5.Hosomaki

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23 Gennaio 2016

Dopo il nostro primo incontro fissiamo un'uscita di gruppo, una cena in un ristorante sushi all you can eat in cui si mangia da cani, imbarazzante. Non so neanche come salutarti.

Voglio piacerti in realtà, ma solo per una questione di principio. Dio solo sa quanto sono egocentrica, voglio piacere sempre a tutti, anche a chi non mi interessa, è quasi un'ossessione.

E così, senza sapere come, mi sono ritrovata un pomeriggio di fine gennaio a fissare l'armadio in cerca di qualcosa di giusto da indossare. Qualcosa di non eccessivo ma che metta in risalto i miei punti forti. Onestamente? Non mi ricordo cosa ho scelto alla fine. Mi pare una camicetta beige e un paio di shorts di pelle neri, con le calze ovviamente.

Sono la regina della sobrietà. Comunque... ero quasi certa che mi avresti scritto. A dire il vero dal nostro primo appuntamento erano passati ben cinque giorni, direi che era ora.

Ed eccolo lì, il re dei giochetti psicologici, che ricompare poco prima dell'uscita di gruppo e, ostentando indifferenza, digita il seguente sms: "serve un passaggio?"

A me dovrebbe servire cosa? A me non serve un bel niente.

Anche la mia risposta non pullula di emozioni. "No grazie, a stasera"

Rivorrei indietro la mia sicurezza di 4 anni fa. Ma dove l'avevo presa?

Mi sono sentita giudicata. Mi sono sentita messa in un angolo, con la gola annodata in un groviglio di parole bloccate a metà. Mi sono sentita insicura, sottovalutata, ignorata.

Sovrastata da un gigante con le mani così grandi, da potermi schiacciare con un solo dito.

Mi amavo, prima di incontrarti. Ora non so più chi sono, odio Te per quello che mi hai fatto e odio me per averne chiesto ancora e ancora.

Le Tue minacce non erano tangibili, erano coltelli mascherati da rose.

Il prezzo da pagare per una parola sbagliata, una parola di troppo o una parola di meno erano i Tuoi silenzi, i Tuoi giochi psicologici, le Tue assenze.

Ogni volta che mi è venuto da piangere hai processato le mie lacrime. Hai odiato la mia vulnerabilità con tutto Te stesso e quando hai visto il mio dolore mi hai spinta giù.

E così quella sera, circa cinque giorni dopo la nostra prima uscita, ci salutiamo con un imbarazzato e frettoloso bacio sulla guancia, mentre i nostri amici sorridono divertiti.

Devo ammettere che per qualche strana ragione adoro le situazioni imbarazzanti... In verità mi piace creare scompiglio, colorare giornate che altrimenti sarebbero grigie e poco memorabili.

Egocentrismo? Può essere.

Ti siedi molto distante da me, a cena. Non che sia un problema però mi piace avere attenzioni e Tu non me ne dai, non me ne hai mai date, almeno non in contesti di gruppo.

Non c'è apparentemente alcun modo per attirare il Tuo sguardo su di me, hai il petto gonfio. A dire il vero è gonfio in tutti i sensi, il che viene esaltato dal fatto che indossi camicie di due taglie sotto la tua.

Ma che problema ha?

Mi sento vibrare una tasca, sono così felice che qualcuno mi stia chiamando durante la cena. Significa che posso allontanarmi dall'imbarazzo, significa che posso sfoggiare le mie gambe magre, sfilando come una cretina davanti a tutti per uscire fuori a parlare con qualcuno di cui probabilmente non mi importa nulla. Non ricordo nemmeno chi mi ha chiamata quella sera. In verità non mi ritengo una persona superficiale, forse un po' vanitosa sì, ma superficiale no. Il fatto di voler piacere a tutti mi infastidisce, se devo essere sincera. Ingigantisce le mie insicurezze.

Probabilmente Tu non mi guardi nemmeno, non mi vuoi dare questa soddisfazione. Sei rigido e troppo occupato a pensare a far pendere l'intero tavolo dalle tue labbra. Non vorrei dirtelo, ma non mi sembra che funzioni. Tutto quello che dici sembra una forzatura; anche il modo in cui lo dici, la Tua risata, il Tuo modo di gesticolare, nulla è spontaneo. Ti guardo e non capisco cosa vedo.

Chi sei veramente? Niente di più lontano dalla semplicità, un gomitolo sì, ma di filo spinato. Però io non me ne accorgo, non voglio accorgermene.

Chiudo la telefonata e zampetto, leggera, al mio posto, trasudando finta sicurezza dentro ai miei shorts di pelle. Ancora una volta, Tu non mi guardi.

Poi accade qualcosa di strano. All'improvviso qualcosa Ti spinge a volgere l'attenzione dei ragazzi su di me. Mi prendi in giro e io sono in imbarazzo. È la prima volta che lo fai, ma da qui in avanti, non smetterai più di farlo.

Forse pensa che sia una cosa carina, pensa che serva a coinvolgermi...

Ma è davvero così o si tratta di un modo per dimostrare la Tua superiorità, il Tuo senso di sicurezza, la Tua capacità di dominarmi, prima ancora di conoscermi?

Toglimi le mani dal cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora