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Al mattino presto sono spesso libera, a meno che non debba ritirare qualcosa alla cancelleria del tribunale, non mi appioppino qualche ricerca, o non debba andare in udienza o non debba salvare avvocati rampanti che in fondo mi piacciono, da nottate alcoliche. E quella mattina non avevo nulla da fare a parte rimuginare sulla mia carriera e riscrivere gli appunti macchiati dalla tazzina di Tomaso.

Sono quasi le quattro del pomeriggio, quando arrivo in studio, e vengo immediatamente convocata nella stanza di mio zio, il pregiatissimo avvocato Armando Santacroce, detto Zio Braccinocorto per la sua generosità riguardo i miei compensi.

«Allora, sentiamo. Hai completato la ricerca?» esordisce sbuffando con poco garbo e sicuro di un esito negativo.

Io riferisco tutto quanto ho memorizzato, gli porgo i fogli stampati di fresco e lui pare stupito quando gli comunico che la ricerca si trova anche sul cloud dello studio, a disposizione degli avvocati che ne avevano fatto richiesta.

«Beh, Armando, dopo due anni la nipotina si è rivelata utile. Adesso potremmo promuoverla agli archivi digitali» Dice una presenza alle mie spalle, di cui non mi ero accorta.

È Tomaso, la voce della riconoscenza. Lo salvo e mi spedisce nelle polverose segrete del castello, che stronzo. Profuma ancora di mora selvatica e Tom Ford. Sorrido. Merda.

«Cos'hai da ridere? Ne hai azzeccata una in due anni, hai poco da essere allegra. Annarita ti aspetta, hai vinto un giro di giostra in archivio» Conclude mio zio, simpatico come sempre.

Annarita Baldini è la segretaria senior, seguendo perfettamente l'umore dei capi, mi tratta con sufficienza. Immagino si chieda perché, in uno studio così prestigioso ci sia finita io. Perché sono raccomandata, Annarita, perché sono una raccomandata. Solo che io, i vantaggi dell'essere la "nipote di", non li ho visti nemmeno con il binocolo. Anzi, tutto il contrario.

«Mi segua, dottoressa. C'è da digitalizzare e archiviare tutto il 1992. Buon lavoro.» Mi dice con voce neutra.

Inutile protestare, mi tolgo la giacca e mi rassegno a una settimana da sepolta viva. Almeno potrò evitare il completo d'ordinanza e indossare qualcosa di più comodo, visto che qui, di certo, non dovrò incontrare nessuno.

L'archivio si trova nel seminterrato, lo avevo detto che mi avrebbero buttata nelle segrete del castello. Ho a mia disposizione un lungo tavolo, uno scanner, un pc, un'ottima connessione e metri e metri di scaffali pieni di fascicoli. Ormai sono qui, tanto vale iniziare, trovo la sezione dedicata al 1992, è bella grossa; non ero nemmeno nata nel '92, cosa vogliono che ne sappia di quello che è successo in questo studio in quell'anno. Il solo mese di gennaio è composto da quattro faldoni giganti che peseranno più di me, li tiro giù dallo scaffale e mi sembra di appiattirmi sotto il loro peso, quasi cado. Mi guardo intorno, so che ci sono le telecamere e spero che nessuno abbia assistito ala scena, poi cado davvero, e ti pareva. Che giornata di merda!

Ho appena il tempo di organizzarmi il lavoro, che è già ora di andare a casa, me lo comunicano dall'interfono con fare sgarbato: lo so perfettamente che se non rischiassero una denuncia, quelle iene delle segretarie mi chiuderebbero qui sotto, a buio e senza viveri.

A casa ci vado con i mezzi pubblici, come tutte le sere da due mesi a questa parte. Lo storico scassone ereditato da mio padre ha esalato il suo ultimo respiro, e adesso giace in officina, in attesa di un preventivo o di un miracolo, o di entrambi. Mi sono appena seduta alla fermata del bus quando una Maserati d'epoca tirata a lucido accosta. Quando il finestrino si abbassa emerge la testa di Tomaso che mi chiede se prendo l'autobus per tornare a casa. Mi alzo di scatto e mi avvicino, speranzosa, lui sorride e si complimenta con la mia scelta eco-sostenibile. Poi ingrana la prima e mi lascia lì a guardarlo svoltare l'angolo, affondo le mani nella giacca e ingoio l'ennesimo rospo. Prima o poi dovrà spiegarmelo, perché ce l'ha tanto con me; o forse prima o poi dovrò raccattare due grammi di coraggio e chiederglielo.

Stanca e umiliata, trovo Iris come sempre pronta a consolarmi. Le racconto del mio pomeriggio e della gita nelle segrete del castello davanti a una pizza che abbiamo scongelato al microonde: è gommosa e insapore, ma ce la finiamo lo stesso. I mezzi pubblici sono un delirio, pieni zeppi di gente, spesso rotti, bisogna incrociare le dita tutte le volte, e soprattutto ci sto quasi un'ora a tornare a casa, mentre con il mio adorato Maggiolone ci stavo poco più di venti minuti. Con quello che resterà del prossimo pagamento di Zio Braccinocorto darò un acconto per la riparazione dello scassone, «o per un nuovo veicolo un po' più affidabile.» suggerisce Iris o per quelle favolose Gucci, sogno io. Sogna Zelda, sogna. Al momento l'unico mezzo di trasporto che mi posso permettere di comprare è un monopattino usato e non mi riferisco a quello elettrico. Propongo di andare fuori a fare un giro, ma lei non può: ha da sistemare l'attrezzatura e rivedere il programma per il servizio fotografico dell'indomani. «Bambini e gattini, un vero spasso» Mi dice ironica, è allergica ai gatti e starnutirà tutto il giorno se non si convince a prendere un antistaminico.

Mi butto a letto, affranta. Quella notte sogno faldoni, avvocati, unicorni e vecchi Maggioloni impolverati.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 14, 2022 ⏰

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