sedici

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Il primo istinto credo sia quello di sopravvivenza.
Credo.
Cioè almeno quello che si attiva nel momento di pericolo credevo fosse quello; del tipo che vedi qualcosa che fa illuminare le sirene di pericolo che sono posizionate nel tuo cervello e fai qualcosa per scansare una situazione di un certo livello di pericolo per continuare la preservazione di se stessi.

Alla fine noi esseri umani siamo egoisti e facciamo di tutto per continuare a vivere e a resistere, pure se questo vuole dire fare del male agli altri, l'importante è farcela noi.

Ecco io non lo so se agì per sopravvivenza o per pura mostra del mio lato più rincoglionito e masochista, sta di fatto che la prima cosa che pensai di fare fu andargli addosso e quello che feci fu lanciargli il mio calice di vino bianco addosso.
O almeno, era quello che volevo fare.

Vidi il momento in slow motion.
Era come essere una spettatrice esterna, completamente fuori dal mio corpo e dalla situazione vidi perfettamente la direzione, il moto, la scia del mio bicchiere dirigersi rovinosamente verso il set coordinato rosso, probabilmente firmato, di Francesca.
Potei osservare la bocca di Nicolò spalancarsi in una smorfia e quella di Francesca in una "o" sorpresa ed arrabbiata.
Gli occhi azzurri di lei si abbassarono verso il bicchiere che cadde giusto un millimetro prima del suo corpo frantumandosi a terra così da sporcare e impregnare le décolleté di bottega veneta.

Seguì ogni cosa fino allo schianto.
Alzai gli occhi su di lei che guardava le sue scarpe, tutti gli occhi su di me: chi era divertito, chi scioccato, chi confuso, chi arrabbiato, chi sorpreso.
Chi come non ci capiva un cazzo.

"Ci tengo a precisare una cosa" dissi con l'indice alzato verso l'aria, "non volevo lanciarlo addosso a lei o alle sue scarpe, capisco che sia un dolore vederle bagnate, davvero, per quello mi dispiace."
Presi un sospiro e lo guardai per un nano secondo, "ma non posso dire che non riproverei a lanciarlo contro di lui."
Guardai Khloè cercando nei suoi occhi l'appoggio o un conforto dall'unica persona che lì dentro mi conosceva bene.

"In ogni caso, io vado" sorrisi, "ho creato una situazione strana di silenzio e ew è agghiacciante."
Irama o per meglio dire quello che conobbi come Filippo scoppiò a ridere, "sei schizzata, ti prego rimani."
Voltai il viso verso di lui, una smorfia confusa sulle mie labbra, "eh?"
Mi sorrise, "cioè nel senso sei strana, sei particolare. Rimani. Ti dobbiamo conoscere. Sei una stilista no? Mi servono nuove idee. Idee che siano fuori dagli schemi...come te. Come i tuoi bicchieri rotti."

Non avevo capito che cazzo aveva detto ma era ok.
Non dovevo andarmene io, doveva andarsene lui.

Sorrisi, un po' in modo forzato ma sorrisi e potei notare su di me e su Irama lo sguardo stranito di Barella che passava da uno all'altro con curiosità.

Rimasi io ma rimasero anche loro a quanto pare per loro ero io l'ospite che puzzava e per quanto riguardava me, beh lo avrei ammazzato.
Gli avrei infilato la mia scarpa su per...non posso dirlo, sono una signorina.
Comunque la risposta corretta era culo.

Non durò molto il breve meeting nel camerino perché presto fummo tutti invitati a quello che credo fosse un After party per quella che era stata l'ultima data del concerto.

After si sarebbe spostato alla terrazza Beretti.
Una terrazza sullo Skyline di Milano arredata di bianco, di lucine e piante che mi sembravano sempre finte anche se il proprietario mi aveva assicurato che non lo fossero, così come andava di voga in quel momento.

La parte estiva era quella più suggestiva ma essendo autunno inoltrato non ci sembrava il caso di ibernarci fuori, quindi rimanemmo dentro fra le pareti in vetro e l'arredamento minimal chic rigorosamente bianco.
Qualche piantina qua e là appesa sopra le nostre teste, insieme a delle lampadine che scendevano dal tetto e orologi fissati in una posizione scomoda da guardare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 20, 2022 ⏰

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