Io e Louise eravamo finalmente sbarcate in Inghilterra, scortare da August, il soldato belga che avevamo incontrato durante il nostro viaggio.
Era un bravo ragazzo, gentile, affascinante. Nonostante non avessi mai smesso di pensare a Jo, una parte di me iniziò ad affezionarsi a lui, il mio cuore batteva forte e non potevo fare a meno di arrossire quando ero in sua presenza. Si era proposto di aiutarci a ritrovare la mia famiglia, nonostante non avessi a portata di mano documenti che provassero la mia identità, era complicato ma dovevo riuscire a ritrovare i miei genitori.
La radio del campo profughi ci informava dell'andamento della guerra, i sovietici erano entrati a Varsavia e, dopo numerosi scontri, il 17 gennaio, erano riusciti a liberarla dal dominio nazista, una prima sconfitta sul fronte occidentale della Germania il che mi rendeva molto felice.
«vedo che sai sorridere!» mi prese in giro August «è che questa è una splendida notizia, Hitler avrà quello che merita, o almeno spero» risposi «prima o poi dovrai raccontarmi del tuo odio nei suoi confronti» comprendevo la sua curiosità, la sua voglia di conoscermi, ma per me non era ancora il momento... avevo appena perso la persona che amavo e che continuava ad occupare un posto speciale nel mio cuore.
«io consiglierei di iniziare a cercare all'interno della Capitale, è più facile trovare persone provenienti dal continente» disse August, suggerendo di partire per Londra «ne sei sicuro, Maresciallo?» gli domandai con voce suadente, lui rise «sì, lo sono!» rispose facendomi l'occhiolino.
Nessuno aveva parlato di quanto fosse complicato tornare alla vita "normale" tranquilla, senza la costante paura di venir fucilato per un semplice sbadiglio, nella mia testa era tutto così strano, irriconoscibile. A tratti, mi sembrava di non ricordare nulla, neanche della mia vita precedente e forse quello aveva favorito la velocità con la quale avessi capito di dover voltare pagina, iniziare a creare un nuovo capitolo ero giovane, non potevo permettermi di restare bloccata nel passato.
Da Portsmouth salimmo su un treno diretto a Londra, ma alla vista del mezzo di trasporto mi pietrificati, nonostante avesse delle carrozze normali e non dei carri bestiame, August si premurò di tranquillizzarmi e, dolcemente, convinse sia me che Louise a salire a bordo. Per fortuna, quella volta fummo in grado di sederci durante il viaggio e non restare per tutto il tempo all'in piedi. Mi voltai verso il finestrino, potevo vedere quello che ci fosse all'esterno, il sole, la pioggia... non eravamo uno addosso all'altro, riuscivo a respirare e in quell'istante mi resi conto di essere viva e sospirai, grata di essere lì.
Quell'entusiasmo mi portò a sorridere come un'ebete, dall'esterno avrebbero potuto scambiarmi per una matta, una persona che meritava di essere internata in un manicomio, ma... avrei voluto vedere quelle stesse persone a vivere quello che avevo vissuto io. Ad essere trattata come un pezzo di carta, calpestata, insultata, derisa, maltrattata... costretta a veder morire uno dopo l'altro persone, a lavorare per un sì o per un no, con i piedi nel fango, nella neve, sporchi, emaciati. Nonostante August mi avesse dato la possibilità di lavarmi e togliermi di dosso lo sporco, continuavo a sentirmi tale... mi sentivo in colpa... perché io ero sopravvissuta? Perché ero ancora lì? Mi resi conto di essermi persa nei meandri della mia stessa mente solo quando August mi toccò il braccio «Eleonore... siamo arrivati, dobbiamo scendere dal treno» disse lui dolcemente, io annuì e, dando la mano anche a Louise tutti e tre scendemmo dal vagone.
La stazione di Londra era magnifica, si vedeva anche la torre dell'orologio «quello che vedi gli inglesi lo chiamano "Big Ben" ed è la torre del palazzo di Westminster, dove hanno sede le due camere del parlamento britannico» disse August indicandolo con l'indice,
Tenevo stretta la mano di Louise per paura che potesse perdersi in mezzo a tutta quella gente, era bello vedere così tanta tranquillità, ascoltare così tanta musica, il mio cuore aveva iniziato a tranquillizzarsi e la mia mente si stava allontanando dagli orrori che aveva vissuto, senza però dimenticarli, erano ricordi indelebili con i quali un giorno sarei dovuta scendere a patti.
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La Musica Della Libertà
Historical FictionBerlino, 1950. Dal grosso salone di casa propria, una giovane donna osserva il presente, sorseggiando un calice di liquore, abbastanza pesante per mandare giù i vecchi ricordi. La musica riecheggia tra le stanze come metafora di un tempo che è fin...