Come in un sogno

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Ero ancora seduta sul pavimento con le spalle al muro, August si era abbassato al mio livello, promettendomi che mi avrebbe aiutata a cercare Jo e a ricongiungermi a lei. Non avrei mai pensato che si sarebbe dimostrato così gentile e disponibile, forse avrei dovuto essere sincera con lui dal primo momento in cui l'ho visto, raccontargli tutta la storia dall'inizio alla fine.

Gli appoggiai la testa sulla spalla e gli strinsi la mano ‹mi dispiace aver mentito, ma dimenticare era l'opzione migliore per non soffrire, per dimenticare chi fossi prima...› dissi all'improvviso, lui non rispose, si limitò ad accarezzarmi l'avambraccio ‹credevi che prima o poi non sarebbe risalito a galla?› mi chiese, io scossi la testa ‹speravo di no, ero finalmente riuscita a chiudere il ricordo di Jo in un cassetto, chiuso con un lucchetto... non credevo che avrei ritrovato la chiave per riaprirlo» risposi «forse non eri destinata a chiuderlo» replicò lui, dandomi un bacio sulla tempia «non sei più arrabbiato?» domandai confusa, lui rise «no, Eleonore... ho compreso i tuoi motivi... ma... sono consapevole che sarai difficile da dimenticare» ammise «resterai sempre il padre dei nostri splendidi figli» aggiunsi, pensando ai due marmocchi «già, lo sono, hai ragione!» rispose lui, ridendo, poi si alzò e si diresse nella stanza dei piccoli «vuoi venire anche tu? Hanno bisogno della loro mamma» mi tese la mano e mi aiutò ad alzarmi, prima di andare, però, mi diede un bacio in fronte «non ho alcuna intenzione di deluderti, ti aiuterò fino infondo a sciogliere i tuoi dubbi» disse dolcemente, gli accarezzai il braccio «Grazie, August» sussurrai.

A braccetto entrammo nella stanza, Jocabel era sdraiata sul letto, mentre Alain era seduto sulla scrivania a studiare le tabelline. «perché stavate urlando?» domandò la più piccola, io e mio marito ci guardammo e decidemmo che per quel momento gli avremmo raccontato una piccola bugia «ci sono momenti in cui due genitori hanno delle incomprensioni che li portano a confrontarsi» disse August, accarezzandole i capelli «e... adesso abbiamo risolto» aggiunse, stringendomi la mano, intrecciando le dita con le mie. Jocabel ridacchiò e mise l'indice in bocca, io le accarezzai il naso e decisi di dare una mano ad Alain con i calcoli ‹allora, che stiamo facendo qui?› gli chiesi ‹la tabellina del nove› rispose, presi la sedia e mi sedetti accanto a lui, dandogli un aiuto per impararle a memoria ‹Alain sbagliò un calcolo e iniziò a piangere come se si aspettasse uno schiaffo dal momento all'altro, io gli accarezzai la guancia per farlo calmare ‹dai, non piangere... capita a tutti di sbagliare Alain, che ci sto a fare accanto a te se non per darti una mano, eh?› dissi, asciugandogli le lacrime che gli rigavano il viso. Volevo essere una madre presente, migliore, per fare in modo che i miei figli conoscessero l'amore e lo diffondessero a loro volta ai loro figli ‹mamma mi puoi rispiegare questa cosa, non l'ho capita molto bene› mi chiese dolcemente, io annuì ‹certo, allora, vediamo un po'› iniziai a leggere la traccia del problema, spiegandogli passo dopo passo quello che avrebbe dovuto fare ‹quindi, hai cinque mele, Jo se ne mangia tre...› dissi facendoli ridere entrambi ‹quante mele ti restano?› domandai, lui mi guardò e mimò un due con le dita, lo incoraggiai battendo le mani, avevo letto un paio di libri di pedagogia durante la gravidanza, volevo seriamente essere preparata e non trattare i miei figli con burbero affetto, volevo che sapessero di avere una madre su cui contare, in qualsiasi momento avessero bisogno e magari un giorno, quando sarebbero stati più grandi per capirlo, gli avrei raccontato la mia storia, in modo che fossero coscienti e cittadini migliori.

Una volta finito di aiutare Alain con i compiti, uscì dalla stanza, August era sul divano intendo a guardarsi la TV, trasmettevano un film muto di Charlie Chaplin ‹ti va di suonarmi qualcosa? Magari una bella musica d'addio› mi supplicò lui ‹d'accordo, ti accontento subito› risposi. Mi alzai e mi sedetti al piano, iniziando a muovere le dita sui tasti, cercando di non cedere alla malinconia dei miei ricordi preziosi, quelli felici.

Più andavo avanti e più la musica cambiava forma, diventava quasi più violenta, più triste, fin quando qualcuno non bussò al campanello della porta, interruppi la musica e guardai August ‹aspettiamo qualcuno tesoro?› domandai confusa, lui scosse la testa ‹non che io ricordi, El... vuoi che vada a controllare io?› si propose di andare lui ad aprire ‹no, non è necessario...› risposi.

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