Chapter 5: To Punish Himself

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Rimango lì, impalata, ancora non metabolizzando cosa è appena successo, insieme al mio respiro irregolare e il battito cardiaco un po' troppo elevato.

Fisso intensamente le porte di quel maledetto ascensore, e poi li sposto su quelle di vetro dell'uscita, provando una profonda voglia improvvisa di scappare da questo posto.

E la prendo seriamente in considerazione, quell'idea, ma poi realizzo che ormai sono qui, con i miei figli, per il matrimonio di mio fratello, e non posso farlo. Anzi, potrei, ma mi impedisco di scappare mentalmente, perché ferirei un'altra volta Jacob, e non lo posso permettere.

Quindi, dopo aver ripreso a respirare in modo normale ed essermi, per quanto possibile, calmata mi dirigo nella direzione dove ho visto andare tutti prima, con il bisogno di abbracciare i miei figli.

Esco dalla hall, attraversando un'artistico arco che porta direttamente nella parte esterna dell'hotel, dove sono presenti delle enormi piscine che sono direttamente affacciate sul mare hawaiano.

Riesco a trovare gli altri molto facilmente, anche perché sono un gruppo di una ventina di persone appostate davanti a un bar a forme di capanna di paglia, attorno a due piccoli bambini che stanno ridendo delle facce buffe di quello che riconosco anche da lontano come il mio vecchio amico Harry e la mia amica Celine.

Mi sorprendo a vedere quella scena: entrambi i miei figli sono sempre stati dei bambini molto taciturni e diffidenti riguardo agli estranei, ma con la presenza della mia famiglia sembrano aver acquistato una particolare brillantezza che non avevo mai visto su di loro.

Quando mi vedono, lasciano quello che stavano facendo e mi corrono incontro, tanto che pur di abbracciarli, mi abbasso sulle mie ginocchia, e li stringo a me.
«Hey, piccoli, sto bene tranquilli» accarezzo loro le teste, stringendoli più che posso al mio petto, cercando di tranquillizzarli. Mi abbracciano in questo modo solo quando sono preoccupati per me.
«Chi era quell'uomo, mamma?» chiede Hunter, dopo che entrambi si sono staccati e allontanati da me di alcuni centimetri.

Il vostro vero padre, dovrei dire. Ma, ricacciando indietro le lacrime, mi convinco a dire «Nessuno di importante».
Sorrido, nonostante la consapevolezza di ciò che è successo soltanto cinque minuti fa mi stia colpendo in pieno, solo per il loro bene e per mantenerli tranquilli.

Ma dentro di me, una tempesta di sta scatenando, di rabbia e vergogna, per essermi fatta abbattere così facilmente da lui, e dalla sorpresa di rivederlo.
La prossima volta, perché so che ci sarà una prossima volta anche se non vorrei assolutamente, gli griderò e butterò addosso ogni cosa, non so per distruggerlo o per vendetta, ma non mi farò di nuovo sopraffare.

Non me lo posso permettere. Uno, per una questione di orgoglio, e due perché lui è nel torto, e non posso lasciare che vinca in questo modo, soltanto perché ho ancora un fottutissimo debole nei suoi confronti.

Ma prima di pareggiare i conti con lui, ho da chiarire qualcos'altro con i miei fratelli.
Infatti, quando i miei figli si separano da me, mi alzo e rivolgo lo sguardo più freddo che io sia capace di fare verso di loro, che piano piano smettono di sorridere e si trasformano nella serietà fatta persona.

Micheal e la sua chiamata dal tempismo peggiore del mondo possono aspettare.

«Dobbiamo parlare» ringhio verso di loro, tutta la dolcezza che mi aveva invaso pochi minuti prima con i miei figli svanita nel nulla «Tutti e tre. Subito» ordino. Mi prendo pochi secondi per rivolgere uno sguardo eloquente a Celine, per assicurarmi che i miei gemelli non sarebbero rimasti soli, e poi volto le spalle a tutti, sapendo benissimo che i miei fratelli mi stanno seguendo. Anche perché sennò sarebbero stupidi a non farlo.

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