17 - Sull'autobus

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"Hai deciso di seguirmi per caso?" chiese Hope, tentando di avere un'aria di nonchalance nonostante il sorriso sulle labbra

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"Hai deciso di seguirmi per caso?" chiese Hope, tentando di avere un'aria di nonchalance nonostante il sorriso sulle labbra.

"Mi chiedevo se la proposta di accompagnarti dalla tua famiglia fosse ancora valida" chiesi rigirandomi il biglietto tra le mani.

"Certo che sì, ma potevi anche dirmelo subito invece di fare la misteriosa".

Già, peccato che all'inizio la mia idea era quella di andare il più lontano possibile da qui.

Ancora stavo tentando di capire cosa fosse successo, e soprattutto perché mai la recente scoperta di avere un fratellastro mi aveva scombussolata così tanto.

"Dopo quello che ti ho detto, pensavo non mi volessi più intorno" dissi semplicemente.

Mi guardò con aria interrogativa.

"Hai semplicemente detto la verità" ribatté con gli occhi bassi.

"E non ti scoccia? Insomma, non che abbia detto la verità, ma che tu non abbia amici".

"In realtà no, perché tutte le persone che mi si avvicinano finiscono sempre con il farsi del male, perciò cerco di non attaccarmi più a nessuno".

Questo era evidente, ma allora non era un po' un controsenso che mi avesse invitata a trascorrere il fine settimana con lei? Insomma, non che me ne intendessi molto, ma non era una cosa che fanno le amiche?

Scacciai immediatamente quella parola nell'esatto secondo in cui la pensai. No, noi non potevamo essere amiche, né nient'altro.

La cosa da fare era semplice: andare a New Orleans, controllare che la mamma e mio fratello stessero bene e poi andarmene. In fin dei conti, era solo una piccola deviazione di qualche giorno dal piano originale, non sarebbe successo niente.

In pochi minuti arrivò l'autobus ed entrambe ci mettemmo a sedere... vicine.

Già, un'altra delle mie pessime idee, ma non mi sembrava carino trascorrere dieci ore in sedili diversi dato che 'avevo accettato il suo invito'.

L'autobus partì e vidi piano piano allontanarsi tutto. La stazione, la scuola, l'ospedale. Piano piano mi stavo lasciando la città alle spalle, diretta verso il luogo dove avevo giurato che non avrei mai più fatto ritorno.

"Allora" iniziò Hope, ma io la bloccai prima che potesse finire la frase.

"Ti prego, ci siamo appena sedute, abbiamo dieci ore di viaggio per parlare, puoi aspettare a fare domande".

"In realtà volevo solo chiederti cosa ti aveva spinta a venire con me invece di andare ovunque stessi andando. Ma non mi sembri molto disposta a fare conversazione al momento, quindi lascerò perdere" disse dirigendo lo sguardo fuori dal finestrino.

Chiusi gli occhi facendo un leggero sospiro.

Ok, forse ero stata un po' brusca. Anzi, sicuramente ero stata un po' brusca, ma dubitavo sarei riuscita a reggere un interrogatorio completo senza compromettermi stavolta. Avrei potuto mentire su tutto, qualsiasi cosa. Ma sulla mia famiglia... quella era ancora una ferita aperta, nonostante fossero passati anni ormai.

"Scusami, credevo volessi farmi altre domande sul mio passato".

"Oh, lo voglio, ma se lo facessi mi mentiresti, perciò aspetterò che tu sia pronta" rispose incastonando il suo sguardo nel mio.

Quegli occhi chiari erano bellissimi, ma a differenza della maggior parte dei suoi lineamenti, quelli non li aveva presi da Andrea. Molto probabilmente erano di Klaus.

"Ti andrebbe di fare un gioco?" chiesi cauta.

Hope alzò un sopracciglio interrogativo.

"Passati a parte, una domanda per uno. Così inganniamo il tempo e ci conosciamo meglio".

Alla faccia del 'non familiarizzare' Hati, complimenti, sei davvero un genio.

Non avevo idea da dove mi fosse venuta fuori questa cosa, ma avevo bisogno di saperne di più su Nik, anche se ancora non ne comprendevo il motivo.

"Ci sto. Inizio io" esclamò Hope.

Non so se ero stata più pazza io a proporlo o lei ad accettarlo, ma in un modo o nell'altro, il gioco partì.

"Quanto è stato gratificante da uno a dieci mollare quel destro a Kaleb?".

"Undici" risposi, facendoci scoppiare entrambe a ridere. "Se non fosse così pieno di sé, potrei addirittura definirlo attraente".

"Oh mio Dio" esclamò tappandosi le orecchie e fingendo un'espressione di disgusto.

"Ok, ok. Tocca a me".

Ci pensai un attimo su, dovevo stare attenta a non essere troppo diretta o si sarebbe potuta insospettire.

"Com'è che siete venuti nella mia classe? Insomma siete più grandi, non dovevate essere almeno in una terza?".

"Oh no, non funziona così. Ogni anno il dottor Saltzman sceglie un gruppo di studenti in età per le superiori e le manda in una classe abbastanza a caso. Se seguiamo il tuo ragionamento io, Jed e Kaleb saremmo dovuti essere in quarta mentre le gemelle ed MG in terza".

Quindi io ero la più piccola.

"Quali sono di preciso le tue abilità? Cioè io posso fare incantesimi e controllare quando mi trasformo. Per te è lo stesso oppure...?"

Sapevo che era pericoloso, il discorso poteva sfociare in argomenti poco piacevoli, ma decisi comunque di rispondere.

"In parte sì. Posso fare incantesimi e controllare la mia trasformazione, ma in più ho anche alcune caratteristiche da vampiro: super udito, emozioni amplificate e sete di sangue".

"Come?".

Ecco, appunto. Non avrei dovuto essere così dettagliata.

"Una domanda a testa, ricordi?".

"Giusto, tocca a te" ammise.

"Com'è tua zia? Quella che vai ad aiutare intendo".

Dovevo aspettare, non era passata nemmeno un'ora da quando eravamo partiti.

Una strana luce passò negli occhi di Hope, prima di cominciare a rispondere.

"È bellissima. È la più grande dei Mikaelson, ha una moglie di nome Keelin e un figlio stupendo di cui prima ti parlavo, Nik. Vincent è il padre biologico, è uno sciamano, lui e zia Freya sono a capo della congrega del Quartiere Francese. Keelin è l'alfa del branco della Luna Crescente, è stato complicato rimetterlo insieme dopo l'incidente con i vampiri, ma le cose stanno andando bene. Poi ci sono Marcel e zia Rebekah che gestiscono i vampiri, anche se è più Marcel il capo. Lui è come un fratello maggiore per me... Ok, scusa. Sto divagando" disse con un sorriso a trentadue denti che sembrava non volersene andare.

Era così felice quando parlava della sua famiglia, come se per lei fosse la cosa più importante del mondo. E in effetti, per i Mikaelson la famiglia è tutto.

"Tocca a te" dissi, anch'io sorridendo, inspiegabilmente contagiata dalla sua felicità.

Ma dalla sua espressione improvvisamente cupa dedussi che l'argomento stava per farsi non proprio piacevole.

"Come?" chiese soltanto, ma non c'era bisogno di ulteriori spiegazioni.

E adesso che facevo? Non potevo certo dirle la verità, ma neanche mentirle. Sembrava avere un radar per capire quando lo facevo.

"Te l'ho detto, mia pro zia materna. Voleva che fossi più potente. La più potente. Così ha usato la magia nera su di ne e puf".

"Puf" ripeté poco convinta.

Quella fu l'ultima conversazione che avemmo prima di scendere dall'autobus.

Il resto del viaggio lo passammo ignorandoci a vicenda, finché lei non si addormentò scivolando sulla mia spalla.

L'altra Mikaelson - Niente rimane sepoltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora