Capitolo 3: Xavier

208 5 0
                                    

"La mia ambizione è ostacolata dalla pigrizia"

– Charles Bukowski

Ostacolato è la parola giusta per descrivermi, odio il mio modo di essere, i traumi vissuti come se nulla fosse e odio mia madre, la odio come non ho mai odiato nessuno nella mia vita da miserabile uomo. L'aria che respiro si fa leggermente pesante, la rossa al mio fianco continua a strusciarsi contro di me, la guardo solamente per fargli capire che il gioco è appena finito e non inizierò di nuovo ma sembra davvero non capire.

"Mia cara Asia, non ne ho più voglia. Ma puoi lasciarmi il tuo numero di cellulare per un prossimo round in futuro." Mi guarda con uno sguardo pieno di lussuria.

"Mi chiamo Aria!" Non Asia." Andiamo ragazza, alzati e vai via. Mi stai rendendo la mattinata difficile.

"Si. come ti pare, ora vai." Si alza dal letto indossando l'intimo in pizzo rosso ed esce dalla stanza senza fare rumore. Bene, ripuliamo questo cazzo di porcile ora.

"Ma che cazzo!" Sobbalzo all'indietro quando mio fratello Carter si lancia a capofitto sul divanetto di fronte al letto.

"Ma guarda un pò come ci siamo dati da fare, puzzi di sudore." Si alza e si avvicina a me con il cellulare tra le mani e inserisce una varietà di codici e poi mi mostra una foto.

"Quella stronza è nei guai fino al collo, se non fermiamo subito il giro di quella cazzo di foto siamo spacciati tutti quanti, da papà a nostra sorella Iris." 

"Sai bene che corro molti rischi per salvare la reputazione della nostra famiglia Carter, ma sono stanco. Sai la pigrizia si lascia sentire." Mi guarda con uno sguardo assassino, mi da un pugno a pieno petto.

"Fattela passare allora, abbiamo molto lavoro da fare e tu sei ancora senza prepararti. Metti quel cazzo di completo blu e vieni in azienda, mamma richiede la tua presenza e quella della tua assistente oggi alla riunione per il nuovo marchio." 

"Che hai mangiato a colazione oggi, pane e potenza fratellino?" Scoppia a ridere e mi porge il cellulare.

"Se ne cade uno, cadono anche gli altri. Ormai nostra madre ha imparato il nostro gioco." Alzo la mano e la poggio sul cuore.

"Croce sul cuore, cadi tu... ed io ti vengo dietro." Mi guarda e appoggia anche lui la mano sul cuore.

"Sono il tuo soldato, sono il tuo confratello. Da ora fino all'ultimo giorno." Se ne va, se ne va lasciando la stanza in quel giuramento che abbiamo fatto da bambini e che ancora ora rispettiamo io e lui. Faccio una doccia veloce, usando più bagnoschiuma del dovuto facendomi irritare la pelle. Dopo essermi asciugato indosso un completo blu notte quasi intonato al nero e mi guardo allo specchio. Pelle di mia madre e carattere di mio padre.

"Andiamo!" Prendo il cellulare e le chiavi della Maserati, mi dirigo verso il garage cercando di non incrociare nessun giornalista. Non mi piace alzarmi tardi, sono sempre stato mattiniero, non mi sono mai lamentato. Sono sempre stato quello muto della famiglia, dopo i miei traumi "infantili" mia madre ha pensato bene di mandarmi da uno psicologo, ma è sempre stata lei il mio problema, il mio più grande tormento e quando la vedo... vedo solo la mia distruzione diventare sempre più grande , sempre più infinità e mai nessuno l'ha capito. Si sono limitati alle apparenze mentre io continuo a crollare senza mai fermarmi. Arrivo in azienda e arrivo davanti all'ascensore.

"Signor Miller!" le porte dell'ascensore si aprono e la mia assistente è in ritardo.

"Mi sbaglio o il suo orario di lavoro non iniziava alle 8:00?" Mi guarda con un aria stanca e frastornata.

"Sono qui dalle 7:00 se davvero vuole saperlo, sua madre ci aspetta nella sala riunioni." Osservo com'è vestita e quasi mi viene da ridere.

"Che abbinamento di colori." Si guarda allo specchio con fare indifferente e si liscia la giacca.

"Il blu sta bene con tutto, credo che questa mattina abbia scelto davvero molto bene come vestirmi non crede?" Si sistema i capelli in una coda di cavallo bassa, si sistema la borsa sulla spalla e si ferma spettando che l'ascensore arrivi.

"Si, le dona davvero molto il blu, il bianco e il nero." Mi strofino il palmo della mano sulla giacca facendo evidenziare i miei muscoli e non rimane per niente affascinata da ciò, mi piace già... sembra una pantera pronta a giocare a un gioco molto pericoloso.

"Si, lo credo anch'io." Come un ricordo veloce afferra qualcosa dalla borsa.

"Ieri sera, ha lasciato per pura casualità il suo numero di cellulare nella mia borsa. Io ho già il suo numero aziendale, non mi serve il suo." La guardo colpito. Mi ha proprio atterrato. Blocco l'ascensore con il tasto rosso e la guardo attentamente avvicinandomi a lei con seduzione.

"Cosa crede di fare?" Mi guarda preoccupata, il mio sguardo è diventato cupo. 

"Figlio mio, io ti amo lo sai, è un gioco il nostro." Mi abbassa i pantaloni  e inizia a leccare, geme mentre io mi ritraggo ogni volta, inizio a piangere silenziosamente mentre lei continua a muovere la sua lingua su di me.

"Ti piacerà vedrai. Hai solo dieci anni e ce l'hai già enorme." Si abbassa gli slip e mi sale sopra, inizia a fare avanti e indietro. Singhiozzo pesantemente e mi arriva uno schiaffo così forte che perdo i sensi.

Unconditionally mineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora