11. Parole sospese

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Luglio 2016

Il sole batte sull'asfalto rendendolo rovente, fa così caldo che i vestiti mi si incollano addosso, mentre torno a casa con il finestrino leggermente abbassato e l'aria calda mi intreccia i capelli.

Non riesco a fare a meno di sorridere, ho appena dato un esame importante ed è andato benissimo.

Tu, appena apprendi la notizia, mi chiami e sembri così fiero di me. Sei così entusiasta che organizzi una cena insieme per festeggiare e, mentre parli, mi viene da piangere dalla felicità.

In quel momento vorrei sospendere il tempo, assaporare quella sensazione, gustandola morso dopo morso; sto rendendo orgogliosa una persona che amo. Esiste qualcosa di più bello?

Quando entro in casa sono euforica, non riesco a riposare neanche un attimo, nonostante la stanchezza mi infiammi gli occhi.

Mi faccio un po' viziare dai miei e mi metto subito al lavoro. Voglio essere perfetta per Te.

Devo trovare qualcosa da indossare. Chissà se il rosso gli piace... ho in mente un abitino mozzafiato con la schiena scoperta. Lo provo.

Con un paio di tacchi sorprendentemente non sono per niente volgare, mi guardo allo specchio le gambe magre e quello che vedo non mi dispiace affatto. Lo so, sono vanitosa, forse leggermente frivola ma il mio corpo mi piace... nonostante i seni poco pronunciati e le culotte de cheval appena accennate. Sono una sportiva, ho la pelle liscia e tonica.

Mentre infilo in macchina in un lampo, sento gli occhi delle persone addosso, il che, stupidamente, mi fa sentire bella, mi fa sentire di avere il mondo in pugno.

Parcheggio e Ti aspetto sotto casa, in questo periodo sei stanco, distrutto da una vita in cui si intrecciano soltanto allenamenti, studio e dieta; non hai energie, sei spento, quindi tocca a me guidare.

Le tue labbra carnose si incurvano leggermente quando mi vedi, hai gli occhi segnati dalle occhiaie e il volto pallido, d'altronde non esci quasi mai...

Mi vedi ma non noti il mio abito o, se lo noti, non lo dai a vedere.

"Andiamo a mangiare al Convivium, ti va? Mi sfiori appena le labbra per salutarmi.

Annuisco. "Tutto bene?"

"Sono davvero distrutto"

Sono stanca anche io, sai? Ho appena fatto un esame, Te lo ricordi? Vorrei dirtelo ma le parole proprio non mi escono dalla bocca.

Fai sempre così, stare con Te è come salire sulle montagne russe e quando iniziamo a scendere, mi sento morire.

Camminiamo accanto come due sconosciuti, Tu non mi hai neanche guardata. Non so spiegare che sta succedendo ma all'improvviso il mio umore precipita. I nostri corpi quasi si sfiorano, eppure siamo linee parallele. Tu lo sai, lo senti, proprio come me.

Non voglio problemi, non voglio litigare, così faccio finta di niente.

"Sere" la tua voce rompe il silenzio, sospeso soltanto dal tintinnio delle posate che battono sui piatti eleganti.

Siamo seduti l'uno di fronte all'altro, in un limbo apatico di noia e disagio, inspiegabile per due come noi.

Persino il branzino che ho ordinato non ha sapore.

"Mi dici che c'è?"

La verità è che non c'è niente... non c'è davvero niente, così non so che dirti.

"Niente..."

"Andiamo, dimmi che c'è"

Come faccio a spiegargli che siamo su due frequenze diverse e non riusciamo a trovarci? Vorrei soltanto passare una serata tranquilla dopo l'esame. Vorrei soltanto festeggiare.

"Niente, dico davvero"

"Sere, non essere assurda. Dimmi che c'è. Che hai?"

No. Non voglio, non voglio aprirmi con lui, non adesso. Non mi va.

"Sere perché stai zitta? Perché non dici niente?"

Perché ora è aggressivo?

"Sono stanca" - mi chiudo a riccio, insistere con me proprio non funziona.

"Sì, lo so ma che hai? Che c'è? Vuoi dirmi cosa pensi? Perché sei così strana?"

"Strana io? Non hai detto una parola tutta la sera."

Mentre mi guardi sei così allibito dalla mia frase che per poco gli occhi non ti escono dalle orbite.

"Sere... via" - mi tratti come una perfetta idiota, il tuo viso, il tuo tono di voce, tutto in te grida "sei un'imbecille" e per poco gli occhi non mi si riempiono di lacrime.

Non ti azzardare a piangere, sai che lui non lo sopporta.

"Forza, dimmi che c'è"- il tono è dispotico, autoritario.

Sento il bisogno di porre fine a questo supplizio e al contempo mi sforzo di trovare una risposta che possa essere di tuo gradimento - l'ultima volta che ho detto qualcosa che non gli è piaciuto ha smesso di parlarmi senza spiegazioni, non voglio correre questo rischio.

Mentre mi guardi e aspetti che dica qualcosa, un foulard di inquietudine mi avvolge il collo prima dolcemente, poi inizia a stringere, non mi sono mai sentita così, con nessun altro.

Mi sento una studentessa che sta sbagliando le risposte, seduta di fronte al professore più severo della facoltà. Perché mi sento così?

"Sai..." prendo tempo "...a volte penso a noi. Mi chiedo se mi ami veramente o se, piuttosto, ti piaccia l'idea che ti sei fatto di me " - me lo chiedo davvero. Ti piaccio io, con le mie insicurezze, che contribuisci ad accentuare, o ti piace l'idea di stare con una persona che ha una serie di requisiti? Bella, intelligente, determinata, sicura. Tanto è vero che quando non sembro sicura non ti piaccio più... mi guardi come disgustato.

Che le mie parole siano "sbagliate" lo capisco subito dal tuo sguardo.

Senza muoverti mi strappi via di dosso tutto, resto nuda - un corpo di fronte al giudizio, il Tuo. E ardo, ardo tra le fiamme accese di un dibattito che non posso scatenare, di parole dette a metà, di paura che affoga nella mia gola, chiusa.

Inizia una conversazione piuttosto accesa in cui nessuno dei due è se stesso, Tu sei schifato da quello che ho appena detto, sei così arrabbiato che sembra che la nostra relazione possa finire da un momento a un altro. Io sono spaventata, non voglio discutere, voglio solo tornare a casa.

Ho paura che qualsiasi parola possa ferirti, così, a un certo punto non dico più niente.

Che cos'è appena successo? Proprio non saprei dirlo.

Quando mi accompagni alla macchina sento il bisogno irrefrenabile di porre fine a quel supplizio.

"Mi dispiace se litighiamo, voglio stare bene con te" lo dico con l'ultimo filo di voce che mi è rimasto.

Tu mi guardi, ancora un po' alterato.

"Ti prego, ti chiedo scusa... dimentica tutto quello che ho detto" ossia nulla.

"Ci proverò, Sere. Ti sei comportata veramente male." Mi parli come se fossi una bambina che ha rovesciato il latte.

"Che non risucceda." Aggiungi. La percepisco come una minaccia, chino la testa e me ne vado. Tu non mi segui, neanche con lo sguardo. E non mi scrivi, neanche il giorno dopo. È proprio in quell'istante che hai iniziato a punirmi, ma a punirmi sul serio.

Ricordi la prima volta che hai detto di amarmi?

In realtà avevi paura della mia reazione e così hai provato a farlo dire a me per prima.

Toglimi le mani dal cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora