2. Come tutto ha avuto inizio

26 5 10
                                    

Ricordi quando ci siamo conosciuti? Avevo un abito di paiettes e un velo di tristezza negli occhi. Non so cosa darei per sapere cosa hai pensato.


1 Gennaio 2016

È la sera di capodanno e io ho chiuso la mia prima storia d'amore da appena due settimane.

Tu cerchi, come un matto, l'attenzione di tutto il tavolo, esasperando qualche battuta a cui probabilmente accenno un sorriso, mentre cerco di scrollarmi di dosso il disagio bevendo vino rosso. Che poi, non mi piace neanche il vino rosso ma lo tollero comunque di più del sentirmi in imbarazzo.

Durante la cena bevo tanto, troppo, esattamente quanto beve una ragazzina che affronta la prima rottura e cerca di apparire disinvolta di fronte a persone che non conosce.

Non mi piace per niente, così pieno di sé senza motivo. Uno sbruffone.

Dio, la Sua camicia è troppo stretta e nessuno ride così tanto per le proprie battute...

Quando entriamo in confidenza ormai la stanza si muove.

Mi hai raccontato, in seguito, che mi avvicinavo così tanto a te mentre parlavo che sarebbe stato impossibile non baciarmi.

E così, nella cucina di una tizia di cui onestamente non ricordo il nome, con il vino che mi circola in corpo, entri nella mia vita.

Credimi se ti dico che di quel bacio non ricordo quasi niente.

Ondeggi in modo goffo sul mio corpo, in un patetico tentativo di alludere ad un atto sessuale, probabilmente.

Ci spingiamo oltre, intrecciando i nostri corpi impacciati mentre la nebbia cala prepotentemente sulle mie palpebre facendomi perdere la cognizione del tempo.

Ci chiudiamo in una stanza - come diavolo ci siamo entrati? - e d'un tratto, in un lampo, l'alcol smette di fare effetto - SBAM.

I contorni degli oggetti si fanno nitidi e io realizzo, con disgusto, cosa sta succedendo.

Scuoto la testa per tornare in me, correndo goffamente fuori dalla stanza; tu invece esci con calma, mimando qualche gesto osceno ai tuoi amici. 


1 gennaio 2016, il pomeriggio seguente.

Non sono una ragazza facile, anzi direi tutto l'opposto. Lo stomaco accartocciato in una morsa e una dannata sensazione di disagio mi fanno martellare nella testa il pensiero, appena il giorno dopo, che quella sera avrei soltanto dovuto dimenticarla. 

Lo sto giusto raccontando a un'amica quando, inaspettato, mi arriva un tuo messaggio, che mi ricorda che sentirsi in imbarazzo non è sufficiente. Tre parole. Un punto interrogativo. 

Ecco, ora mi ricordo, ho un flash di noi due avvolti in una orrenda coperta verde pisello – chissà perché poi – che ridiamo, in mezzo a tutti gli altri, guardando il mio telefono. Deve essere quello il momento in cui ti ho lasciato il mio numero.

Guardo lo schermo quasi disgustata e penso che mai mi sarei aspettata un messaggio da te.

"ti sei ripresa?"

Blocco il telefono e lo metto via, senza rispondere.

"Pensi di rispondergli?" rompe il silenzio Irene.

"Forse domani, ora non mi va"

Poi io e lei continuiamo a camminare sulle lastre di piazza della Repubblica, ridendo con una leggerezza inconsapevole ed enormemente distante dalla percezione di quello che stava per accadere.

Mentre torno a casa fumo, distrattamente, un paio di sigarette. Perché lo faccio, non lo so. Non mi piace fumare.

Non faccio che pensare al mio primo fidanzato, a come mi trattava, a come fingeva di non accorgersi che stavo male, a come, nonostante tutto, mi abbia lasciata lui. Cerco di riempire la testa con persone che non c'entrano nulla con me, cerco di forzare le cose solo per distrarmi, lo faccio sempre quando sto male.

Non ricordo tutti i dettagli della nostra storia, ma ricordo che i primi giorni non eri nei miei pensieri, neanche per sbaglio, neanche per colmare i vuoti.

C'era qualcosa che mi frenava, una sensazione, un presentimento, non so.

È un filo sottile e trasparente che si attorciglia, in silenzio, intorno al tuo corpo, ti avvolge le gambe, passa per i fianchi, si annoda sulla schiena e, infine, arriva al collo. Comincia a stringere fino a impedirti di parlare. Le parole, anzi, si attorcigliano in un groviglio in mezzo alla gola e restano bloccate a metà. Ti stringe a tal punto che non puoi respirare. Un momento prima eri libera, il momento dopo sei condannata.

Non aspetto mai molto a rispondere ai messaggi ma quel giorno, giuro, proprio non avevo voglia di risponderti. E così, il giorno dopo ti scrivo qualche parola per giustificare l'accaduto. Tu ridi, scherzi, mi chiedi di uscire e, al mio rifiuto, insisti. Ma finisce lì.

Per non so quale ragione qualche giorno dopo, però, spinta dalla noia o dalla voglia di distrarmi ti scrivo io, ti mando una foto che ci fa ridere entrambi. Tu insisti, vuoi uscire con me. 

E cosa ci sarà di male, poi?

Toglimi le mani dal cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora