6. Fuori dal tunnel

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Dodici febbraio 2017

Casa Rocher

Ore 19:00

«Vado a preparare la cena» disse Sarah, sospirò felicemente e, col sorriso ancora stampato in faccia, continuò: «Mi mancava tutto questo!»

Strisciò il corpo verso il bordo del letto, sedendosi, e spinse i piedi dentro le ciabatte; ancora nuda, fece scivolare un braccio verso Phill, il quale, appagato, la osservava; la donna si chinò su di lui per baciarlo dolcemente. Lui poggiò lo sguardo sulla parte centrale del braccio di Sarah, era talmente sottile che lo impugnò. Passò il pollice sui buchi anneriti nei contorni, la pelle era ancora più chiara in quella parte ma, allo stesso tempo, più arrossata per le piccole ferite.

«Se smetti si cicatrizzano presto, nonostante il tempo e la quantità di punture, non c'è ancora un'infezione, dovresti provare» sussurrò speranzoso.

Sarah tirò col naso, arricciandolo, il suo sorriso sparì e, facendosi seria, scese dal letto.

Phill calò a picco le pupille degli occhi, come se stesse dando un'ultima occhiata a quel corpo tanto fragile e magro, prima di voltarsi dall'altro lato e dare le spalle alla donna che, nel frattempo, si era messa la vestaglia. Sarah uscì dalla stanza in silenzio, mentre l'uomo richiuse per qualche istante gli occhi.

Svegliato dal rumore di pentole dal piano di sotto, si mise seduto sul letto e osservò il grande specchio ovale accanto l'armadio. Scostò le coperte e si vestì. Lentamente si avvicinò al legno intagliato che attorniava il suo riflesso, quello specchio ad altezza d'uomo, tenuto in piedi da una forte asta di legno nella parte posteriore, apparteneva a sua madre.

 Lentamente si avvicinò al legno intagliato che attorniava il suo riflesso, quello specchio ad altezza d'uomo, tenuto in piedi da una forte asta di legno nella parte posteriore, apparteneva a sua madre

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Ventisette anni prima

Hay River, Canada

Casa Rocher

Venti novembre 1990


Phill sporse la sua testolina dalla porta, osservò la madre, coperta da una larga vestaglia di colore bianco. Stava in piedi di fronte al suo specchio ovale. La pancia era tanto sporgente da vedersi bene nonostante la leggerezza della stoffa. Ada portava la sua mano sui capelli raccolti, a voler sistemare quel suo già perfetto chignon. Le sue lunghissime ciglia scure sembravano essere pittate, ma il suo viso era naturale e mai truccato. Il flebile rossore in viso sembrava darle già la lucentezza del fard e le sue labbra, a forma di cuore, non necessitavano di rossetto, tanto erano rosee. Il suo fisico asciutto si perdeva dietro quell'enorme pancia, pronta a sfornare una pargoletta di nome Melissa.

«Amore mio, entra, perché stai alla porta?» disse lei con la sua soave e dolce voce.

Il dodicenne allora entrò e, sorridendo, disse: «Sei così bella, mamma, sembri un angelo.»

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