Chapter 6: You can't

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«Ciao, amore» mi risponde Micheal, dall'altro capo del telefono, a migliaia di kilometri di distanza da me e dai suoi figli, con la sua voce allegra, dopo pochi squilli del telefono.

Sono nella camera che mi è stata affidata dall'hotel, ed è da circa mezz'ora che mi sto impegnando a mettere tutto ciò che ho portato con me nelle valige, sia mie che dei miei figli, ordinatamente nei vari armadi.
È una stanza d'hotel particolarmente lussuosa: ha due camere da letto, una mia è una per i miei piccoletti e due grandissimi bagni.

Guardo svogliata tutti i vestiti che mi sono portata, sparsi sopra il mio letto king-size di vimini con un materasso semplicemente morbidissimo, e decido che forse è meglio che risponda al mio interlocutore.

«Hey, amore. Tutto bene?» gli chiedo distrattamente, mentre tento il telefono sulla spalla lasciata scoperta dal vestito nero con lo scollo a barca, senza spalline, aderente e corto fino a metà coscia, mentre tento di suddividere i vari abiti in pile ordinate.

«Oh si, va benissimo, amore. Oggi ho fatto un grande affare!» esclama, con una voce più felice del solito, che ho sentito molte poche volte quando ero a casa.
«Wow, tesoro, sono così felice per te. Te lo meriti» gli dico, ma solo dopo mi accorgo di quanto queste frasi possano essere di circostanza.

Perché Michael non mi fa vibrare il corpo con la sua voce?

Scuoto la testa, confusa da quella vocina nella mia testa, e continuo a sentire la voce di lui al mio orecchio che comincia a parlare e parlare di questo suo grande cliente.
Riesco a cogliere solo l'ultima frase.
«... quindi ancora per un po' non posso raggiungerti là, amore, devo prima finire l'affare, capisci?»

Improvvisamente mi fermo, da tutto quello che stavo facendo, e comincio a respirare profondamente, in silenzio, per calmare i nervi.
Da una parte per sono felice: almeno lui non vedrà Dylan ancora per un po'.
Dall'altra penso ai miei figli. Gli manca la persona che loro chiamano padre, che pensano che sia loro padre, e ne hanno bisogno.

Io ho bisogno di aggrapparmi alla presenza di Michael. Non perché ne sia innamorata, quello credo che non succederà mai. Ma perché è l'unico appiglio reale all'illusione che mi sono creata della mia nuova me, è l'unico appiglio a cui io possa rivolgermi per non cadere nella realtà che è la mia vera vita.

Quella che appartiene a lui. Quella che è fatta di sangue e tradimenti, ma anche quella che è riuscita a farmi smettere di sopravvivere e cominciare a vivere sul serio, nella realtà. Quella senza vita, famiglia e marito perfetto, senza buone maniere, senza cene di lavoro e sorrisi falsi.

Quella in cui annego nell'oceano di lacrime che ho versato, ma dove mi salvavo sempre negli scogli fatti di sorriso dedicati solo a lui e alla mia vera famiglia.

«Mh, okay, si ti capisco perfettamente» sorrido tristemente, provando un grande senso di angoscia.
Alla fine, dovrò supportarmi e affrontare questa nuova sfida da sola, come ho sempre fatto.
«Amore, sei arr..» comincia a dire ma io lo interrompo subito, stanca e soprattutto non volendo più parlare con lui di niente.
«No, tranquillo, non sono arrabbiata. È giusto che tu pensi al tuo lavoro. Ci sentiamo domani» non gli do nemmeno il tempo di rispondere che gli attacco in faccia.

L'avevo già capito da un po' ormai.
La passione c'è stata, all'inizio, ma io ero sola, in preda agli ormoni dopo aver partorito, e non mi sarei mai concessa a lui se non in quelle circostanze. Poi, dopo averlo fatto, avevo intenzione di scappare nuovamente, ma lui mi ha proposto una casa, una situazione economica stabile e, soprattutto, una figura paterna per i miei figli. Come potevo non accettare?

Tutto ciò che ho fatto, è stato per i miei figli.
Solo ed unicamente per i miei figli: per assicurare loro una bella infanzia, una famiglia, una bella casa, tutti i vizi che volevano, un futuro.

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