CAPITOLO V

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"Tu non ci vai, tiene capite?". Siamo rientrate in cella dopo cena e Nad mi sta ripetendo da mezz'ora la stessa frase.

Purtroppo non è un discorso molto avvincente dato che sta parlando praticamente da sola, io mi limito semplicemente a sbuffare.

Silvia non ci sopporta più e ha deciso di seguire la strada del silenzio da quasi cinque minuti, ma anche lei non è stata da meno.

"Tu 'o vuo' capì ca chielle è nu camorrista?."

Distolgo lo sguardo dal panorama fuori dalla finestra per guardarla stranita.

Un camorrista? No impossibile.

"Tiene capite appost, Ciro Ricci non è la persona che tu credi che sia o che lui ti ha fatto credere. Tu nun te muovi e cca, iss putesse farti e tutt'. "

Ciro è figlio di uno dei boss più potenti di Napoli.

Ma come ho fatto a non capirlo prima? Il suo modo di atteggiarsi, il suo credersi padrone del mondo e persino il suo modo di vestirsi sono propri di uno stile di vita mafioso.

Mio Dio.

Mi massaggio le tempie,con due dita,illudendomi di mettere pace a tutta questa confusione che ho nella testa.

Cosa devo fare?

Andare significherebbe fargli credere che io stia ai suoi comandi e allo stesso tempo non presentarsi significherebbe che io abbia paura di lui.

Perché non è cosi? Mi ricorda la mia coscienza.

Non sono solita giudicare un libro dalla copertina, ma tutta l'agitazione di Nadizta e gli avvertimenti di Liz mi fanno pensare. Per non parlare delle minacce di quella stronza di Viola.

Sto facendo avanti e indietro dalla finestra alla porta della cella quando ad un certo punto le luci generali si spengono dando spazio a quelle notturne. Segno che Lino da qui a momenti verrà a prendermi.

Guardo Nad e poi Silvia e faccio un lungo sospiro.

Sentiamo la porta d'ingresso aprirsi e dopo qualche secondo la figura di Lino si palesa davanti alla nostra cella.

"Avanti, jammungen" mi dice visibilmente agitato.

Non so cosa fare. Guardo un'altra volta le ragazze sperando che ad un tratto possano aver cambiato idea, avere la loro approvazione mi farebbe sentire più sicura.

"Nun tenimme tutta 'a notte piccerè."

Mi avvicino alla porta della cella aspettando che Lino la apra.

"Si' proprij na capa e cazz" vedo Nad correre e chiudersi in bagno sbattendo la porta.

Silvia mi sibila un "stai attenta" in napoletano e poi voltandomi finalmente esco.

Io e Lino percorriamo i corridoi e le scale, questo tragitto che di solito dura massimo trenta secondi sta diventando un'agonia.

Le mani hanno iniziato a sudarmi e il cuore sembra voler sfondare la gabbia toracica.

Sto sbagliato tutto, devo tornare indietro. Mi fermo improvvisamente poco prima di entrare per la porta che conduce alla sala comune.

"C faje, è meglio pe te se entri, ti aspettando da dieci minuti."

Cosa saranno mai dieci minuti? Per un mafioso un buon motivo per uccidere.

Mando giù un groppo di saliva e apro la porta.

Lo vedo seduto su uno dei divanetti in pelle sgualcita mentre chiude quella che ha tutta l'aria di essere una canna. È vestito completamente di nero, l'unica cosa che dona un po' di colore al complesso è una giacca di colore rosso.

𝐋𝐚 𝐯𝐨𝐜𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥'𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 //𝐂𝐈𝐑𝐎 𝐑𝐈𝐂𝐂𝐈Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora