Don't talk

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|HARRY'S POV|
Nonostante tutto anche quel pomeriggio mi stavo indirizzando verso il campo da calcio: luogo che ormai per me aveva odore di casa.

Le temperature si erano abbassate drasticamente, l'umidità invernale era così tanto presente che le strade erano bagnate, pur non avendo piovuto.

La mia routine si ripeteva come ogni giorno: arrivai in spogliatoio, mancavo solo io, ma non mi preoccupai, sapevo di essere perfettamente in orario.

Il silenzio che popolava quella stanza, a differenza del solito, non prometteva nulla di buono: proprio per questo, quando finii di indossare l'abbigliamento da allenamento, guardai i miei compagni con aria interrogativa.

"Prima è entrato il coach, era piuttosto incazzato, ha detto che non vuole sentire volare una mosca, e che ci deve parlare"
Questa fu la risposta che ricevetti dai miei compagni, era sempre stato così: il giorno dopo era sempre il peggiore.

Aspettammo l'arrivo del mister, non ero particolarmente teso, come poteva succedere gli anni precedenti: ero dell'opinione che quello che doveva dirmi, Louis, me lo aveva già comunicato la sera precedente.

Arrivò e chiuse la porta con poca delicatezza dietro di lui per poi cominciare a parlare con un tono che mai gli avevo sentito usare
"Il risultato che ieri volevamo non è arrivato, se provassi a chiedere a voi cosa è mancato, sono sicuro che le risposte sarebbero le stesse. Il fatto è che non avete dato nemmeno metà dell'impegno che vi ho visto usare in settimana! Cosa dovrei pensare? Che le mie parole siano volate al vento? Di questo passo non arriverà nulla, dovete averne voglia, se no la porta è questa! Ora entrate in campo, e giuro che il primo che sento parlare, può tornarsene sotto la doccia e scordarsi la prossima partita!"

Successivamente entrammo in campo, feci fatica persino a scorgere i respiri dei miei compagni: eravamo tutti piuttosto intimoriti.
Soprattutto perché eravamo consapevoli che se la prossima non fosse andata bene, la situazione sarebbe precipitata.

Eseguimmo l'intero allenamento senza pronunciare un suono, come ci era stato ordinato in precedenza; e ci mettemmo tutto l'impegno possibile, sapendo di dover mantenere questa costanza, anche durante le gare di campionato.

Il nostro mister come sempre, ci osservava in ogni minimo movimento, affiancato dal nostro fisioterapista.
"Vedi perché mi fanno incazzare a sto modo? Ci mettono tutto l'impegno durante l'allenamento per poi buttare le partite a quel modo" disse sbuffando, probabilmente, cercando di capire il nostro atteggiamento.

Finimmo in un totale mutismo, sia la parte iniziale sia la parte centrale dell'allenamento.
Giunti a questo punto dell'allenamento sentii un leggero fastidio all'altezza del tendine di achille, ma non ci diedi troppa importanza.

Dopotutto, i dolori erano giornalieri, ormai ero abituato: cambiavano solamente posizione in base, al lavoro svolto nel pomeriggio durante il circuito.

Il coach, prima di dividerci in due squadre, ci ordinò dieci giri di campo extra.
Successivamente l'allenamento proseguii come al solito: con la partita finale.

Pur avendo eseguito l'allenamento in modo impeccabile, a livello generale, Louis, a differenza delle altre volte, non pronunciò parola a riguardo: comprensibile dopo il discorso sulle 'parole al vento' che ci aveva fatto precedentemente.

Durante lo svolgimento delle azioni mi trovai davanti l'occasione di tirare in porta, infatti, non me la feci scappare. Andando sempre molto vicino al goal, facendo fare passi avanti alla mia squadra.

Neppure questa partita, pur facendo parte dell'allenamento rimase appesa su un filo, con un pareggio.

Una volta rientrati nello spogliatoio, amareggiati e poco soddisfatti, anche la minima cosa poteva scatenare un enorme problema.

Ero perso nei miei pensieri quando Jacob entrò all'interno parlando, con un tono di voce tutt'altro che basso.
"Hai intenzione di passarla la palla? Se vuoi giocare da solo datti al tennis"

Non capii a chi si stesse riferendo, ma pensai che fosse solo un incomprensione tra compagni: questa mia certezza fu smontata nel momento in cui trovai i suoi occhi puntati su di me.

"Non penso di aver capito bene" dissi facendo finta di non aver sentito, proprio perché non capivo a cosa si riferisse.

Lui sapeva benissimo che in realtà avessi colto perfettamente la sua frase, per questo, non si sforzò nemmeno di ripetermela.

Entrambi non lucidi, ma soprattutto, annebbiati dall'insoddisfazione, facemmo accadere quello che non doveva succedere.

Ci avvicinammo pericolosamente...

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