La femmina Goltachi osserva l'orizzonte, lo sguardo perso verso la linea che unisce il deserto arido e la volta di nuvole.
Anche l'occhio più inesperto ne riconoscerebbe il nobile lignaggio.
La sua figura è elegante, il suo portamento fiero, il volto delicato di serpente è impreziosito da anelli al naso. Una tempesta di oro e gemme arricchisce la corona che le circonda la testa e arriva fino al collo, un lembo di pelle che ne indica la genia come una coccarda.
Eppure, è terrificante nella sua presenza da predatore, con il corpo snello e agile dalle scaglie diafane, adornato da collane e bracciali brillanti alla luce tetra del cielo.Le braccia della donna sono posate sul parapetto di pietra del balcone che si affaccia verso Nord. L'arco a cortina sopra la sua testa, così come le colonne cesellate che reggono la facciata sono avvinghiate dalle spire di una rosa cremisi, i cui fiori sanguigni quasi brillano da tanto prorompente è il loro colore. Sono rare le piante e ancor più rari i fiori, ma quell'esemplare è bagnato regolarmente, curato ossessivamente e amato come un fragile neonato.
La roccia grigia della fortezza è lavata dalla luce cinerea della volta celeste sempre plumbea, un bagliore tenue e spettrale.
Qualcuno, giù in basso in città, leva lo sguardo e scorge quella meravigliosa fanciulla. Pare una visione onirica e magica, quella creatura bellissima, circondata da grigia pietra e rose scarlatte. Invidiata, odiata, temuta... quella donna è splendida quanto potente.
Un sospiro sfugge alla femmina. I suoi occhi non sono gentili, brillano della luce famelica dei predatori, sono azzurri e freddi come la lama di un pugnale. Eppure, un velo di tristezza li addolcisce.
Le alte finestre senza vetri sono a loro volta avvolte dalle spire spinose della rosa, che si infila nei quadrilobi degli archi a sesto acuto e scendono lungo le colonnine deliziosamente curate.
Quella è la stanza di una principessa delle fiabe, anche se è abitata da una regina.
La Goltachi si allontana, la mente persa in mille pensieri. Il vestito che scende dalle spalle fino ai piedi come un sudario mostra la sua perfetta forma, spaventosa nella sua impossibile simmetria. È la bellezza di una pianta carnivora, divenuta nei secoli sempre più attraente, esattamente come un'arma viene perfezionata per essere sempre più efficiente e letale.
Ai piedi del letto, dentro una cesta con alcuni cuscini, riposa una tremante creaturina. Febbricitante, certa di essere ormai prossima alla morte, la miserabile entità piange disperata e pigola suppliche che sa non saranno mai ascoltate.
«Povero cucciolo...» Sussurra la regina dolcemente, abbassandosi accanto al cencioso umano. «Ormai non rimane molto.»
Le dispiace che anche quell'esemplare si sia rivelato deludente nella sua durata. Le piaceva quell'esserino, tanto obbediente e così pronto ad adorarla e servirla pur di avere salva la vita. Trovava così affascinante che quel piccolo mostro avesse sacrificato prima la madre e poi la sorella pur di evitare di finire in pasto ai suoi signori. Se avesse potuto, quell'uomo avrebbe donato altre vite pur di salvarsi, ma non aveva altro da immolare all'altare della sua padrona.
Le dita sottili e pallide della donna scivolano sulla fronte madida di sudore della creatura. Prova un leggero disgusto nel toccare il sudiciume prodotto dall'animale, ma dopotutto quel cucciolo le è stato accanto per lungo tempo, saziandola con le sue tempestose emozioni: vergogna, angoscia, paura, amore, gioia, speranza, sollievo... Goccia dopo goccia, l'umano aveva perso ogni dì un frammento di sé stesso, dimenticando parti della sua vita, diventando sempre più semplice, ingenuo e innocuo. La volontà scivolava via ad ogni morso, le memorie seguivano, restavano soltanto manciate di istinti e le fondamenta di una personalità ormai quasi priva di umanità.
Ora, l'esserino ghermisce ciò che resta di sé con isterico terrore, conscio che un ultimo morso l'avrebbe reso un guscio vuoto, come gli altri che vagavano per le fortezze e le città dei Goltachi. Si sarebbe unito alle schiere di servitori idioti ed obbedienti, perfetti per soddisfare le pulsioni mostruose dei loro padroni.
«Lascia andare la tua umanità, tesorino...» Le parole di quella donna sono l'epitaffio per uno sciacallo codardo. Lui le aveva dato tutto, lei gli aveva promesso di lasciarlo in vita senza farlo soffrire...
Le perfette labbra nere della regina si piegano in un dolce sorriso, increspato leggermente dalla brama che la anima. Si spalancano appena, mostrando una fila di denti perfetti.
L'umano ha troppa paura, la sua volontà è ormai una fiammella che persino il più leggero dei sospiri poteva spegnere.
Il collo ormai seviziato dai denti della regina è lì, vulnerabile e ormai abituato ai saccheggi.
Il lento movimento, quasi ipnotico della Goltachi, rimane impercepito dall'umano. Quando i canini affondano nella carne tremante, per un momento l'esserino tenta di resistere, si avvinghia alla vita, alla libertà, a tutto ciò che era la sua identità. Poi, accoglie quel meraviglioso vuoto che subito è riempito da un voto di eterna obbedienza.
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Terra Nera, Terra Rossa
FantasíaKesheret è un mondo maledetto. Saggi folli si aggirano farneticanti in cerca di verità nuove, chiavi per spalancare le porte di un sapere rivoluzionario. Anime disperate, che non capiscono che sono i complici della tragedia avvenuta. La storia di qu...