.

Non sono umani, sono semplicemente scatti di momenti felici con Ludovica e con i miei amici.

Li guardo spostando gli occhi ritmicamente da un quadro all'altro.

Mi osservano.
Mi giudicano.
Mi odiano.

Porto le mani alla testa, stringo forte le tempie ed inizio ad urlare, come per rispondere a tutto ciò che mi sta accadendo.

Urlo fino a che la voce non mi muore in gola ed un bruciore vivo mi attraversa il corpo.

Provo ad urlare ancora, ma non esce più niente.

Anche la mia voce mi ha lasciato solo.

Scuoto la testa credendo di essere impazzito, ed inizio a muovermi lungo tutto il perimetro della stanza, dondolando ritmicamente da un piede all'altro.

Quando arrivo sotto una foto completamente bianca, porgo l'attenzione su di essa.

Attaccato al quadro c'è un biglietto che dice solo :
[É l'ora del nostro tatuaggio, qui ci andrà la foto che ci faremo tra poco] .

Quanta ironia in quelle parole.

Dovevo trasformare il mio tatuaggio in qualcosa di opposto al suo significato attuale, mentre ora, il significato originale non potrebbe essere più vero.

SOLO.

È quello che sono e che sarò per sempre.

Porto una mano sul mio collo ed in un gesto deciso, con le unghie né tratteggio l'inchiostro indelebile.

Indelebile come la mia solitudine.

Striscio le unghie così forte che avverto subito un bruciore alla pelle, e noto che le mie dita sono sporche di sangue.

Bene.
Almeno non sono morto.
Il sangue pulsa ancora nel mio corpo.

Con le mani ancora sporche di sangue, ed il cuore che martella per il dolore che sento al collo, ma soprattutto al cuore, decido di dover andare via.

Esco da quel luogo che mi è diventato stretto, e cammino per la città non badando alla pioggia che scende copiosa e mi bagna i vestiti.

Cammino non so per quanto tempo, e mi ritrovo, senza volerlo sulla tomba di mia nonna.

-Come ci sono arrivato qui? - mi domando mentalmente, mentre mi inginocchio di fronte a lei ed inizio a singhiozzare.

"Nonna perché la mia vita fa così schifo? Perché non posso essere felice per più di qualche giorno?" sussurro, tenendo la testa poggiata al marmo freddo e bagnato.

"Ti prego, parlami.
Io non posso accettare che Celine sia morta e lo abbia fatto per dare alla luce un bambino di cui non so niente. Non posso amarlo, sapendo che lui ha procurato la morte della donna che ho amato per anni".

Parlo come se potessi avere una sua risposta da un momento all'altro.
Parlo come se potesse davvero sentirmi.

"Ti prego nonna, dimmi che sto facendo la cosa giusta. Dimmi che Ludovica e tutti gli altri stanno sbagliando. Dimmi che lo capiranno e torneranno da me. Tutti tranne Celine e quel bambino, loro non li voglio".

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