Capitolo 34

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Noah

Ecco ancora una volta gli occhi di Arya spenti e terrorizzati. Le feci segno di avvicinarsi. Non avevo il coraggio di toccarla dopo quello che era successo in bagno.

Appoggiò la testa sul mio petto, proprio sopra il cuore, forse per sentirlo e seguire il suo battito. Mi prese la mano e se la mise sulla guancia. La sentii umida: stava piangendo. Le asciugai le lacrime e lei si strinse di più a me.

«Scusami» disse con voce rotta dai singhiozzi.

«Smettila di continuare a scusarti» affermai non capendo perché dovesse scusarsi per ogni cosa che faceva.

«Io...»

«Shhh...» la zittii. «Con me nessuno ti farà del male.»

Si strinse a me e si addormentò, piangendo.

*

Mi svegliai con il profumo di Arya tra le lenzuola, ma di lei non c'era completamente l'ombra. Mi alzai a sedere sul letto e sentii il vento mattutino entrare dalla finestra semichiusa. Mi stropicciai gli occhi e decisi di alzarmi per andare sul piccolo balcone.

Trovai Arya con la mia maglietta che le arrivava fino alle ginocchia, appoggiata al bordo del balcone. Era in piedi che guardava le onde del mare e aveva gli occhi chiusi per godersi il suo fruscio.

Mi avvicinai a lei e prima di cingerla per la vita mi schiarii la voce in modo che mi sentisse arrivare e anche per evitare uno dei suoi terribili pugni destri. Sobbalzò leggermente e si irrigidì al mio tocco. «Buongiorno, Principessa» sussurrai al suo orecchio.

La abbracciai e la strinsi a me, facendo attenzione a non usare modi troppo bruschi. Si accoccolò a me e contraccambiò quell'abbraccio con dolcezza. «Buongiorno» mormorò e la sentii a malapena.

«Cosa ci fai qui fuori alla mattina presto?» Sapevo già la sua risposta, ma gliela chiesi ugualmente.

«Sentivo il mare in lontananza e visto che non riuscivo a dormire sono venuta fuori a vederlo e ad ascoltarlo. È magnifico» ammise, schiudendo le labbra.

«Sono d'accordo. Come mai non riuscivi a dormire? È colpa mia?» arrivai il punto.

«Perché dovrebbe essere colpa tua scusa?» ribatté.

«Non lo so... Solo tu puoi saperlo...»

«Be', non lo è.»

«Va bene... E allora di chi?» provai.

«Di un'altra persona...»

«Come si chiama?»

Non rispose. Ci fu solo un lungo silenzio tombale e l'unico rumore che sentivamo era il movimento del mare, lontano e poi vicino quando le onde finivano sulla sabbia.

La lasciai andare e mi girai per tornare dentro, capendo che aveva bisogno del suo spazio. Quando fui sulla porta, sentii un suo bisbiglio. «A-adrian... si chiama Adrian...»

Mi voltai verso di lei, che era attaccata al parapetto del balcone con le gambe tremanti. Le sorrisi in segno di pace e tornai dentro.

Era quell'Adrian che nominava nei suoi appunti, senza però menzionare ciò che le aveva fatto...

Dopo circa un'ora scendemmo a fare colazione. «Ti sei presa un bombolone enorme» affermai, sedendomi al nostro tavolo riservato per la colazione.

«Solo perché sembra veramente tanto invitante» disse, mangiandoselo solo con gli occhi. Nel momento in cui lo addentò, scoppiai a ridere perché la sua faccia si era coperta di crema pasticcera. «Basta prendermi in giro!» esclamò. «Piuttosto, passami il tovagliolo!»

Due millimetri dal cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora