Capitolo 14

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E così, Simeon racconta la sua storia, di come incontrò Yergath e di come fu costretto a diventare schiavo...

I miei genitori morirono quando ero infante e fui affidato ad uno dei tanti orfanotrofi. Imparai da subito che se avessi voluto qualcosa, avrei dovuto conquistarmela e lottai giorno e notte anche soltanto per tenermi un lenzuolo, andando contro altri bambini più grandi. Avevo sei anni quando fui pestato di brutto, tanto che passai due settimane in infermeria e sopravvissi per un discutibile miracolo.

Persino quella miserabile infanzia, fatta di agguati e pestaggi, la ricordo con nostalgia quando ripenso a ciò che avvenne subito dopo.

Fui catturato quando la mia città fu attaccata dai Goltachi. Divenni parte di un colossale bottino di guerra che i soldati si spartirono facendosi la lotta fra loro. Fummo raccolti in uno spiazzo circondato da ruderi ancora avvolti dalle fiamme, dove attendavamo silenziosi che il destino scegliesse per noi.

Mentre loro erano intenti a decidere chi dovesse prendersi i più giovani e forti, nessuno di noi osava muovere un muscolo... tutti tranne un ragazzino testardo di nome Cherm che non si era ancora arreso. In qualche modo, si liberò delle catene e sgattaiolò al sicuro silenzioso come un pensiero. Io lo seguii con lo sguardo e così facemmo tutti, troppo spaventati per seguirne l'esempio, ma tutti desiderosi di imitarlo. Muovendosi con grande lentezza per non fare rumore, il fuggiasco si fermò accanto ad un passaggio che conduceva verso un condotto fognario, celandosi dietro una pila di calcinacci.

Uno dei Goltachi si avvicinò a me, mi fece alzare prendendomi per il collo come fossi una gallina e mi scrutò. Mi posò a terra come fossi una pianta e poi mi afferrò la testa, mi controllò i capelli, mi strappò i vestiti lasciandomi nudo. Ricordo le loro mani, lorde di sangue e fuliggine che scivolavano sulla mia pelle lasciando tracce di sozzura sul candore della carne di un bimbo. Rammento le loro dita che mi sondarono ovunque, causandomi imbarazzo e orrore.

«Questo qui è mio!» Esclamò il soldato, gli occhi carichi di brama luccicavano inquietanti.

«Puoi usarlo come profilattico quel sorcio!» Scherzò uno dei suoi colleghi, mentre studiava una donna che conoscevo bene. Era stata un'amica di mia madre o almeno così diceva e aveva sempre avuto un occhio di riguardo per me, nelle occasioni in cui lo vedeva vagare per strada. Ora, era una maschera di lacrime e sporcizia, che singhiozzava senza sosta. «Che femmina scadente.» Affermò quindi quel rettile e con un gesto le piantò un dito nell'orecchio in profondità, trapassando il cranio con un suono simile a quello di un fico spappolato. La donna si irrigidì ed il pianto cessò, la bocca spalancata in urlo rubato. Il Goltachi usò la sua magia, vidi come dei piccoli fulmini uscire dal foro sanguinante e poco dopo, vidi quella povera disgraziata sorridere beata prima di essere lanciata a terra.

«Almeno così la smette di frignare!» Annunciò il mostro, infine, soddisfatto.

I pochi che ancora avevano la forza di piangere si ammutolirono.

Ero convinto di sapere che cosa fosse la paura, credevo di averla già sopportata prima di quel momento. Quello che vidi in quel momento, mi fece cambiare idea. Qualcosa dentro di me scattò, un istinto primordiale che mi imponeva di sopravvivere ad ogni costo e a qualsiasi prezzo.

Quando quella mano disgustosa che ancora mi tratteneva si mosse, non fui nemmeno colto da un brivido, perché il terrore mi aveva spento. Mi toccò la schiena, per poi scendere ancora, tastando curioso. L'altra sua mano mi costrinse a sollevare lo sguardo ed incontrare quello di lui.

Tutt'ora, se calo le palpebre, lo vedo. Quegli occhi violacei, trasudanti lussuria, che entrarono dentro di me e vi lessi che cosa voleva farmi, quanto avrei sofferto e quanto sarei stato costretto a sopportare prima di finalmente morire. Quel mostro si leccò le labbra mentre si godeva la mia crescente disperazione.

Terra Nera, Terra RossaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora