Capitolo 21. Universo di rimpianti (pt.2)

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Silent voices to a distant crowdI'm still singing but there's no one aroundI keep screaming 'til by lungs run outBut no one listens, no more words coming outNumb- Dotan

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Silent voices to a distant crowd
I'm still singing but there's no one around
I keep screaming 'til by lungs run out
But no one listens, no more words coming out
Numb- Dotan

Indietro nel tempo

Stavo soffocando. Sentivo la pelle tirare mentre la gabbia toracica sembrava restringersi. I miei occhi spalancati osservavano la figura che si rifletteva nello specchio. Capelli intrecciati in una corona di fili vermigli, guance arrossate, labbra che celavano il panico che si diffondeva in me. La pelle sembrava andare a fuoco. Sentivo ogni cellulare riscaldarsi causando una terribile sensazione, come se stessi sudando. Feci dei respiri lunghi e profondi, proprio come mi aveva insegnato la psicologa.

«Signorina Wilkinson, tra otto minuti deve salire sul palco» mi avvertì la voce di uno dello staff. No, vi prego no. Non ci volevo salire su quel palco. Fatemi fare tutto, ma non fatemi esibire. In quel momento preferivo passare due ore a risolvere un problema di matematica, piuttosto che salire sul palco e suonare. Ed io detestavo la matematica. Se per la musica ci mettevo un secondo a comprendere uno spartito e a riprodurlo, con la matematica ci impiegavo ore a comprenderla. Ma in quel momento preferivo dover guardare e risolvere una fila di numeri piuttosto che guardare ed eseguire una fila di note.

«Non voglio uscire» proferisco con la voce carica di nervosismo.

«Per l'amor del cielo, signorina Wilkinson!» esclamò l'uomo dall'altra parte della porta. «Non vuole uscire, vi rendete conto?» disse ai suoi colleghi, anche loro mi aspettavano dietro la porta.

Ero chiusa dentro il camerino da mezz'ora. Arrivata a teatro ero pronta ad esibirmi come la prima volta. Avevo provato per giorni interi il sonetto che avevo preparato per quella grande occasione. Ma quando avevo sentito uno dello staff affermare che in sala c'erano più di cinquecento persone ad aspettarmi avevo sentito il respiro mancarmi. Dopo anni che non mi esibivo, dovevo farlo per cinquecento persone? Assolutamente no. Non ero pronta, non avevo provato abbastanza.

Mi passai la mano sulla fronte e vidi le dita umide. Sentivo di star affogando. Feci un respiro profondo, incrociai le braccia e posai le mani sulle spalle. Poi chiusi gli occhi e iniziai a darmi prima due colpetti sulla spalla sinistra e poi due su quella destra.

Proseguii così finche non sentii il respiro regolarizzarmi e il nervosismo dissolversi. Eppure, il desiderio di scappare e lasciare tutto rimaneva ancora cucito sulla mia pelle. Suonare non era mai stato qualcosa di così complicato.

Io amavo suonare ed esibirmi, ma da troppo tempo sembrava uno sforzo immane. Osservavo la figura riflessa nello specchio e avevo paura. Lei mi faceva paura. Chi era quella persona che avevo di fronte? Che cosa le era successo per diventare così spenta?

Guardavo i suoi occhi e non ci vedevo nulla se non il panico. Il suo cuore stava battendo così velocemente che avevo paura che schizzasse via. No, non il suo cuore.

Sto fra le stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora