Ma prima che le parole riescano ad aprirsi un varco fra le mie labbra, colgo la fine della frase di Katie.
«...Tra l'altro sei venuta qui con un ragazzo, quindi l'hai chiaramente superata».
Riesco a emettere solo un sussulto indignato, e prima che possa proferire parola Jimin sembra materializzarsi dal nulla, mi passa accanto senza neanche notarmi, afferra Katie per una mano e la tira a sé dandole un bacio... intenso, deciso, appassionato.
Oh mio Dio. La sonnolenza provocata dal sidro svanisce in pochi secondi, e mi sento come se qualcuno mi avesse spinta nell'acqua ghiacciata.
Sussulto di nuovo indignata e Jimin si blocca a metà del suo bacio, volta la testa con le labbra ancora incollate a quelle di Katie. Mi guarda dritto in faccia e si stacca da lei come se il bacio gli avesse dato una scossa elettrica.
Fissa il pavimento per un secondo, annuisce fra sé e alza di nuovo lo sguardo. Picchietta con il dito sulla punta del naso di Katie con un gesto affettuoso, possessivo.
«Devo parlare con Minhee», le dice, e mi fa segno di seguirlo in fondo alla cucina e fuori, sul balcone.
Non voglio seguirlo fuori. Lui non ha intenzione di tornare con me. Anche se non l'avessi visto con Katie, me l'ha già fatto capire perfettamente una settimana fa, davanti agli armadietti. Ciononostante, sento il bisogno di sapere cos'ha da dire.
E quando vedo che Katie cerca, senza riuscirci, di reprimere il sorriso ebete sulla sua faccia, penso che persino andare là fuori al freddo, con lui, sarà meglio che restare in questa cucina maledetta.
Così lo seguo sul balcone. C'è poco spazio, e il tavolino pieghevole aperto ci costringe a stare vicini, fianco a fianco, a piegare il collo per guardarci mentre Broadway è a pochi passi sotto di noi. Il traffico scorre ozioso, la neve cade altrettanto oziosa. È piuttosto bello, ma fa un freddo terribile. Stringo la sciarpa al collo, tiro su la lampo della giacca di pelle.
«Mi piace», commenta lui accennando alla mia nuova mise. Mi sento scaldare il cuore e vorrei che non fosse così. Non ha più il diritto di farmi provare certe cose. «Però, sul serioche ci fai ancora qui? Credevo che fossi partita ieri».
«Dovevo partire oggi, veramente», ribatto. Oddio, davvero non sapeva quando dovevo andare via. Mi ha mai ascoltata davvero? «Ma il mio volo è stato cancellato, quindi sono bloccata qui».
Lui fa una smorfia addolorata come se gli dispiacesse tantissimo. Mi sorprende il fatto che non allunghi una mano per accarezzarmi i capelli con fare consolante. Mi dà sui nervi pensare che mi sarebbe piaciuto se l'avesse fatto. «Sei bloccata a New York, è vero... ma non a una festa a cui sapevi di incontrarmi. Hai scelto di venire qui».
È la terza volta che sussulto indignata. Quest'atteggiamento inizia a innervosirmi:non voglio tornare a essere la Minhee inglese a tempo pieno prima di tornare davvero in Inghilterra.
«Non sapevo che ti avrei trovato qui. In quel caso, credimi, non mi sarei neppure avvicinata a...».
«Questo non ti fa bene, Minhee . È dura essere legati a qualcuno dall'altra parte dell'oceano. Devi lasciarti tutto alle spalle. Dai, su, sono passate due settimane... quanto tempo ti serve ancora?».
Quanto tempo mi serve ancora? Pensa davvero che due settimane bastino per superare non solo la nostra relazione ma anche la perdita del futuro che avevo in programma? Dov'è finito il ragazzo che saltava la fila al bar per sedersi accanto a me? Che a pranzo parlava pochissimo perché "voleva solo ascoltare la mia voce"? Che mi comprava quaderni semplici ma alla moda?
Il ragazzo che mi correva dietro all'inizio del semestre ora è posseduto da un idiota arrogante e indifferente; l'espressione avida e interessata che aveva quando mi guardava è stata sostituita da una smorfia da cui si capisce come tutto questo sia solo un'enorme seccatura... per lui.
Ma perché continuo a desiderare che allunghi una mano per toccarmi?
So che dovrei porre fine alla conversazione immediatamente. Sta prendendo una pessima piega e potrebbe far diventare la mia storia una specie di tragicommedia in cui vengo processata per aver aggredito quest'imbecille, con il giudice che ride quando sente come l'ho buttato giù dal balcone colpendolo con la borsa. In realtà non sono sicura che mi lascerebbero portare il computer in prigione.
Colin riprende a parlare.
«Per un mese intero ho cercato di farti capire che non era una cosa seria. Be', non per me. Ci siamo divertiti un po' per un paio di mesi intanto che tu stavi qui. Saresti tornata a casa comunque, quindi non era una cosa definitiva, no?»
«Evidentemente parlavo nel sonno quando l'abbiamo "deciso"».
Sta iniziando ad agitarsi. Lo so perché si è tolto il berretto.
«Pensavo che l'avessi capito. Pensavo che ti stesse bene così».
«Io invece credevo che ci amassimo».
Lui mi guarda come se all'improvviso mi fossi messa a parlare in elfico, e penso di essere la più grande idiota del pianeta a essere venuta qui fuori quando avrei fatto meglio a restare in cucina... oppure a tornare nel salotto e ordinare ad Yoongi di lasciar perdere le due smorfiose e portarmi via di qui. Ma ormai l'ho detto. Mi sono umiliata e tanto vale portare a termine questo harakiri verbale: «Be', almeno è quello che hai detto tu. Che fossi sincero oppure no...».
«Io non ti ho mai detto che ti amavo». La sua fermezza è pari a quella usata da Yoongi quando ha messo in chiaro a Bianca e Ashley che non stavamo insieme. Che c'è? Sono davvero così inconcepibile come fidanzata? Vale per tutti o solo per i newyorkesi?
«Sì, invece». Mi sforzo di incrociare il suo sguardo. «La fontana, il Lincoln Center...».
«No. Tu hai detto che mi amavi, ma io non te l'ho mai detto».
Okay, ora sta cambiando le carte in tavola. Ma io me lo ricordo perfettamente. La nostra prima volta insieme in città: stavamo insieme – non ce la stavamo "spassando" – da circa un mese, e io gli avevo chiesto di portarmi al Lincoln Center. Speravo non capisse che volevo andarci solo per via di Pitch Perfect, il film. Ricordo che pensai di essermi resa ridicola eccitandomi alla vista della fontana, di fatto trascinando Jimin per qualche metro mentre mi precipitavo verso la vasca come una bambina piccola e facevo slalom fra i turisti rovinando almeno tre fotografie.
Lui aveva riso tanto quel giorno, mentre raggiungevamo la fontana. Lo ricordo distintamente, proprio come ricordo gli schizzi leggeri dell'acqua zampillante. Ero stupita dal fatto che qualcuno avesse trovato un posto a Manhattan – l'angusta, soffocante, caotica Manhattan – per fare spazio a quello splendido guazzabuglio di pietra e vetro che circonda su tre lati la fontana e il cortile. E mi stupiva il fatto che, quando ci si allontanava da Columbus Avenue, in qualche modo il frastuono del traffico svaniva e basta...In quel momento ero così innamorata di New York e di Jimin che le parole mi erano uscite dalla bocca prima ancora di riuscire a intrecciare fra le mie le dita di lui.
«Amo tutto questo», ho detto. «E amo te».
E lui ha risposto...
«Ah, sì...».
Ah, sì.
Oh, cacchio. In effetti non ricordo che mi abbia detto "ti amo". Devo averlo ricoginato, perché altrimenti com'è possibile che mi sia innamorata di uno che non provava lo stesso per me? Sentirsi – essere – innamorati non significa proprio questo? "In-amore", cioè due persone che si amano l'un l'altra, no?
«Forse è meglio se te ne vai». La sua faccia, tutta lineamenti spigolosi e inquieti occhi nocciola, si è indurita. Non mi sta dicendo di andare via per il mio bene, me lo sta dicendo perché, parole sue: «In questo momento è una pessima idea stare nello stesso posto. E poiché questa è la festa di Katie, e io sono stato invitato settimane fa, non sarebbe giusto nei suoi confronti se me ne andassi io. Non voglio assolutamente deluderla».
Le spine nel mio petto si agitano impazzite e mi sento come se stessi per vomitargli addosso. Okay, lui non mi ama, ma è proprio necessario spiattellarmi in faccia le sue nuove priorità, in questo momento? Vuole forse ferirmi? Io non mi merito tutto questo!
«C'è qualche problema?».
Yoongi è qui, e nella sua voce infila un pizzico della parlata di Brooklyn con cui si è atteggiato davanti a Bianca e Ashley. Se ne sta in piedi sulla soglia – si è avvicinato così silenziosamente che di sicuro deve discendere da un ninja – mentre Errore dorme fra le sue braccia, e fissa Jimin con aria indecifrabile.
Jimin mi guarda.
«Chi è questo tizio?».
Da che parte comincio? Fortunatamente, Yoongi ha la situazione in pugno.
«Non hai risposto alla mia domanda. Voglio solo sapere se stai dando fastidio alla mia amica».
«Dando fastidio alla tua...». Jimin mi guarda come se stesse pensando: "Ma che dice?".
Io mi limito a fare spallucce, mentre il pizzicore nel mio petto si attenua un po'. Sono curiosa di vedere cosa succede adesso.
Jimin sorride con aria di scherno rimettendosi il berretto: la versione fricchettona di uno sfoggio di superiorità.
«Io non sto dando fastidio a nessuno, va bene? Anzi, è lei che mi sta infastidendo. Ma non fa niente, perché Minhee se ne stava giusto andando».
«Non penso proprio», ribatte Yoongi. «Tra l'altro io mi sto divertendo, e cosa ancora più importante, anche il mio cane sta alla grande».
Tutti e tre guardiamo Errore, che arriccia il naso russando rumorosamente. Mi metto quasi a ridere nonostante il disagio e il cuore pesante.
Ora Jimin fissa Yoongi.
«Okké». Ah, mi ero dimenticata del modo in cui massacra la parola okay. Ed ecco che sorrido. «Comunque non me ne frega niente: io e Minhee abbiamo già stabilito che deve andare via».
Davvero?
Yoongi scuote la testa.
«Ne dubito fortemente».
Jimin mi guarda per spronarmi a intervenire.
«Che problema ha questo tizio?».
Mi mordo l'interno delle guance per impedirmi di sorridere e mostrare a Jimin quanto mi stia improvvisamente divertendo.
«Pare che il suo problema sia tu».
Jimin pesta il piede per terra.
«La sai una cosa? Mi sono stufato. Dovreste andarvene tutti e due prima di rovinare la festa anche agli altri».
Errore si sta agitando, e Yoongi le accarezza la testa con un movimento meccanico. Teoricamente dovrebbe essere un gesto ridicolo, ma in qualche modo lo fa apparire ancora più padrone della situazione.
«Non voglio andare da nessuna parte», dichiara. «E al paese mio la gente se ne va solo se qualcuno la costringe. È questo che hai in mente?»
«Che discorso da troglodita!». La voce di Jimin è uno squittio, e la sua espressione quella di chi si avvicinerebbe alla porta solo se ci fosse il modo di non passare accanto ad Yoongi . «Davvero vuoi ricorrere alle minacce, bello?»
«E chi ti ha minacciato?».
Afferro la mano di Yoongi e gli avvolgo le dita attorno al palmo, e per un secondo mi diverte l'idea che Jimin si stia chiedendo: "Ehi, ma sta con questo tizio?".
«Dai, è arrivato il momento di andare via».
Per la prima volta da quando è uscito sul balcone, Yoongi smette di squadrare Jimin e guarda me. Mentre lo fisso mi rincuora notare che ha davvero la situazione sotto controllo, non sta fingendo.
«Sei sicura?», mi domanda.
Parlo a bassa voce perché, chissà per quale motivo, voglio che mi senta solo lui: «Assolutamente sì. Qui ho chiuso».
Mi stringe la mano. Torniamo alla festa di Katie senza dire altro a Jimin, senza neppure fare un cenno a Bianca e Ashley mentre passiamo accanto a loro in cucina. Mi sento bene, come se avessi dato una bella ripulita al mio cuore portando fuori la spazzatura che avrei dovuto buttare via due settimane fa... spazzatura che non avrei dovuto raccogliere fin dal principio.
Mentre, ancora mano nella mano, scendiamo le quattro rampe di scale che ci riportano in strada, mi sento come se fossi più pulita dentro. Più libera, più leggera...
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Kiss me in New York |M.Yg [Traduzione Italiana]
FanfictionE la vigilia di Natale all'aeroporto di New York. Minhee è una studentessa inglese, in attesa del suo volo verso casa. Ha passato il peggior semestre della sua vita e non vede l'ora di lasciare a terra il malumore. Yoongi è un newyorkese DOC e sta...