• Rapina

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Simone

Sono qui, in questa fottuta macchina, con le mani tremolanti, il cuore che batte violento in gola, i brividi sulla pelle e il respiro accelerato. Sto per immischiarmi in qualcosa più grande di me e tutto per un ragazzo per cui ho una cotta?
Sono proprio un idiota.

Senza Manuel sto perdendo la giusta rotta, lui è la mia terraferma in mezzo all'oceano.

Potrà sembrare che sia io ad averlo sempre indirizzato verso la strada corretta ma in realtà è sempre lui che mi ha salvato. Da una vita di rimpianti, dalla tristezza che aleggiava sul mio cuore, dal vuoto che provavo prima di averlo tutti i giorni accanto a me.
Riuscirò mai a farne a meno?

«Simone allora tutto chiaro? Mettiamoci queste così non ci riconosceranno» Edo mi porge una specie di passamontagna per coprire il volto.

«Io entro, tu rimani in macchina. Prendo quello che posso ed esco. Accendi la macchina non appena mi vedi all'entrata, poi spostati velocemente sul lato passeggero. D'accordo?»
«Stiamo facendo una cazzata Edo» gli faccio notare, impanicato più del dovuto. Le mani mi sudano a dismisura e penso di essere diventato bianco cianotico in volto dal momento che mi viene da svenire.
«Ehi, andrà tutto bene. Fidati di me» tenta di convincermi mentre si infila la maschera e si avvicina alla porta chiusa del tabacchino e forza la serratura.
Mi guardo intorno stringendo forte le mani sul volante, sperando che nessuno sia nei paraggi a quest'ora della notte.
Riesce a scassinare l'entrata senza provocare rumore e questo mi fa tirare un sospiro di sollievo.
Ma l'idea di star commettendo un reato mi fa mancare l'aria, come se sul petto un macigno mi comprima i polmoni impedendo il passaggio di ossigeno.

Entra di soppiatto e, con la pila accesa, si dirige verso la cassa e comincia a svuotarla.
Una luce si accende da una finestra della casa soprastante il negozio ed è in questo preciso istante che comincio a sudare freddo. Ci hanno scoperti.
Faccio segno dalla macchina di andarsene da lì, mi sbraccio affinché riesca a vedermi da dentro, ma nulla da fare. È troppo intento a svaligiare la cassa.
Con le mani ormai fuori dal mio controllo afferro con fatica il cellulare e, in preda al panico più totale, chiamo Eduardo sperando che abbia la vibrazione.
Il telefono squilla ma lui non risponde.
Timoroso decido di scendere dall'auto e andare verso la porta d'entrata.

«Edo dobbiamo andarcene adesso! Credo che ci abbiano scoperti» lo richiamo a voce bassa.
«Ho quasi finito»
«No, muoviti. Ricordati la promessa»
«Un secondo, ci sono quasi»
Ma ecco che passi pesanti si odono attraversare le scale del piano di sopra e in un attimo la porta malandata del retro si apre con uno scatto e veniamo illuminati dalla luce della lampadina appena accesa.
«Chi cazzo siete?! Adesso chiamo la polizia!» urla un uomo sulla cinquantina, piuttosto tozzo e robusto e, nonostante sia enormemente tentato di fuggire a gambe levate, rimango piantato e immobilizzato sul posto, incapace anche di deglutire.
«Tu non farai proprio un bel niente o ti pianto una pallottola in testa» interviene il mio compagno di reato, tirando fuori dai pantaloni una pistola, lasciando interdetti sia me che l'uomo, probabilmente proprietario del negozio.

«Cristo Santo, sei fuori di testa?!» grido con la poca voce in grado di uscire dalla mia bocca, improvvisamente rinsavito dalla mia paralisi momentanea.
Mi precipito su di lui mentre punta la pistola contro il pover'uomo che adesso tiene le mani alzate, in segno di resa o perché troppo spaventato.
Gli appoggio una mano sul braccio che tiene impugnata l'arma, cercando di abbassarlo ma Edo è irremovibile, e mantiene salda la presa e la posizione retta del polso.
«Levati dai piedi» mi ordina, ma io continuo a insistere per allontanare quella maledetta pistola dal volto dell'uomo.
«Non erano questi i patti, cazzo!»
«Lasciami ti ho detto»
Cerca di scrollarmi di dosso mentre io continuo a litigare con il suo braccio, ma inavvertitamente e per sbaglio il grilletto viene premuto dal suo indice provocando il rumore assordante di uno sparo.
Entrambi ci immobilizziamo quasi immediatamente voltandoci verso il proprietario che cade a terra con un tonfo sordo, apparentemente inerte. Il sangue gronda in una pozza cremisi sotto di lui e mi sento morire anche io.
Non respiro, ho la vista offuscata, i sensi irretiti, il cuore impietrito.
Sono una statua di sale, pronta a sgretolarsi qui e ora.

«Porca troia Simò muoviti!» sento solo la sua voce ovattata, venendo strattonato per un polso.
Ci infiliamo in macchina con la poca lucidità rimasta, mentre si accendono le luci delle case dei vicini, allarmati dalla confusione.
Le gambe mi tremano nonostante sia seduto, ho gli occhi fissi nel vuoto e non riesco a pronunciare parola mentre Eduardo si allontana il più velocemente possibile sfrecciando per le strade deserte.

«Che problema hai?! Rimanere impalato in quella maniera invece di scappare...»
Con furia mi strappo il cappuccio di dosso gettandolo sul cruscotto.
«Io avrei problemi?! Tu ti porti dietro una cazzo di pistola e io sono quello con i problemi?! Ti rendi conto che abbiamo ammazzato una persona?!» sbraito a voce alta, inalberato come mai prima d'ora.
«Abbiamo ucciso una persona...mi sento male...» continuo a parlare tra me e me, mantenendo la testa tra le mani, che sembra quasi andarmi in fiamme.
«Calmati adesso. È successo, non possiamo farci nulla» lo guardo e non lo riconosco o, forse, non ho mai capito chi fosse realmente.
«Come cazzo fai a essere così tranquillo? Finiremo dentro, lo capisci?»
«Non succederà se faremo finta di niente»
«Mi stai dicendo che non vuoi costituirti?» domando inorridito. Non avrei dovuto farmi coinvolgere nei suoi casini, non avrei mai dovuto nemmeno legarmi a lui.
«Simone io non ci tengo a rimanere in carcere a vita»
«Ma che razza di persona sei? Hai ucciso un uomo e non provi nemmeno un po' di rimorso?»
«Pensi che non sia anche io nel panico adesso? Ma agitarsi non serve a nulla. Complicherà solo le cose»
Non posso credere a ciò che le mie orecchie sono costrette ad ascoltare.
«Fai come vuoi. Io andrò alla polizia a spiegare come è andata realmente»
In cambio ricevo una sua risata sonora e nervosa.
«Pensi che crederanno che tu hai cercato di dissuadermi dallo sparare e che ti lasceranno andare? Caro mio, tu sguazzi nella merda quanto me. Sei complice di una rapina a mano armata e di omicidio. Ti sbatteranno dentro e getteranno la chiave»

Rimango inerme a fissare un punto indefinito davanti a me. Sono davvero nei guai stavolta, e non so come uscirne.

«Fidati di me, dobbiamo comportarci come se questo non fosse mai accaduto»
«L'ultima volta che mi sono fidato abbiamo ucciso un uomo. Non farò più lo stesso errore»
Giunti davanti il viale di casa mia, in cui vige il silenzio e la tranquillità, prontamente scendo dalla macchina ma lui mi interrompe per lanciarmi un sacchetto di plastica tra le mani, con delle pillole probabilmente di ecstasy.
«Prendile, ti serviranno vedrai» mi informa con un ghigno sghembo ai lati della bocca.
«Tieniti la tua schifo di droga per te» sbotto, rilanciandogli sulle gambe la roba nella busta e sbattendo la portiera per fare presto ingresso in casa senza voltarmi un secondo verso di lui.

Mi accascio a terra senza forze, mentre sento l'auto che percorre la via d'uscita della villa.
Scoppio in un pianto disperato e silenzioso, per non rischiare di svegliare il papà e la nonna.
Se sapessero cosa è successo si spezzerebbe il cuore a entrambi, Manuel non mi guarderebbe più negli occhi e io finirei negli abissi più neri del mio sconforto, nell'oblio più tetro.

Mi trascino in camera gettandomi sul letto, premendo un cuscino sulla faccia per attutire le urla sofferenti e liberatorie che escono dalla mia gola.

Una persona è morta per colpa mia, ed è qualcosa che non potrò mai perdonarmi, nemmeno se dovessi morire io stesso.
Ho ridotto un pezzo della mia anima in frantumi, e non so come potrò mai ricostruirla.

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