Capitolo 18 (parte due)

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«Noah, piacere.» Le porse la mano e lei spalancò gli occhi.

Mi trattenni dal ridere in una maniera incredibile, ma a un certo punto dovetti nascondermi dietro la manica della camicia per non metterla ancora di più a disagio. Cassie aveva appena fatto una figuraccia enorme quanto una casa, anzi, quanto l'universo.

«Quel Noah?» domandò per conferma e guardò me. Annuii piano. «È stata una pessima idea uscire a quest'ora, spero che non venga mai più in questo locale quel deficiente. Bella mi ha detto che se ne occuperà personalmente per non farlo più entrare» mi riferì. «Possiamo parlare un secondo in privato?» aggiunse poco dopo.

«Sto bene e puoi tranquillamente chiedermelo davanti a Noah. Mi ha... aiutata, cogliendo Matthew alla sprovvista» dissi, guardandomi attorno a disagio.

Cassie si girò a guardare Emily per un secondo e poi tornò a parlare con me. «Ti ha fatto qualcosa?» Scossi il capo. «Forse è meglio che ti portiamo a casa.»

«La posso portare io, se non è un problema, ovviamente» si propose Noah e quelle parole mi destabilizzarono un po'. Aveva detto che lo avrebbero potuto licenziare se lo trovavano insieme a me o, soprattutto, se avessero scoperto quella strana chimica che c'era tra di noi.

«Sì, certo. Ad Arya non piace molto la mia guida e di solito le viene il voltastomaco quando faccio le curve, quindi direi che è più che perfetto» intervenne Emily, facendomi l'occhiolino.

«Non mi viene il voltastomaco» precisai, «solo che potresti farle con più grazia.»

*

Cassie ed Emily rimasero davanti a noi finché andavamo alla macchina, mentre io e Noah rimanemmo a un'attenta distanza da loro.

«Così parli di me con la tua amica... Vorrei tanto sapere cosa dici di me, ma saprò aspettare. Mi racconterai una volta che saremo in macchina io e te» sussurrò al mio orecchio, spostando una ciocca di capelli.

Salutai Cassie ed Emily dal finestrino e aspettammo che se ne andassero per partire. Non avevo il coraggio di guardare in faccia Noah dopo quello che era successo pochi istanti prima. Mi sentivo strana: da un lato dentro il mio stomaco avvertivo una strana euforia, come se mi avessero drogata, e dall'altra parte avevo ancora la paura che scorreva nelle vene.

«Questo te lo rendo, ma devi farmi una promessa» spezzò il silenzio, allungando una mano verso di me.

Girai leggermente il busto verso di lui, giusto il necessario per guardare cosa tenesse in quel pugno chiuso. Era il mio coltellino svizzero.

«Quale?»

«Che non lo userai mai contro di me.»

«Se non mi fai niente, non servirà» precisai meglio quel giuramento.

«Potrei accontentarmi» acconsentì. «Ora andiamo a casa tua» concluse, sfiorandomi le dita per ridarmi ciò che era di mia proprietà.

Durante il tragitto mise un po' di musica, molto probabilmente perché nessuno dei due aveva voglia di affrontare la questione. A un certo punto partì una melodia che mi sembrava molto familiare. Allungai la mano per alzare il volume e lui fece lo stesso. Le nostre dita di sfiorarono e mi venne la pelle d'oca.

«Ti piace questa canzone?» chiese curioso, visto il mio gesto.

«La ascolto da quando sono bambina. Mia madre mi ha raccontato che quando era incinta di me, la ascoltava a tutto volume.» Sorrisi a quel ricordo bellissimo.

Il viso di Noah, invece, divenne malinconico all'improvviso. «Anche mia madre me l'ha fatta conoscere...»

«Mi racconti un po' di lei?»

Due millimetri dal cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora