"Allora? Ti vuoi muovere?" chiese Hope un po' spazientita, dato che mi ero praticamente pietrificata sul marciapiede.
Ma cosa succedeva? Avevo forse paura? No, non potevo avere paura, non dovevo. Sarebbe stata solo d'intralcio, dovevo liberarmene al più presto.
Feci un bel respiro e strinsi le mani a pugno, tentando di focalizzarmi su un'altra emozione, ma non trovai nulla.
Da quando avevo messo piede a New Orleans non avevo fatto altro che pensarci. Andrea, la famiglia che non avrei mai potuto avere... Qui tutto mi ricordava la vita che avrei potuto vivere mi ricordava Hati. Ma ormai lei se ne era andata, e io dovevo andare avanti.
Feci un altro respiro, mi imposi di camminare e affiancai Hope con non poca difficoltà.
"Finalmente" disse con tono canzonatorio. "Sai, per un momento ho pensato che tu fossi nervosa".
Nervosa? Io? Ovvio, ma di certo non per le ragioni che pensava lei.
"Sta tranquilla" continuò. "Dovrai piacerli per forza, sei la prima amica che presento".
Questo non era molto rassicurante.
"Nessuna pressione, eh" scherzai.
Mentre parlavamo eravamo arrivate davanti ad un'imponente casa dall'aria molto antica, con enormi finestre e un grande balcone al centro. Anche se Hope non lo avesse detto, avrei capito comunque che quella era casa loro.
"Siamo arrivate" disse.
Io continuai a fissare inebetita la struttura, tentando disperatamente di trovare quella briciola di coraggio che mi avrebbe permesso di seguirla all'interno.
Dovevo solo respirare lentamente e non farmi prendere un attacco di panico, semplice no? No, ma dovevo almeno provarci.
Feci di nuovo un bel respiro e nonostante non riuscii a trovare quella briciola, riuscii ad entrare, trascinata da una strana forza.
La sua casa era enorme. C'era un grande salone con al centro un albero e dei divani ai lati. Da lì partivano due rampe di scale, che probabilmente conducevano alle camere da letto al piano superiore.
"Siete pregate di non fare confusione, sono appena riuscita a far addormentare tuo cugino" esordì una voce femminile dietro di noi.
Fui sollevata nello scoprire che non apparteneva a mia madre. Non ero pronta ad incontrarla, non ancora.
Mi stupii comunque quando, voltandomi, scoprii che un po' le assomigliava. I capelli biondi, la corporature agile e slanciata... forse lei era un po' più bassa.
"Zia Rebekah!" esclamò Hope correndo ad abbracciarla.
"Sshh" la riprese lei.
"Scusa" sussurrò.
"Lei è la tua più uno?" chiese poi indicandomi con un cenno della testa.
"Jane, lei è mia zia Rebekah. Zia, lei è Jane, la mia... amica".
Al sentire quella parola anche lei fece una faccia strana, molto simile a quella di Marcel.
Ipotesi confermata: Hope non aveva mai presentato un'amica alla famiglia.
Rebekah ci portò al piano di sopra e mi mostrò la camera dove avrei dormito.
"Una camera tutta per me? Sicura?" chiesi.
"Tranquilla, la casa è grande, fa come fossi a casa tua" disse sorridendo e uscendo per lasciarmi sola.
Tentai di non pensare troppo al doppio senso di quell'affermazione.
Posai lo zaino a terra e mi sdraiai sul letto, decidendo di dare libero sfogo ai miei pensieri.
Ero nella casa dove era vissuta, e continuava a vivere tutt'ora, la mia famiglia.
Respirai a fondo e mi ripetei per la milionesima volta quel giorno di stare calma. Dovevo resistere solo per pochi giorni, poi mi sarei lasciata tutto alle spalle.
"Tutto ok?" chiese Hope affacciandosi alla porta della camera.
"Sì, mi stavo solo riposando" risposi mettendomi a sedere.
"Ok, se hai fame zia Rebekah ci ha tenuto da parte la cena, tra poco dovrebbe tornare anche zia Freya".
Quelle parole furono come una secchiata d'acqua gelata.
Tentai di deglutire il gruppo che improvvisamente mi si era materializzato in gola.
"No, grazie, il viaggio mi ha stancata, credo che adesso dormirò" riuscii a dire.
"Ok, a domattina allora" disse leggermente delusa.
Voleva passare del tempo con me, presentarmi alla sua famiglia e tutto il resto, ma non ce la facevo a sorridere alla mamma fingendo di non conoscerla, dovevo prepararmi emotivamente e psicologicamente all'idea che saremmo state di nuovo nella stessa stanza dopo tanto tempo.
Mi tolsi scarpe e pantaloni e mi infilai sotto le coperte.
Spensi la luce e chiusi gli occhi nel tentativo di addormentarmi perché, nonostante lo avessi usato come scusa, ero davvero stanca.
"Finalmente! Ci hai messo un'eternità" esclamò una ragazza dai capelli corvini.
Mi guardai intorno, ma ero circondata da oscurità. Una totale e avvolgente oscurità.
"Sai, sei una persona davvero difficile da trovare" continuò.
"Parli con me?" chiesi confusa.
"Vedi qualcun altro?" disse allargando le braccia.
Non aveva tutti i torti, ma prima che potessi rispondere lo scenario cambiò. Adesso eravamo in una vecchia casa abbandonata. Le pareti erano scolorite e pezzi di muro erano ammassati negli angoli, insieme ad una discreta quantità di polvere.
"Lo riconosci?" chiese la ragazza.
"No, ma forse se si desse una bella ripulita potrei".
"Vuoi fare la spiritosa, eh? Sai, un po' me la ricordi" affermò.
Alzai gli occhi verso di lei e capii che non si stava riferendo alla casa, ma al simbolo disegnato sulla parete.
Spalancai gli occhi per la sorpresa.
Il simbolo appena visibile sulla superficie sconnessa del muro era un serpente che si mordeva la coda.
Mi portai istintivamente la mano al braccio nel quale avevo la voglia identica al simbolo sulla parete.
Non feci in tempo a dire niente che la ragazza sparì e al suo posto apparve la bambina che avevo incontrato all'ospedale.
"Trovami" disse mentre gli occhi le diventavano di un azzurro sempre più intenso.
Mi svegliai di soprassalto con la fronte imperlata di sudore e il suono di un pianto nelle orecchie.
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L'altra Mikaelson - Niente rimane sepolto
Fiksi Penggemar|Primo capitolo della saga "L'altra Mikaelson" Jane Brooks, quindici anni, liceo di Mystic Falls. Ragazza apparentemente timida ed introversa, nasconde in realtà un enorme segreto. Tutto è cominciato secoli fa, in una notte di luna piena, e da allor...