Chapter 17: Fuck, I Hate Her

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Fin da quando ne ho memoria, sono sempre stata una persona rancorosa. Ho, fin da piccola, sempre pensato che avercela con una persona che ti ha recato dolore, o che ti ha fatto qualche torto, sia giusto.

Perché non dovrei? Il "perdonare" una persona dopo un torto subito non è mai stato un mio tratto caratterizzante, e non credo che lo diventerà in futuro. Perché dovrei mai perdonare qualcuno che mi ha inflitto un danno, fisico, psicologico o sentimentale che sia?

No. Non sono fatta per queste cose.
Il rancore per me è sempre stato ciò in cui si trasformava la mia rabbia repressa verso la persona in causa, ed è ciò che mi ha sempre spinto a non fermarmi mai e a completare passo dopo passo i miei obbiettivi, fino alla fine. Ed è quest'ultimo che mi spinge a fare quello che sto facendo tutt'ora, o meglio dire quello che sto pianificando di fare.

Ma il rancore per me è anche quella scarica di adrenalina per i tossici dopo una tirata di cocaina. Mi spinge a fare cose che superano di gran lunga la mia razionalità, la quale non è mai stata una mia particolare amica, scavalcandola completamente, e portandomi a compiere azioni reputate da molti irragionevoli e fuori dal normale. A volte anche degne di una psicopatica, o peggio, di una sociopatica.

E quando, dopo aver aperto la porta della stanza, mi ritrovo davanti Bella Thorne che sta acconciando la mia migliore amica, quella morsa allo stomaco di rancore puro e selvaggio mi attanaglia, prendendo il sopravvento sulla mia vena, solitamente, fredda e scostante, che mi permette di sottomettere e distruggere le mie prede con fierezza e gelo d'animo.

Appena la vedo, tutta la rabbia provata verso di lei quando architettò quel piano infantile e inutile per farmi credere che Dylan fosse tornato con lei dopo una delle nostre litigate in modo da farci lasciare, e che per poco ha avuto successo, riemerge. Moltiplicata per cento.

Istintivamente, la mia mano, ancora aggrappata saldamente alla porta, spinge quest'ultima con una forza che non sapevo di possedere, facendola sbattere violentemente contro il muro e provocando un frastuono così forte da far girare tutte le presenti verso di me, compresa lei, che appena inquadra la mia faccia rossa dalla furia che sto provando, indossa un'espressione di dolce e puro terrore, di cui mi beo con tutte le cellule del mio corpo.

«Ma chi si rivede» dico, gelida, ma con un sorriso malefico stampato sulle labbra.

Dylan

Appena Iris scompare e chiudo la porta, mi giro e ci appoggio la testa, con gli occhi chiusi, in modo da concentrarmi al massimo sul suo ancora presente profumo, che continua ad aleggiare nell'aria della mia stanza.

Ancora non riesco a realizzare.
Realizzare il fatto che ho potuto avere l'occasione di toccarla di nuovo, di riaverla tra le mie braccia, assaggiarla, venerarla, parlarle di nuovo e inalare profondamente il suo profumo.

Solo in questo momento, mentre sono da solo, accompagnato unicamente dal fantasma di Iris che è rimasto chiuso qui con me nei miei ricordi, mi accorgo che quel peso sul petto è quasi del tutto sparito e che respirare non mi costa più così tanta fatica quanto faceva qualche giorno fa.

E sorrido al pensiero.

Apro poi gli occhi, e guardando quelle lenzuola scombinate il mio sorriso si allarga ancora di più. È stato fantastico, quasi ultraterreno ciò che è successo da qualche ora a questa parte su questo letto, e già non vedo l'ora di riavere Iris un'altra volta tra le mie grinfie per sfinirla nuovamente come è accaduto oggi.

È così cambiata.
Questo suo lato insicuro e arrendevole è stata una rivelazione per me. La prima volta che ci siamo ritoccati tremava da capo a piedi, e io ne sono rimasto da una parte sbalordito ma dall'altra perversamente estasiato: la prossima volta che ce l'avrò a mia completa disposizione, non mi fermerò davanti a niente pur di scoprire qualsiasi sua nuova sfaccettatura.

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