Was I falling in love?

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|HARRY'S POV|
Dopo la partita ritornai nel convitto, nella mia stanza: ero davvero felice; e non sarò mai abbastanza grato a questo sport, per tutte le emozioni e per tutta la felicità che mi ha donato.

Mi sdraiai dopo essermi cambiato e fissai il soffitto, sorridendo.
Questo era dovuto al fatto di essere stato il punto fondamentale per la vittoria, per la mia squadra.
E questo mi rendeva così felice, ma soprattutto, così fiero: come non succedeva spesso.

Il coach, pur non avendo ancora detto nulla, mi aveva fatto capire: bastavano pochi gesti.
Mentre ci pensavo sentii il mio telefono vibrare, sapevo che era lui, lo lessi appena, ma ormai passavamo ogni sera e notte assieme.

Era normale? Lasciai correre quel pensiero, si che lo era, eravamo gli unici dentro all'interno di quella struttura. No?

Ci trovammo nella sua stanza, a parlare. Mi fece davvero capire quanto fosse fiero effettivamente di me.
Ma subito dopo tirò fuori un discorso che non doveva tirare fuori, mi dava fastidio anche solo parlarne.

"Hai presente quel discorso che avevamo fatto, sul rapporto con lo sport. Pensi sia migliorata la situazione?"

Quello che più mi dava fastidio era la convinzione con cui ne parlava, non sapeva nulla dei sacrifici che avevo fatto per arrivare a determinati livelli; e non avrei girato le spalle al calcio per nessun motivo, mi aveva salvato.

Lui non sapeva niente di quando in casa i miei genitori non facevano altro che urlarmi addosso; ogni volta che succedeva prendevo il pallone e mi ritrovavo puntualmente sul campo da pallone.

Quando la società dei Doncaster Rovers si interessò a me, presi la palla al balzo per allontanarmi da casa.
Avevo solo 11 anni, e lasciare casa, amici e genitori a quella tenera età era stato tutto tranne che semplice.

Nonostante tutto quella era stata la scelta migliore, e tuttora non ho nessun rimorso.
Non vedo mia madre e mio padre da ormai qualche anno; mi vennero a trovare solo i primi mesi; poi nessuno si fece più vivo.
E a me andava bene così.

Mi sgranchì la voce prima di parlare
"Questa situazione di cui tu ti ostini a parlare, non c'è mai stata e mai ci sarà, dobbiamo parlarne per forza?" dissi guardandolo, dal momento in cui si era posizionato davanti a me.

"Non è il fatto che ne dobbiamo parlare per forza, ma sei tu, sei tu che continui ad auto convincerti che vada tutto bene" mi rispose scuotendo la testa

"Non sono io, ma ti ripeto che tu non sai un cazzo, quindi certi discorsi evitiamoli in partenza"

"Harry, dato che io non so un cazzo, raccontami. Dimmi cosa c'è da sapere, così che io ti possa aiutare"

"Louis, mi stai parlando come se fossi un pazzo ricoverato. Quello che tu non sai, è perché non sono cose che ti riguardano, non credi?"

Dopo quest'ultima risposta ci furono diversi attimi di silenzio carico di tensione. Sapevo di aver usato parole sbagliate per esprimermi; lui voleva solo assicurarsi che andasse tutto per il verso giusto.

Sorrise amaramente prima di proseguire con la discussione.
"Ah non sono affari miei, eh? Allora non era affare mio nemmeno inserirti nella formazione di oggi dopo quello che hai fatto, o mi sbaglio?"

Non proseguii, sapevo che se avessi continuato avrei detto cose che non pensavo davvero.
Quello che lui disse non faceva una piega, ero stato uno stronzo, e me ne rendevo conto.
Lui si stava facendo in quattro per pararmi dalle cazzate che facevo.

"Harry" mi disse come a richiamarmi, ma non alzai la testa.
Le prime lacrime cominciarono a scorrere calde sulle mie guance.

Non capivo a fondo cosa mi ferisse, se la situazione o il fatto di averlo potenzialmente deluso con la mia risposta.

"Harry, guardami" mi portò due dita sotto al mento, per poi indirizzare il mio sguardo verso al suo.

Mi prese nelle sue braccia, cercando di calmarmi.
"Volevo solo sapere, ma se non ti va di raccontare al momento è okay" mi disse all'orecchio.

"Non è che non mi vada di raccontare, ho solo paura di riaprire ferite che ormai sono state chiuse"
Era vero, nascondevo tanto dentro, e temevo che il dolore di certe cose riaffiorasse se le avessi sputate fuori.

"È tutto apposto, se non te la senti, nessuno ti obbliga. È okay?" mi chiese continuando a stringermi a se, come se ora si sentisse un po' in colpa.

Un po' in colpa, per vedermi in quello stato, probabilmente pensava fosse per quello di cui stavamo parlando e trattando.

Ma eravamo noi a spaventarmi.
Proprio noi.

Provavo qualcosa per lui che non mi riuscivo a spiegare; certe situazioni e determinate sensazioni.
Non sapevo come prenderle e come interpretarle.

Mi stavo forse innamorando?
A quel pensiero caddi ancora di più come in un baratro di pensieri, che mi invadevano la testa senza riuscirmi a dare spiegazioni.

Passarono diversi minuti prima che ci mettemmo a letto; lui pensava che mi fossi addormentato.
Sussurrò qualcosa, era riferito a me, ma questo ci misi un po' a processarlo.

"Non mi stai facendo più capire niente, cosa mi stai facendo?" disse per poi avvolgermi con un braccio e addormentarsi subito dopo.

Mi trovavo forse nella sua stessa situazione?
Era difficile da ammettere soprattutto a me stesso, ma ero convinto che dopo quello che avevo sentito, gliene avrei dovuto parlare.

Mi promisi di farlo, il giorno dopo.
L'avrei fatto.

DONCASTER ROVERSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora