Quattordici

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Teoricamente avrei potuto evitare di varcare la soglia della porta dell'ufficio ancora per qualche giorno ma o andavo a lavorare o mi stressavo sul cibo che era anche il mio migliore amico quando si trattava di gestire le emozioni e in questi giorni le mie emozioni si chiamavano almeno per il sessanta percento Nicolò Barella.

Ero tornata a casa il giorno prima, avevo mangiato fino ad abbuffarmi, mi ero sentita in colpa, ero andata in palestra alle dieci e mezza di sera, ero tornata nel mio appartamento, mi ero andata a lavare e mi ero buttata nel letto.
Ero stanca morta ma continuavo a stare con le palpebre sbarrate perché speravo con ogni singola cellula nel mio corpo che lui mi scrivesse.
Ovviamente non succedette, mi addormentai alle cinque e mi rialzai alle sette e dopo due ore di sonno di bellezza vagai per l'appartamento per almeno dieci minuti in preda alla disperazione: ero stanca, mi sentivo un guscio vuoto ma così pesante da essere un macigno di otto tonnellate, mi faceva male ogni singolo muscolo del corpo compreso il cuore e sentivo la necessità di piangere ma non riuscivo, quindi andai a fare colazione.
Mi lavai, mi vestì, scesi al bar di sotto, presi la colazione e mi diressi in azienda.

La cosa divertente fu sorpassare l'entrata e vedere le foto di Francesca sulle televisioni dietro la reception bianca.
"Ma vaffanculo" bofonchiai.
Le foto della bellissima moglie bionda di Nicolò si susseguivano insieme a quelle delle altre modelle, sospirai quando non vidi più la sua faccia ma un prototipo di piumino che avevo disegnato insieme al settore creativo della Northface.

Sorrisi pensando al discorso che feci davanti ai dirigenti, sì ok, noi siamo tutti un casino, ma io me ne stavo un po' approfittando. Ero la regina dei cazzoni, con tanto di corona e scettro a forma di cazzo e avrei dovuto nascondere quegli ornamenti a forma di fallo ma stavano diventando troppo ingombranti e non sapevo più dove metterli.
Nel culo, pensai.

Eravamo forse una decina quel giorno. Una buona parte dei dieci era composto dal team marketing che lavorava sulla presentazione della nuova campagna, quella che mi avrebbe dato modo di diventare finalmente parte integrante del mondo della moda.
Ero figlia di mia madre, lei già ne faceva parte, lei era un po' una collaboratrice, una di quelle persone che sostenevano e aiutavano a creare altra moda, e poter anche stare vicino a lei per un due percento mi faceva fare anche pensieri felici in quei giorni di pensieri ossessivi.

Andai in ufficio.
Io non ero l'art director, non avevo idea di come si dovesse ottimizzare al massimo una presentazione per spiegarla in modo più specifico e naturale possibile ma la collezione era stata per gran parte partorita dalla mia mente e mi stavo già immaginando i scenari di come avrei voluto vederla rappresentata.

Se chiudevo gli occhi nella mia testa, oltre a vedere la faccia di Nicolò, riuscivo a vedere una matassa ingarbugliata, era colorata sì ma questo non la rendeva meno intricata.
Mi sembrava impossibile da sbrogliare, per quanto io ci provassi e tentassi ogni combinazione per sciogliere i nodi non c'era niente da fare, quella stronza rimaneva lì, sempre più incasinata di prima.
La collezione però non voleva significare solo questo, era confusione sì ma anche rottura di schemi e naturalezza nel caos, i colori contrastavano ma dovevano dare un senso di coerenza e di alchimia, i tratti erano duri ma accostabili perfettamente tra di loro. Si incastrava tutto, poteva sembrare un casino, ma tutto rimaneva insieme e nell'insieme dava un senso di serenità oltre il caos, perché alla fine, anche se non sembrava, tutto stava dove doveva essere.

Quello nella collezione ovviamente, nella mia testa c'era solo un cazzo di casino senza senso, senza spiegazione e che mi stava mangiando anche il fegato.
Pensare ai bozzetti, ai vestiti realizzati, mi aiutava a respirare meglio.

Quasi senza accorgermene si fecero le due, il cellulare aveva diciotto chiamate perse da mia madre che mi doveva parlare di lavoro e di mio fratello, altrettante chiamate da mio fratello e così da Khloè.
C'erano anche dei messaggi da Andrea ma per quanto potessi sembrare una stupida pezza di merda, non mi poteva interessare di meno di quel pezzo di figo gentile e cortese, in più sembrava che mio fratello avesse chiesto a Khloè di sposarlo.
Sembrava perché nei messaggi di minaccia di morte dell'altro figlio di mia madre non è che si capisse bene l'intenzione quanto più l'odio e le offese nei miei confronti.

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