era iniziato Dicembre da poco, tu con i tuoi soliti guanti neri senza dita, io con un cappellino di lana grigia abbastanza discutibile.
«ma tu non capisci, io devo andare al cesso.» mi guardavi con un'espressione distrutta mentre io, seduto al mio posto, continuavo a disegnare sul banco.
«allora vacci.»
«tu la fai facile, ma i bagni di questo cesso di scuola sono il Vietnam con tutti i flashback in omaggio.» mise di scatto una mano sulla pancia, «lo sento scalciare Tom, è vivo.»
girai gli occhi al cielo, «esagerato. Suona fra un'ora e mezza, puoi sopravvivere.» ma tu non mi ascoltasti, tirasti semplicemente fuori dalla tasca il telefono, iniziando a digitare chissà che cosa. «ma che stai a fa'?»
«decido la monocromia per la stanza del mostro che partorirò uscito da qui.» poi sospirò, «sto scoppiando ed ho chiesto a mia madre di venire prima, tanto oggi stava a casa.»
annuisco tristemente; avrei voluto averti qui fino alla fine, ma è okay, pensavo lo fosse. Ma appena te ne andasti, iniziarono tutti a parlare l'uno con l'altro, facendomi sentire abbastanza solo. Portai lo sguardo sul banco, scarabocchiando qualche volto qua e là, cercando di eliminare quell'orribile sensazione di vuoto. Finché un tizio, probabilmente di nome Francesco- troppo insignificante affinché io possa ancora ricordarlo, si voltò verso di me facendo girare anche la sedia sulla quale sedeva, poggiando i gomiti sul mio banco.
Alzai lo sguardo confuso, ma lui prontamente mi sorrise: «Allora Tommaso, posso chiamarti Tom, vero?» senza darmi il tempo di rispondere continuò a parlare «allora Tom, me la dici una cosa?»
«cioè?» chiesi con tono basso. Non avevo paura di quel coglione, non ne ho tutt'ora, ma qualcosa dentro di me mi impediva di sentirmi al suo stesso livello. Come se io stessi sempre dietro a tutti, costantemente un passo indietro. Vorrei poter dire che le cose siano cambiate. Mentirei se lo facessi.
«io- ma in realtà tutta la classe, ci stavamo chiedendo se fra te e Michael, come dire, c'è qualcosa. Sei, tipo, gay?»
mi venne un groppo in gola ed arrossii come risposta «cosa-! no! assolutamente no!»
«no ma guarda, io e gli altri non ci troviamo nulla di male, però se sei frocio lo dobbiamo sapere.»
improvvisamente, sentii mille sguardi puntanti su di me, su quel microcefalo che fino a poco prima, per ben cinque anni, hanno ignorato l'esistenza. Iniziai a sentirmi affogare, come se il fiato potesse smettere di mancarmi da un momento all'altro. Non erano affari loro come io volessi identificarmi, non era loro compito discutere della mia sessualità come si discute delle serie tv al pub. Ma per quanto fosse sbagliato, lo fecero ed io ero impotente davanti a quella sensazione.
Andai nel panico.
«io di certo non lo sono.»
«quindi tu non lo sei, ma Michael?»
Scusa scusa scusa scusa.
«ti ho già risposto.»
ci pensò un po' su, poi esordì con un "oh!" seguito da un sorriso, «ho capito. Grazie Tom.»
Scusami Mike.

STAI LEGGENDO
I tuoi guanti
Teen Fictionhai sempre messo i guanti per non toccare la mia mano, ed ora che ci penso fa male anche respirare. Perché mentre io mi mettevo a nudo, tu coprivi sempre più strati di pelle. Ed era un centimetro in più ogni qualvolta stavamo insieme; un centimetro...