Il giorno in cui hai smesso di avere paura.

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«Tu ti incateni in mezzo al fuoco e dici: "Viemmi a prende'"
Il nostro amore delicato è uno zucchero amaro
Che ci vogliamo solo quando poi più non possiamo.»

«Quante volte abbiamo lasciato che la paura avesse la meglio su di noi? Quante volte abbiamo rimandato le cose da dirci per paura che quello non fosse il momento adatto? Tante, forse pure troppe volte, ho perso il conto di tutte le cose che avrei voluto dirti e non ho fatto per paura e ho anche perso il conto di tutte le volte in cui tu ti sei lasciato frenare dalla paura.
Ripenso a quando avevi diciassette anni e la paura ti paralizzava, per mesi hai evitato di riconoscere quello che c'era tra di noi pur di non affrontare la realtà, pur di non affrontare te stesso, hai preferito condannarti ad un limbo colmo di dolore perché era più facile che ammettere i tuoi sentimenti, all'inizio io ti ho odiato per la tua codardia, ho provato a cambiarti ma, alla fine, ti ho preso la mano e ti ho convinto che in due fa tutto meno paura. Ci sono stati dei momenti in cui anch'io ho avuto paura, sai? Ci sono stati dei momenti in cui temevo di non essere abbastanza per te, di non riuscire a reggere anche le tue paure, che tutto mi avrebbe schiacciato però poi ti guardavo e mi facevo coraggio per due perché tu sei sempre stato più importante di tutto il resto, più forte di qualsiasi paura.
C'è stato un giorno, però, in cui anche tu hai trovato la forza necessaria per andare avanti, in cui hai affrontato a muso duro la paura, l'hai presa e l'hai rinchiusa in un angolo remoto della tua mente per vivere finalmente. Per vivere noi.

Il vociare allegro – ma nemmeno troppo, erano appena le otto e mezzo del mattino –  dei ragazzi che frequentavano il liceo scientifico Leonardo da Vinci a Roma giungeva ovattato nell'aula della 4B dove la porta bianca, con qualche schizzi di blu per un motivo ancora ignoto agli attuali abitanti della stanza, era chiusa e chi c'era all'interno troppo occupato nelle proprie cose per prestare attenzione a chi, per qualche motivo, stava passeggiando fuori dalla proprio aula nonostante le lezioni fossero iniziate da un pezzo.
All'interno della 4B erano presenti soltanto due ragazzi e non perché gli altri si fossero assentati o fossero stati risucchiati in qualche buco nero ma, semplicemente, perché la classe si era spostata circa venti minuti nella palestra della scuola per l'ora di educazione fisica, ora da cui i due – per motivi diversi – erano esonerati. Manuel, difatti, aveva avuto un incidente con la moto qualche giorno prima, niente di serio ma aveva una gamba un po' malandata e la schiena dolorante, che lo costringeva a non fare troppi sforzi e Simone, per gentile concessione del professore di educazione fisica, aveva avuto il permesso di restare con lui a fargli compagnia in aula con la promessa, però, di studiare per il compito di matematica – nonché della futura moglie del professore di educazione fisica – che si sarebbe tenuto alle ultime due ore di quella giornata abbastanza fredda di fine febbraio, ma inutile dire che i due ragazzi erano impegnati a fare tutt'altro.
Simone, in quel momento, era seduto sul davanzale della finestra – decisamente grande e ingombrante per l'architettura dell'aula ma comodo per momenti come quelli – le gambe stese davanti a lui e il quaderno di matematica che giaceva ignorato sul suo addome mentre Manuel se ne stava seduto a cavalcioni sul suo bacino, la gamba dolorante lasciata a penzoloni, le braccia allacciate al collo del più alto e le loro labbra non facevano altro che incontrarsi e scontrarsi da una quantità di minuti che entrambi avevano smesso di contare.
Manuel e Simone avevano iniziato quella loro un po' strana ma soprattutto segreta relazione dal giorno della vigilia di natale, il corvino non l'aveva lasciato solo neppure per un secondo quel giorno, per assicurarsi che stesse bene, e con la scusa della pioggia dopo il cenone aveva convinto Manuel ed Anita a restare a dormire a casa loro, aveva passato l'intera notte a stringere il più grande – che gli sembrava un cucciolo in pena – tra le braccia ed avevano dato inizio a quello che tra di loro c'era, seppur nessuno dei due avrebbe saputo definirla con esattezza ma, per il momento, andava bene. Manuel aveva chiesto all'altro di non dire a nessuno quello che stava succedendo tra di loro, non perché si vergognasse ma perché non aveva fatto chiarezza su se stesso e non voleva dover anche dare risposte ad altre persone, Simone aveva accettato senza troppi problemi, comprendeva le paure dell'altro, in passato – ma nemmeno troppo, dato che era riuscito a dire ai suoi compagni di classe di essere omosessuale soltanto ad ottobre, pochi mesi prima – erano state anche le sue e poi non moriva dalla voglia di far sapere i fatti suoi in giro, quindi non era stato un peso per lui accettare le richieste di Manuel, sperando però non diventassero troppo durature perché moriva dalla voglia di poter baciare il ragazzo ogni volta che voleva e, soprattutto, non vedeva l'ora di vedere Manuel in pace con se stesso e senza più paura.
- "Ma noi non dovevamo ripetere matematica?" Chiese, con un piccolo sorriso stampato sul volto che l'altro non faceva altro che baciare, Simone e cinse i fianchi del maggiore con le mani stando, però, attento a non toccargli troppo la schiena piena di lividi e tagli.
Manuel scosse la testa e schioccò la lingua sul palato.
- "Avrei preferito esse' esonerato pe' er compito anziché pe' ginnastica." Sospirò teatralmente lui.
- "Sì, volevo vede' come facevi a correre se a malapena riesci a camminare." Replicò Simone mascherando la sua preoccupazione con l'ironia, da quando Manuel aveva avuto l'incidente il corvino non l'aveva lasciato solo un attimo, aveva aspettato che uscisse dall'ospedale sino alle quattro del mattino per poi portarlo a casa sua, con il benestare di Anita che li aveva seguiti, e prendersi cura di lui in tutto e per tutto, ogni mattina lo andava a prendere per portarlo a scuola e lo riaccompagnava anche, per poi trovare qualche scusa – pur non avendone bisogno – per passare il pomeriggio con lui. "A proposito, ti fa ancora tanto male?" Chiese.
- "Simò me l'hai chiesto mezzora fa." Ridacchiò il riccio, pur però apprezzando l'interesse mostrato da Simone nei suoi confronti. "Comunque va sempre meglio ogni giorno, la schiena sta messa peggio."
- "Povero piccolo." Disse, con il tono di voce che in genere si usa per parlare ai bambini, il più alto e lo avvicinò al suo petto. "Un bimbo con la bua, eh?"
- "E lo sai che cosa fa passa' 'a bua?" Inclinò la testa da un lato il diciassettenne e si leccò le labbra.
- "Dimmelo tu."
- "I baci." Rispose Manuel. "Tanti, tantissimi, baci."
Il rugbista rise e poggiò la testa contro il muro alle sue spalle.
- "E devo essere io a darteli?"
- "Se nun voij posso trova' a qualcun altro, nun sei costretto." Scrollò le spalle il più basso e fece per alzarsi, pur non avendo realmente intenzione di farlo, ma il compagno lo fermò e lo strinse tra le sue braccia.
- "Vorrà dire che farò questo sacrificio." Sussurrò Simone contro le labbra dell'altro e, appena un momento dopo, riprese a baciarlo come sempre. Come avrebbe voluto fare per sempre.
Persi com'erano l'uno sulle labbra dell'altro riuscirono a malapena ad udire la porta dell'aula che si apriva ma non riuscirono a staccarsi in tempo affinché chi era appena entrato non notasse che stava succedendo qualcosa.
- "Ragazzi."
Gli occhi di Manuel si sgranarono nel sentire quella voce, fece per allontanarsi da Simone ma si mosse troppo velocemente e si ritrovò a gemere per il dolore alla schiena.
- "Manuel sta attento, ti fai male!"
- "S- sto bene, professo'." Disse, a denti stretti e gli occhi serrati per il dolore, Manuel e si appoggiò contro il petto di Simone, poco gli importava che Dante fosse lì, di sicuro aveva già visto abbastanza.
Simone non esitò un momento e gli circondò il busto con le braccia, lui aveva decisamente meno problemi del riccio nel farsi scoprire da suo padre.
- "Papà che ci fai qua?" Chiese.
Dante poggiò la sua tracolla nera sulla cattedra per poi avvicinarsi ai due ragazzi con un'espressione corrucciata stampata in volto.
- "C'ho l'ora libera e ho pensato di venire qui, dato che la prossima lezione è la mia." Spiegò mantenendo la sua aria confusa. "E invece voi? Non dovreste stare in palestra?" Chiese e li scrutò attentamente.
- "Er p- professore c'ha dato il permesso di r- resta qua." Rispose, agitato e balbettante, Manuel e si allontanò dal petto dell'altro. "Per- perché io... uhm, insomma."
- "Perché lui si è fatto male e a me ha dato il permesso di fargli compagnia." Intervenne Simone per salvare l'altro dall'imbarazzo. "E di ripetere per il compito di matematica." Aggiunse e indicò il quaderno abbandonato su di lui.
- "Quindi state ripetendo matematica?" Chiese, con tono inquisitorio, l'uomo. "Così vicini?"
- "I- io c'avevo 'na cosa n- nell'occhio." Manuel si maledisse il momento dopo aver aperto bocca di quanto aveva detto, Dante non avrebbe mai creduto ad una cosa simile e ne aveva anche ragione.
Dante fece fatica a trattenersi dallo scoppiare a ridere a quelle parole ma l'espressione persa di Manuel, e anche Simone che lo stava silenziosamente pregando di non commentare oltre, lo convinse ad annuire e fingere di crederci.
- "Adesso stai meglio?" Chiese l'uomo e il suo alunno preferito annuì lentamente. "Meglio così, adesso io mi metto qua a preparare la lezione voi, uhm, voi fate quello che vi pare." Aggiunse e scrollò le spalle per poi dirigersi verso la cattedra.

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