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Dirigo Ell verso la mia scrivania e le faccio cenno di accomodarsi sulla sedia rossa accanto alla mia bianca.
- Allora cominciamo... Cosa non hai capito di questo argomento? - dico mentre mi accorgo che so già la sua risposta, cioè niente.
- Beh, in verità non riesco proprio a capire la matematica, ma cosa ci sarà mai di bello? Voglio dire, è così facile sbagliare, confondersi... perciò non ho capito nulla... - replica un po' imbarazzata, guardando in basso. Devo ammettere però che mi fa piacere averla vicino a me e, con gli occhi che trasmettono un po' di insicurezze è ancora più attraente. I capelli le cadono sul viso e cerca di portare una ciocca dietro l'orecchio mentre prende la matita dal suo zaino in mano.
- Tranquilla, provo a spiegartela io. - dico con il cuore che trema.
Comincio a sfogliare le pagine degli esercizi, fino a quando non arrivo a quelli basilari.
- Facciamo... l'esercizio 363, è semplice, basta concentrarsi. -
Trovo molti errori nel suo svolgimento e la correggo, cercando di farle capire dove sbaglia, è difficile concentrarsi perché dentro a quegli occhi vedo troppo e sono troppo per me. Vorrei conoscere ogni piccolo spiraglio che attraversa quelle sue iridi e tutti i sui sentimenti o emozioni. Quando però passiamo a quelli successivi sembra aver capito.
- Brava! È così che devi fare! Dai, facciamo una pausa, vuoi qualcosa da mangiare...? - alle mie parole arrossisce e io provo una punta di fastidio alla bocca dello stomaco, perciò mi affretto a guardare in basso un po' impaurito. No. Non... Posso. Cedere. Stringo i pugni, in preda al panico.
- No grazie mille. - risponde sicura con le guance rosse. Le arriva una notifica dal cellulare così lo prende e legge il messaggio.
- Mia madre non tornerà a casa prima delle 11 di sera, esce con delle sue amiche che non vede da tempo... -
- Allora è un buon motivo per rimanere a cena da noi, non credi? -
- Non voglio disturbare... -
- Ellison - la guardo mentre le prendo la mano e la porgo in mezzo alle mie.
- Tu non disturbi mai. - la vedo socchiudere le labbra in preda al panico, respira forte e velocemente, sbattendo le ciglia in modo frenetico.
Decisa, prende il telefono e scrive un semplice 'ok' alla mamma, per poi togliere la suoneria in modo da concentrarsi meglio.
Ottimo (per modo di dire) lavoro Nicolas, si riaprono le danze.

Ellison
Dopo un pomeriggio intero a studiare, finalmente sono soddisfatta, penso di aver capito più o meno tutto, ma dobbiamo ancora lavorarci. Prendo il cellulare e apro Whatsapp. Oh, porca miseria. Mi sono arrivate 13 chiamate da Alex e un centinaio di messaggi, tutti uguali.
/Sono entrato nel bar per farti una sorpresa, ma tu non ci sei./
Oppure:
/Ellison, mi rispondi? Perché mi hai mentito!?/
E ancora:
/Sono preoccupato!/
Per non parlare dei miliardi di messaggi lasciati in segreteria, che nemmeno apro o ascolto.
/Alex c'è stato un cambio di programma, tranquillo./
/E allora dove sei!??/ risponde subito. Riesco a percepire la sua espressione e il modo in cui digrigna i denti, pallido in volto, pur non essendo lì e il suo respiro che diventa sempre più affannato. Non voglio dire la verità ad Alex, perché so già che combinerei un casino con lui, con la mia famiglia a cui non piace per niente Nicolas e per di più, la quale mi dice sempre di starne alla larga ed io tassativamente li ignoro.
Decido quindi di non rispondere e di riporre sul letto di Nicolas il mio telefono.
- Andiamo a mangiare? - mi chiede quando noto che ormai il sole non c'è più ma ha lasciato solo pochi colori che tra poco verranno coperti dalle tenebre. Mi alzo mettendo le mani nelle tasche posteriori dei jeans e mi volto verso la finestra.
- Va bene. Però prima... posso chiederti un favore? - prorompo voltandomi velocemente verso di lui, già intento ad aprire la porta con la mano appesa alla maniglia.
- C...certo dimmi. - mi chiede con lo sguardo molto perplesso e attento.
- Posso uscire nel balcone per vedere il tramonto? - Alla mia richiesta sorride lateralmente e si dirige verso di me sfiorandomi la spalla con il calore che emana passandomi vicino. Apre la finestra e i colori si fanno più intensi. Nel balcone c'è una sdraio per il sole e un tavolino con un ombrellone aperto. Mentre è intento a chiuderlo, io rimango come folgorata davanti al cielo; il viola si mischia con il verde, con l'arancione e il giallo, il blu e l'azzurro, il rosa crea mille sfumature entrando nelle varie sfumature. Ma non riesco a concentrarmi perché una sensazione mi tormenta: sento il suo sguardo scivolarmi addosso come l'acqua che tanto amo della doccia o come la pioggia e questo mi provoca un leggero smarrimento. Si avvicina a me con passo lento e quasi dolce e si ferma dietro di me. Il battito del mio cuore accelera e con i polpastrelli delle dita mi disegna una figura nella schiena.
- Indovina cosa ti ho scritto. - sospira con un filo di voce vicino a me e rimango immobile per sentire sia le sue mani che il suo respiro ma, nonostante i miei tentativi non riesco a capire le sue parole mute sulle mie scapole.
- Riprova. Non capisco. - tutta rossa in volto, ormai non sento più neanche i brividi di inizio sera.
E lui ritenta, delicato, dolce e docile come un cucciolo indifeso che vive dentro di me. Chiudo gli occhi e lui solleva le sue dita da me e mi gira intorno. Non oso aprire gli occhi per paura che, quando li riaprirò, lui sia già lì a guardarmi, rimarrei folgorata, ancora una volta, da lui è da quei suoi candidi occhi lucidi. Così blu da far ricordare il cielo, così verdi da far ricordare le foglie e gli alberi d'estate. Così color arcobaleno da intuire che dentro di lui ci sia di più di quel che vuol far trasparire. Ogni sguardo è una micidiale pallottola che si conficca nel petto e lascia tracce di sangue nei vestiti.
Mentre scendiamo le scale c'è un profumino che riempie l'aria. Qualcosa come patate al forno e un bel tacchino. L'enorme tavolo al piano terra è apparecchiato con forchette di ogni tipo, compresa quella del dolce e i due coltelli. Per non dimenticare poi i calici in cristallo che riflettono la luce del lampadario gigante. Due camerieri in piedi, fermi con le braccia dietro alla schiena e il mento in sù, guardano la signora Wilson un po' intimoriti, la quale si aggira intorno al banchetto che giace al centro della tavola. Il silenzio tombale si interrompe a causa del campanello.
- Tina, puoi andare ad aprire? -
La cameriera corre in modo sghembo verso la porta, con i tacchetti neri molto bassi che rimbombano nella stanza e sotto ad essi un paio di calzini bianchi corti, tipici. La sua divisa è azzurra e porta una treccia lunga laterale pendente nella spalla, che raccoglie malamente i capelli rosso fuoco, intonati alle lentiggini. È molto giovane e ciò mi sorprende. Che fosse questa la sua ambizione? Non credo che avesse sognato di diventare questo. Mi sento piccola in un mondo di giganti e mi ritrovo a riflettere su tutte le occasioni sprecate nella mia vita e le possibilità che padroneggio con disinvoltura, quasi fossero scontate, di quanto sono fortunata. Eppure mi lamento. Mi lamento per quello che non ho perché i miei possessi non sono mai abbastanza.
Davanti alla porta, Tina, trova un ragazzo che entra frettolosamente e si dirige verso di me incappucciato fino alla testa. Spalanco gli occhi e subito Jones corre dalla cucina e prende la pistola puntandola su di lui, rimanendo immobile mentre altri due uomini in nero lo prendono tra le braccia e gli levano il cappuccio della felpa, fradicio, perché fuori ha cominciato a piovere.
- Ma che diamine!!?? - urla il ragazzo.
- Alex! Che ci fai qui?! - dico in preda al panico portandomi le mani sulla bocca, esterrefatta. Ci scambiamo uno sguardo dispiaciuto.
- Lasciatelo. - dice Nicolas con fermezza e un tocco di amarezza nella sua voce roca, priva di emozioni ma solo straboccante di rabbia. I bodyguard non ascoltano e lo tengono forte.
- Mi avevi detto che saresti stata al bar, ma non c'eri. Non mi hai risposto. E ora ti trovo qui, con il pazzoide che quasi ti ha uccisa, anche se ti avevo detto di starne alla larga. È finita Ellison e appena uscirò da qui, chiamerò tua madre. Sono indignato. Lo facevo per proteggerti. -
- Alex! - dico con le lacrime agli occhi.
- Cosa gli hai detto? - dice Nic senza voltarsi per guardarmi, ma continuando a fissare la figura di fronte a lui.
- Ellison cosa diamine gli. Hai. Detto!!? - Ripente urlando e vedo la rabbia trapassare le sue vene e arrivare al cervello, sono spaventata.
- Sparagli. - ordina un istante dopo.
- No! - dico correndo verso di lui. I due bodyguard non lo lasciano andare e subito comincio a dare colpi nelle loro braccia solide e potenti, fallendo.
- Sparagli, Jones. - ripete fermo e impassibile Nicolas con gli occhi fissi su Alex. Un attimo dopo mi pianta addosso lo sguardo e noto uno spiraglio di amarezza in lui.
- Ma che modi sono! - ci interrompe la signora Wilson ridendo ed io immobile mi fermo sorpresa.
Perché ride?
- Jones, non dare retta a Nicolas, è fuori di sé, gli avrà fatto male fare così tanta matematica, oh e... povero ragazzo! Lasciatelo andare! Ellison, cara, è tutto così difficile con questi qui! Sono così presi a proteggerci che hanno dimenticato le buone maniere con gli ospiti! Mi dispiace e, prego accomodati - dice indicandomi il tavolo. - E prendi ciò che più ti piace! Siamo pieni, abbiamo fatto questo banchetto solo per te! - alla parola 'te' mi picchietta il suo indice sul mio naso, incurvando la schiena, ma la mia attenzione viene catturata dai pugni e dai denti serrati di Nicolas.
- Mi scusi, si è fatto tardi, mi dispiace io... devo andare. - balbetto lasciandomi la casa alle spalle e cerco di raggiungere Alex correndo. Scorgo voltandomi, la madre di Nicolas calma, l'unica tra tutti, ferma, immobile, sorridente mi fissa. La porta si richiude bruscamente un attimo dopo. La pioggia mi bagna e il vento lascia brividi fugaci sulla pelle calda. Comincio a lacrimare e a correre via, lontano il più possibile da quella casa. Io ed Alex ci fermiamo con il fiato in gola.
- Alex, mi dispiace io... dovevo solo... -
- NO! Ne ho abbastanza Ellison. Tu non capisci, non ti rendi conto. Ma hai visto che Nicolas ha ordinato di spararmi?! E tu vai a casa sua. Per fare cosa? -
- Per studiare! -
- Oh, non credo proprio. Giurami che non l'hai mai baciato, Ellison, giuramelo! -
Rimango pietrificata dalle sue parole e mi sento in dovere di non potergli mentire, non di nuovo. Cerco di sputare qualcosa dalla mia bocca ma non ne esce niente.
- Lo sapevo. E lo sai cosa più mi disgusta? Il fatto che io, imbecille come sono, continuo a proteggerti! Basta! - E se ne va, lasciandomi sola al buio e al freddo.
Cerco il telefono nelle tasche ma non c'è. Non è da nessuna parte. L'ho dimenticato a casa di Nicolas, sul suo letto.
- Cacchio!!! - esclamo a voce alta, guardando le stelle offuscate dalle nuvole, con le mani tra i capelli e la voce mischiata in un vortice di singhiozzi, prima di essere sorpresa dal rumore di una moto che si avvicina a me, seguita da due limousine lampeggianti.
- Ellison. Sali! Ora!!! - dice Nicolas prendendomi per un polso. Mi guarda fisso negli occhi senza distogliere lo sguardo, ma i polmoni gli esplodono. Intanto la prima limousine è sempre più vicina. E tende ad accelerare di più, sgommando tra le vie bagnate. Nic non porta il casco ed è tutto bagnato, da capo a piedi, con la sua maglietta a maniche corte bianca e i jeans che aderiscono alla pelle, lasciando intravedere gli addominali scolpiti. È gobbo sul volante e mi fa cenno, stanchissimo, di salire una seconda volta, con ancora il mio braccio nella sua stretta forte.
- Ellison. Fidati. Per favore, sali. O morirai. -
Col fiato in gola le sue parole mi pizzicano la pelle e comincio a tremare. Mi dò una spinta lieve e salgo a cavalcioni sul sellino posteriore. Lui parte istantaneamente accelerando di colpo ed io quasi cado all'indietro. La moto vortica su se stessa più volte a causa della pioggia il mio battito cardiaco supera di molto la norma. Abbraccio con le mani il suo petto pietrificato e teso, guardo i suoi capelli mescolarsi ai miei umidi e appiccicosi. Provo una sottile fitta allo stomaco e sento il cuore improvvisamente scaldarsi. Mi volto per vedere chi guida l'auto ma riesco solo ad intravedere i volti e a farmi salire le ansie e le paure. Sento lo stomaco ribaltarsi e oscillare. Vengo soffocata da presentimenti oscuri e malvagi che si fanno strada nel mio petto e nella mia mente, spalanco occhi sempre più tesa e tremante. Al volante c'è Jones e vicino a lui, la madre di Nicolas determinata, immobile, rigida e con disinvoltura punta una pistola su di me, mirando senza scrupoli.

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