Mostrai i bozzetti, parlai dell'idea che avevo rispetto alla collezione e dove avrei voluto che sarebbe finita.
Non ero Alessandro Michele ma ero fermamente convinta che la moda fosse arte e l'arte aveva necessità di esprimersi e così come l'arte anche io.
Ero in una situazione di stallo nella mia vita ma stavano succedendo troppe cose, una diversa dall'altra e non sapevo più starci dietro e non sapevo più come combattere i pensieri del mio cervello per non trasformarli in ossessione sul cibo o binge eating, quindi disegnavo."Siamo diversi" dissi ad alta voce, "lo so, siamo due visioni opposte della moda ma penso che potremmo funzionare. La moda è anche questa no? È caos e confusione, è rottura degli schemi."
Bevvi un sorso di acqua. Stavo per andare in panico, mi ero preparata un discorso ma me ne dimenticai appena varcai la soglia della sala riunioni e delle sue pareti in vetro.
Poggiai gli avambracci sul tavolo bianco e accavallai le gambe.
Sospirai.
"Avevo pensato a tante cose da dirvi ma poi esprimerà meglio ogni concetto mia madre perché è lei la vera creativa di questa azienda. Lei è l'azienda" la guardai, guardai gli occhi tondi presi da lei, "è la mia prima riunione per una collab e sono spaventata a morte" feci una risatina nervosa, "ma sono convinta di quello che faccio perché amo questo lavoro e amo la creatività che posso metterci. È il mio spazio felice, capite? Posso metterci ogni cosa qui dentro, dentro queste tavolette. Non ci sono regole, non ho limiti, non ho imposizioni, non mi devo sentire in colpa. Posso fare tutto quello che voglio, capite? Ed è fantastico. Posso essere chi voglio e posso dire quello che voglio senza paura perché non ci sono conseguenze nel dire le cose. È giusto dirle. Ci sono le parole e vanno dette, vanno disegnate.
Non devo avere paura di provare troppo perché non è mai troppo, non ci sono mai troppe emozioni, ci sono semplicemente le emozioni e vanno bene tutte.
Non devo tenermi a bada e non devo controllarmi.
Quando faccio questo" rigirai il book chiuso tra le mani per evitare di gesticolare, "sento di non essere confusa. Per la prima volta nella mia vita sono convinta di qualcosa e non ho paura di mostrarlo. Sono io. Qui dentro ci sono io e sono un casino ma lo siamo tutti, lo sarete anche voi e lo sono anche le persone perché noi, le persone, siamo fatte così. Siamo state concepite per fare casini e non capire cosa fare di questa vita ma stiamo andando avanti e in qualche maniera ce la stiamo cavando no? Ecco io volevo mostrarvi il caos, volevo mostrarvi quello di cui siamo fatti e siamo così tante cose e siamo splendidi anche per questo, siamo tutto e siamo anche assolutamente niente."
Respirai guardai mia madre, il suo lieve sorriso e le sue labbra fine, a contrasto con le mie e poi tornai a guardare il resto della platea.
"Comunque era questa l'idea che avevo per la collezione. Il caos. Quello che devi passare quando sei un bambino e poi quando sei adolescente perché la vita è tutta un casino a diciassette anni, e poi il caos da adulto quello in cui non sai più da dove devi prenderla sta vita perché alla fine niente va come avresti voluto andasse. Ma anche il nostro andare avanti, il nostro arrangiarci e scoprirci di nuovo."
Sospirai di nuovo. "Non so com'è dalle altre parti, ma immagino che sia un po' la stessa cosa ovunque, ma qui in Italia siamo abituati così, siamo abituati ad arrangiarci, a creare casini e tirare avanti e poi concludere con qualche senso della vita nascosto in qualche frase o qualche gesto. Ed è bellissimo. È un casino ma è bello perché siamo dei poeti in fondo e oddio sembra un discorso nazionalista ma quello che volevo dire è che questa vita è un casino ma se ne esce fuori non prendendola troppo sul serio."
Tanto moriamo tutti, perché prenderci sul serio.Mia madre doveva finire di capire alcune cose economiche e quindi mi alzai per andare a prendere un caffè, seguita a ruota dalla moglie di Nicolò che scandiva ogni passo sulle sue Chanel della nuova collezione.
"Avete la macchinetta del caffè qui?" chiese lei stupita.
Si passò una mano fra i capelli biondi e morbidi mentre mi fissava gelida.
Annuì schiacciando il pulsante del caffè macchiato.
"O così o dobbiamo ogni volta scendere a prenderlo al bar e nessuno di noi ha sempre voglia."
La macchinetta fece cadere il bicchiere in plastica e poi l'acqua calda.
"Abbiamo anche la cucina con la moka ma ci vuole troppo tempo" continuai prima di voltarmi verso di lei, "vuoi qualcosa?"
Scosse la testa, "vado a prenderlo al bar."
"Oh, ok."
Calò il silenzio qualche secondo ma sfortunatamente durò davvero poco.
"Come mai avete ripreso a parlarvi?" sapevo si stesse riferendo a Nicolò e non avevo voglia di fare la finta stupida, non quel giorno, ero ancora in ansia mista ad adrenalina e non sapevo come farmela passare ed il caffè non era di certo una buona idea.
"Ci siamo rivisti per sbaglio e ci siamo chiesti scusa."
Presi il mio caffè dalla macchinetta.
"me l'ha detto ma perché?"
Mi voltai verso di lei e intanto mi guardai intorno. I cucchiai erano solo in cucina.
"Perché cosa?"
"Perché siete tornati a parlarvi? Non ti sei presentata al nostro matrimonio."
"Siamo amici" replicai, "mi dispiace non essere venuta. Avevo dei problemi."
"Questo lo so bene."
Alzai le sopracciglia. Sentì un forte velo di offesa nelle sue parole ma feci finta di niente, avevo bisogno di bere quel caffè e chiudermi in un bagno.
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Green Light
Roman pour AdolescentsNicolò Barella è un gran calciatore sì, uno di quelli che possono diventare grandi, uno dei migliori. Ma eticamente parlando? È simpatico. È socievole. È cordiale. È gentile. Ma vuole tradire quella sta per diventare sua moglie, con la sua migl...