I hope you're holding hands by New Year's Eve.

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Infilo il cappotto e mi sistemo la sciarpa, afferro il pacchetto di sigarette dalla borsa ed esco in giardino. Casa di nonna Grace racchiude molti dei miei più dolci ricordi, fatti di storie inventate, spinte sull'altalena, corse sull'erba d'estate e cioccolata calda d'inverno, quando la neve cadeva pesantemente imbiancando il paesaggio rinsecchito. Facevo i compiti seduta al suo tavolo di legno chiaro, lasciando vagare di quando in quando lo sguardo fuori dalla finestra. Avrei voluto catturarli, qualche volta, quei paesaggi che sembravano distrarmi. Dentro, Charlie, la mia giovane cugina liceale, sta deliziando i presenti con qualche racconto divertente del campo estivo e sento la risata fragorosa di mio padre. Metto una mano in tasca per ripararla dal freddo e ci trovo il cellulare. Controllo lo schermo, che annuncia numerosi messaggi d'auguri, alcuni semplicemente copiati e incollati, altri personalizzati e carichi d'affetto. Breana mi ha telefonato questa mattina, appena sveglia, augurandomi buon Natale e promettendomi che ci vedremo tra qualche giorno, a Liverpool a casa Kane, che quest'anno ha deciso che ci ospiterà tutti per accogliere il nuovo anno. Mi accendo una Benson, guardandomi intorno. Il giardino, come molte altre cose in questa casa, non è cambiato poi molto e mi scopro felice nel constatarlo.
Sento la porta alle mie spalle aprirsi e chiudersi con un clack attutito.
"Fumi ancora quella robaccia?" domanda indagatrice, ma divertita, nel suo cappottino nero. Con un movimento lento si siede sullo scalino vicino a me allungando una mano "Da brava, offrine una alla tua vecchia".
Esaudisco il suo desiderio, passandole una sigaretta e accendendogliela, uno sguardo complice ci lega e poi torniamo a fissare l'ambiente che ci circonda, silenzioso, accoccolato nel grigio di questo pomeriggio.
"Com'è tornare qui?"
"Bello, molto bello."
"Ti senti ancora a casa a Manchester?"
Annuisco "Sì. Manchester non se ne va mai, è la mia casa... E' il mio punto di riferimento".
"Te lo chiedo perché sei sempre così tanto in giro per il mondo che a volte mi chiedo se tu riesca a sentirti a casa ovunque".
"No, non ovunque. Il concetto di 'casa' è un qualcosa di troppo intimo".
La sento sorridere "Come stai a Los Angeles?"
"Fa davvero caldo, nonna. Non è ancora pienamente casa mia, ma ci sto lavorando".
"Come sta Alexander?" soffia il fumo davanti a sé con eleganza.
"Bene", porto la mente a lui, ai giorni che abbiamo passato a Sheffield, da me, a scrivere, a baciarci, a fare l'amore, a cantare e a finire qualche bottiglia e molte tazze di the "ho sempre l'impressione che quando è in Inghilterra stia meglio".
"Tu e Alexander siete sempre stati simili."
Scuoto la testa "Al è tante cose che non si riescono a spiegare", quasi con malinconia sposto lo sguardo sulle mie scarpe.
"Credo che lui dica la stessa cosa di te", prende un po' di tempo, passa la mano a lisciare le pieghe della gonna "Ho letto il tuo ultimo racconto, è bellissimo. Sei così cresciuta... Il tuo stile, il modo di raccontare... Sono fiera di te", mi accarezza i capelli dolcemente.
"Grazie, nonna. Sto lavorando a qualcosa, posso mandartelo quando avrà preso forma? Il tuo parere è fondamentale per me".
"Non devi nemmeno chiederlo, tesoro. Spero sempre di poterti essere d'aiuto. Alexander l'ha già letto?"
"Mmm, ha letto qualcosa".
"Ricordo quando venivo a Sheffield a trovarvi e lui voleva leggere i tuoi temi... Che caro ragazzo".
Sorrido, la fitta di malinconia sfuma in uno sfondo di riconoscenza per l'uomo che è diventato, che sta diventando "Mi ha detto di salutarti, nonna".
"Salutalo e digli che lo aspetto. Potreste venire a trovarmi qualche volta".
"Penso che verrebbe volentieri".
Rimaniamo in silenzio, un silenzio intimo e complice.
"Ti manca il nonno?" le chiedo a bruciapelo. Mi sembra di essere ritornata la bimba che le faceva le domande più disparate senza rendersi conto che alcuni argomenti non andrebbero toccati mai, soprattutto a Natale. Se una parte di me ne è dispiaciuta, l'altra è incuriosita.
"Certo, Beth." Risponde con quella pacatezza che l'ha sempre caratterizzata, un misto tra orgoglio e consapevolezza e lo sguardo di chi nella sua vita ha vissuto e amato mai con riserve e sempre con maturità.
"Mi parli un po' di lui?" mi accoccolo sulla sua spalla.
"Mi manca perché sapeva sempre di che cosa aveva bisogno senza che glielo dicessi. Leggevamo per ore, quando eravamo insieme. In silenzio, uno vicino all'altra, ognuno immerso nel suo mondo. Eppure era la condivisione più sincera che avessimo. Mi manca tuo nonno, ma so che è sempre con me. E con te."
Mi faccio abbracciare con tutta la tenerezza che solo mia nonna riesce a trasmettermi.
"Forse è meglio che rientri, prima che tua zia inizi a sparecchiare il tavolo in fretta e furia. Vieni, cara?"
"Solo un attimo, arrivo subito".
Mi rivolge un sorriso che mi scalda il cuore e mi passa una mano sulla testa. Quando la porta si chiude, cerco sul telefono il messaggio di questa notte e sorrido.

Non ho sonno, leggo Cooper Clarke. Ti penso.



Seduto scomposto sul divano di pelle, il mio sguardo si sposta nella stanza e, per l'ennesima volta, ritorna a lei. Siamo rimasti in pochi, fedelissimi, in giro per questa casa e si è seduta sul divano di fronte parlando con Miles. Stavano discutendo su quale sia il miglior festival a cui andare quest'estate, i bicchieri man mano sempre meno pieni. Hanno iniziato a ridere lanciando indietro la testa, Miles si teneva la pancia e lei si asciugava con il dorso dell'indice le lacrime che le rigavano le guance. Poi, con un movimento tanto fluido da essere disarmante, ha sollevato le gambe, adagiandole in braccio a Miles che ne ha assecondato la volontà senza battere ciglio e, anzi, cingendole dolcemente le caviglie con le dita. La ascolta con interesse, la guarda dritta negli occhi e le risponde, le fa delle domande, il suo entusiasmo travolgente è tutto riversato su Beth.
Io, dalla parte opposta, solo e con un bicchiere fin troppo pieno, la osservo. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso e l'alcol aumenta l'audacia, che cerco di tenere a freno. Brucia talmente tanto che sembra farmi male, come se ogni secondo passato qui a studiarla senza poterla toccare mi stesse torturando. La sto spogliando con lo sguardo e se altre volte mi sono trattenuto da fare il pervertito del cazzo della situazione, ora proprio non ci riesco.
Mi volto verso il camino, alzo lo sguardo sull'orologio. Le quattro e mezza e Brenda, la nuova amichetta di Miles, sta vagando per la casa con una bottiglia di vodka liscia e la minigonna ormai diventata un pezzo di stoffa inguinale.
Passa accanto al divano, bacia con trasporto Miles e si volta verso Beth. Le sorride, le accarezza i capelli e si allontana barcollando. Ridacchio tra me e me, ritornando sulla mia preda.
Questa sera si è presentata in un vestitino nero, semplice ed elegante, i capelli raccolti, le labbra scarlatte e uno sguardo tanto intenso, tanto liquoroso, che contemporaneamente ti sfida e ti attrae. Una carica di sensualità, un'indifferenza tagliente e poi, di colpo, delle premure che mi stringono lo stomaco. Quasi non mi ha rivolto la parola, impegnata a fare coppia con Breana, e poi mi ha accarezzato con lo sguardo, ha allungato una mano sul mio ginocchio durante la cena, mi ha sorriso con una spontaneità che, insieme alla lussuria che sembra mi stia fottendo il cervello, mi ha colpito dritto in faccia.
A mezzanotte, quando ci siamo riuniti tutti con il calice in mano per festeggiare il nuovo anno, era appena un passo davanti a me. L'ho abbracciata e, nascondendo il viso dietro il braccio, le ho lasciato un bacio sul collo. Mi ha guardato dritto negli occhi con la sua fierezza, quella che sembra un'innata superiorità e mi ha sussurrato "Buon anno".
Nella mano sinistra tiene svogliatamente il bicchiere basso e tozzo, immergendoci le labbra di quando in quando. La mano destra, appoggiata sulla coscia, si muove a supportare e rimarcare ciò che sta dicendo, gesticolando appena. Il seno, abbracciato dal tessuto del vestito, si mostra dalla generosa scollatura e le gambe – dio, quelle gambe. Ride ancora, questa volta quasi con un urletto e allunga le gambe in avanti. Come un felino, il mio sguardo intercetta una riga più scura sulla coscia... Oh, Cristo, Beth, le autoreggenti. Non dovevi farmelo.
Scuoto appena la testa e i miei occhi ritornano lì, dove l'orlo del vestito lascia sadicamente e maliziosamente intravedere un riga più scura, pizzo, immagino, in contrasto con la pelle chiara. Nuda. Mi stropiccio le palpebre, e la guardo ancora più intensamente. Il suo broncio, assorto ad ascoltare le parole di Miles, mi porta inevitabilmente a pensare ai giorni passati a casa sua, la scorsa settimana.
Pochi giorni... Eppure sono stati così intensi.
Una mattina si è alzata dopo di me, avevo bisogno di fumare una sigaretta e il jet lag stava facendo il suo sporco lavoro e, seduto al tavolo della cucina, l'ho sentita arrivare alle mie spalle. Stavo fissando fuori dalla finestra gli scrosci d'acqua che come fiumi si riversavano su Sheffield, un rumore continuo e soffuso, unito a quello del bollitore che avevo messo sul gas.
"'Giorno" ho accennato un sorriso.
"Mornin'" ha risposto quasi con un ringhio. Ha preso la sua tazza, tagliato due fette di limone e versato l'acqua che non era ancora giunta a ebollizione. Senza guardarmi, è uscita sul balcone, chiudendosi la porta alle spalle e mostrandomi la sua figura che sembrava così piccola, così indifesa. Si è stretta nella sua vestaglia, cingendosi la vita con il braccio libero dalla tazza, ed è rimasta immobile, così, a guardare davanti a sé. I capelli biondi che si riversavano sulla schiena, leggermente mossi e il respiro era l'unico movimento concesso a quel corpicino che avrei voluto stringere forte a me. Quando è rientrata, mi ha sorriso con dolcezza "Avevo bisogno di guardare la pioggia. Dormito bene?" e ha iniziato a parlare con me, a raccontarmi di quando correva sotto la pioggia, da piccola, a Manchester, e saltava a piedi uniti nelle pozzanghere e alzava il viso verso il cielo, con la bocca aperta, per assag giare il sapore della pioggia. Lì ho capito cosa significa per lei, lì, con le sue braccia allungate sul tavolo e il profilo delle scapole delineato così nettamente che avrei voluto baciarlo, mi sono reso conto di quanto la scrittura e il mondo esterno si fondano in lei e di come io, in quel momento, fossi una specie di scienziato che deve osservare un meraviglioso animale in via di estinzione nel suo ambiente naturale. In numerosi momenti agiva come se io non ci fossi e tutto questo era votato al suo lavoro – alla sua vita.
Immaginavo accettando il suo invito che ci sarebbe stato qualcosa di fisico, tra noi. Era inevitabile, ma non sapevo cosa aspettarmi. Come avrebbe reagito e se la magia fosse svanita, dopo i nostri episodi da romanzo. Non avrei mai sospettato fosse così. Così romantico e così malinconico, a volte quasi un'urgenza, quando non sopportavo più la chitarra in mano e ogni parola sembrava perdere senso. Un pomeriggio stava fissando fuori dalla finestra, con il suo quaderno dalle pagine giallognole davanti e la biro tra le mani. Arrotolava una ciocca di capelli intorno al dito e fissava per mezz'ore intere dei punti in giro per la stanza. In quel momento, toccava al paesaggio esterno, ovattato nella nebbia. Ad un certo punto ho sollevato la tazza sul tavolino accanto a me e mi sono bagnato le labbra nel the, per poi riporla nella sua posizione iniziale. Si è voltata di scatto, con gli occhi spalancati. "Cos'hai fatto?" mi ha chiesto, con tono quasi alienato, come se si fosse appena risvegliata da un'anestesia.
"Io..."
"Rifallo" mi ha ordinato. Lentamente, ho ripetuto ogni singolo gesto e sentivo i suoi occhi pesanti su di me. Ha annuito e ha scritto, di getto, per minuti, quasi con fame, con desiderio di scrivere ancora, con la mano dalle nocche bianche, tanto le dita pressavano sulla biro. Poi si è alzata con un movimento leggero, in punta di piedi mi ha raggiunto e si è seduta a cavalcioni su di me, senza dire niente. Mi è bastato guardare il suo viso, così carico di cose da dirmi che la pelle liscia sembrava tremare, e ho capito che cosa mi stava comunicando. Ogni fibra di me lo percepiva. "Ti prego", mi ha sussurrato dolce sulle labbra e altrettanto dolcemente, con un'attenzione quasi maniacale, l'ho spogliata e ho accolto le sue labbra su di me come lei ha accolto me, dentro di lei.
Non ho mai vissuto così tanto a contatto con lei e questi giorni mi hanno rivelato dei lati che non conoscevo, o che conoscevo solo approssimativamente. Quelli più bui, quelli con cui a volte combatte. E' come se il dipinto di lei nella mia testa si fosse arricchito di nuovi colori, dettagli fondamentali, segreti svelati. La vedo in maniera più completa e più vera, e mi piace ancora di più, la sento ancora più vicina a me.
In questo momento vorrei che fosse tutto un po' più facile, vorrei un po' più di normalità. Vorrei prenderla in braccio e portarla a casa e stare con lei, a far niente.
"Sharrock, hai un po' di rum per me?"
Jay si ferma praticamente davanti a me, come se con un telecomando l'avessi fatto frenare istantaneamente "C'è sempre del rum per te, amico" e così dicendo rovescia un po' del contenuto della bottiglia che ha in mano nel mio bicchiere fino a farlo traboccare, si allontana scrollando le spalle e assesta una pacca sul sedere a una ragazza, una brunetta con l'accento del sud, che non ricordo perché sia qui.
Con il mio fedele compagno di serate, il mio bicchiere, mi alzo e raggiungo il terrazzo esterno, da cui si accede direttamente dal salone. Ci sono un paio di gruppetti di fumatori che sghignazzano e io mi conquisto il mio posto proprio sull'angolo della balaustra, guardandomi intorno. Mi accendo una sigaretta con nervosismo e mi appoggio con la schiena, per poter guardare meglio dentro, oltre la porta a vetri. Vedo Breana, in braccio a Matt, stringergli il viso con entrambe le mani, sorridere e lasciare sulle sue labbra un bacio tenero. Matt la guarda con degli occhi così innamorati che mi fa dubitare di essere davvero capace a provare qualcosa di simile. Sono stato tante cose, ma innamorato davvero, ce l'ho mai fatta a esserlo? Cazzo, quando inizia a fare l'effetto l'alcol? Accompagno un generoso sorso di cocktail e un tiro dalla sigaretta e cerco Beth nella stanza, dato che non è più seduta con Miles. La incontro pochi metri più in là, in piedi, che parla con Katie e la abbraccia e si raccontano qualcosa, coinvolgendo Cookie.
"Cosa ci fai qua?" un tono di voce allegro mi fa sobbalzare.
"Che cazzo fai, a momenti mi fai prendere un infarto" ammonisco Miles tirandogli un pugno sulla spalla a cui risponde con un urletto. "Che palle, Alex", sbuffa.
Si accende anche lui una sigaretta e iniziamo insieme a guardare i presenti, finché non intercetto la figura di Brenda, che vaga senza scarpe da una stanza all'altra con i capelli biondo platino arruffati.
"Bel colpo," la indico con il bicchiere "dove l'hai trovata?" rido.
"E' pazza, è totalmente folle! Ma è anche una ragazza molto dolce, mi piace" fa spallucce "e comunque è meglio che – "
"Oh, no, Miles... Non dirmi che l'hai trovata in un club privato in Russia o in qualche luogo da pervertito del cazzo che conosci solo tu."
Scuote la testa divertito "Grazie per la fiducia, amico" ride sonoramente "No, ho conosciuto Brenda su un volo per la Francia qualche mese fa, fa la modella."
"Non sei mai banale nelle scelte."
"Senti chi parla" sbuffa.
"Touchè."
"Anche se..." e dal suo tono di voce fattosi malizioso, capisco che sta per iniziare una serie di insinuazioni e possibili doppi sensi da cui non posso scappare "Forse ora ti piacciono di più le scrittrici."
"Tappati quella bocca, Kane."
"Touchè un'altra volta a quanto pare", mi fa l'occhiolino "prima la stavi spogliando con gli occhi, sembravi fuori di te."
"Pff, sono le tue solite fantasie."
"Alex," mi guarda negli occhi, serio "con me puoi parlarne. Cazzo, conosci tutto di me, anche i casini che combino ai festival e tutti quegli intrighi peggio dei Borgia. E tanto lo so che stasera in dependance ci finite insieme, eh. Lo sapevo da quando ti ho detto che ti saresti potuto fermare qua quanto volevi dopo Capodanno."
Colpito, spezzato e affondato. "L'hai vista stasera? Non ti sembra diversa? Più... Donna?"
"E' una bomba", ammette lui accompagnando l'apprezzamento con un gesto della mano, "l'ho vista molto presa dal nuovo racconto."
"E' andata avanti la scorsa settimana nella stesura."
"E tu?"
"Scrivo", scuoto appena la testa "scrivo chissà cosa. E' come se dopo che l'ho avuta, tutto in me si fosse votato agli istinti più oscuri e grotteschi."
"Hai azzannato la preda e hai perso ogni inibizione."
"Ma lei non è solo una preda."
"Lo so, ma stasera, oltre il bene che le vuoi, hai anche quell'istinto lì, quello primordiale. Mi sbaglio, Al?"
Faccio segno di no.
"Ecco, appunto", perentorio. "E lei ti vuole, ti vuole davvero. Ma temo... No, niente", scrolla le spalle quasi dispiaciuto.
"No, dimmi, Miles, finisci la frase. Per favore."
Mi guarda gravemente negli occhi, le labbra tremano appena, poi si decidono "Temo che dovranno passare ancora molte 'Arielle', prima che tu capisca quanto e cosa voglia dire lei per te."
Abbandono mollemente un braccio accanto al corpo. Sì, hai ragione, amico mio. E' vero. Chissà quante ne passeranno prima che io mi decida ad ammettere che è lei, quella giusta con me. Chissà quante altre volte dovrò farmi del male prima di capire che non è una colpa, lasciarsi fare del bene.
Spengo la sigaretta con un movimento deciso e ultimo il contenuto del bicchiere, percependo la testa che si fa più leggera.
Finalmente.

"Sei davvero bella", Katie mi accarezza il viso e mi invita a sedermi vicino a lei. Zampettando agile per la stanza, arriva anche Breana, che si siede in braccio a me cingendomi una spalla con il braccio.
"Come stai, tesoro? E' da parecchio che non ci vediamo."
"Bene", appoggio il bicchiere accanto a me, stringendo Bre, "ho ricominciato a scrivere... Ho scritto parecchio ultimamente."
"Hai più sentito Philip, dalla rottura?"
Scuoto la testa "No. Come da accordi. Anche se non nego di averci pensato. Insomma, le feste degli ultimi anni le ho passate con lui."
"Come ti senti a riguardo?" è la mia amica accoccolata a me che mi rivolge la domanda, piegando la testa di lato con un sorriso.
"Neutrale, direi. Fa parte del passato... Io... Io non avrei potuto più portare avanti quella situazione."
Sentiamo una risata, tutte e tre ci accorgiamo di Alex e Miles che rientrano dopo essere usciti sul terrazzo, raggiunti da Matt che con il viso paonazzo offe loro un cocktail di sua invenzione.
"E con Alex?"
"Con Alex?" domando facendo la vaga.
"Non prendermi per il culo, Connell", Breana mi pizzica la pelle "il giovane questa sera sembra fatto. E non come al solito", accenna un sorriso malizioso "sembra proprio in botta a forza di stare con te."
"Concordo", si unisce Katie indicandola con l'indice "Bre ha ragione."
"Quindi cos'hai da dire a tua discolpa?" ride l'altra.
"Niente da dichiarare", alzo le mani in segno di resa "se non che io e Al ci siamo... Ritrovati, diciamo. La sua presenza mi fa bene."
Miles lascia il suo posto a Jamie per raggiungere Brenda e lui, Alex e Matt ci raggiungono parlottando tra loro. Jamie si siede accanto a Katie, Matt posa una mano sul capo di Breana e Alex rimane in piedi davanti a me, fissandomi negli occhi con il bicchiere in mano.
"Com'è il cocktail di Matt?" domando con un sorriso.
"Fenomenale!" si agita l'ideatore asciugandosi il sudore dalla fronte.
"Provalo", inarca appena il sopracciglio, allungando il bicchiere davanti ai miei occhi. Seduta di fronte a lui la sua figura mi sovrasta, facendolo sembrare più alto. Prendo il bicchiere facendo attenzione a non sfiorare di proposito le sue dita e sorseggio il contenuto continuando a guardarlo. Una morsa di desiderio mi stringe lo stomaco e l'alcol che ho appena ingerito mi fa avvampare "Porca troia, questo è alcol puro", allontano leggermente disgustata il bicchiere.
Alex fa spallucce "E' questo il bello. Mi piacciono le cose forti", mi fa l'occhiolino per poi guardarsi intorno. Breana accanto a me mi dà una ginocchiata sgranando gli occhi, per poi voltarsi verso Matt come se niente fosse accaduto.
Mi alzo in piedi, a pochi centimetri da lui posso sentirne il respiro lento e mi sembra di poter percepire il movimento del suo corpo che inspira ed espira.
"Per me è arrivato il momento di fumare", faccio un cenno alle mie amiche e mi appresto ad allontanarmi, ma Alex allunga le dita sul mio braccio nudo "Ti accompagno?"
"So dov'è il terrazzo, tu sei appena uscito, non disturbarti", ricambio l'occhiolino.
"E' un piacere per me. Ti accompagno", ribadisce, questa volta con un'affermazione perentoria, stringendo appena le dita sulla mia pelle. E' una mia impressione o sembrano dannatamente calde?
Invece di uscire sul terrazzo principale, faccio sì che mi segua in cucina e poi nella stanza adiacente, dove, da una porta scorrevole a vetri ornata con tende rosso porpora, si esce sul giardino che con un sentierino ciottolato giunge all'adorata dependance di casa Kane, il rifugio segreto per ospiti e per il proprietario durante... Qualunque cosa faccia lui nelle sue serate con modelle e mod. Lì ho lasciato la mia valigia, oggi pomeriggio, quando sono arrivata da Manchester e avevo assolutamente bisogno di una doccia e di un posto in cui prepararmi per la serata. "La dependance è tua, sweetie pie" e ora interpreto il guizzo nei suoi occhi come la predizione che la condividerò con qualcuno, stanotte.
Qui siamo indisturbati, ma solo ora mi rendo conto di non aver preso le sigarette, né tantomeno il cappotto. Uscire quasi alle cinque di mattina del primo gennaio con un vestitino non è la mossa più saggia. Istintivamente porto entrambe le mani a sfregarmi le braccia, ma lui mi fa penzolare davanti agli occhi il suo cappotto scuro "Tieni", sorride enigmatico "l'ho preso prima che entrassi in cucina perché ho notato che pensi di essere ancora a L.A."
Sorrido "Grazie, sei gentile", ma quando allungo le dita per prendere il cappotto, lo sposta avvicinandolo a sé "dovresti venire più vicino." Il suo sguardo sembra infuocato ed è innegabile, mi eccita come mai prima. Lo accontento, lasciando che mi aiuti a indossare il cappotto, stringendomi a sé. Si infila una sigaretta tra le labbra.
"Me ne offri una? Ho lasciato il pacchetto in casa", piagnucolo.
"Te ne sto offrendo una", dice con l'angolo della bocca, prima di accenderla con un guizzo arancione dall'accendino e aspirarne una generosa boccata. Con il polpastrello percorre il contorno delle mie labbra, colorandosi del mio rossetto, per poi appoggiarci la sigaretta.
"Prego."
E' così serio, così profondo.
Rimango accanto a lui, il cielo è ancora scuro e privo di stelle, il vento ulula in lontananza. Il suo braccio mi cinge la vita, facendomi appoggiare la schiena al suo petto. La sua mano scivola sotto il cappotto raggiungendo il mio seno e attaccandomi ancora di più a lui. Sento il suo respiro sul mio collo farsi man mano più intenso, finché le labbra rese morbide dall'alcol mi baciano la pelle e un morso sopra la scapola mi fa sussultare.
"Hai voglia di giocare, questa sera?" mi chiede, tenebroso.
"Perché me lo chiedi?"
"Mi è sembrato che fosse così. Sbaglio?"
Sorrido "Mmm, forse no. Forse hai ragione."
"Forse, eh!?" sorride anche lui, sfiorando con le labbra il mio collo, nuovamente "Ti voglio con me stanotte."
Annuisco, "Sì."
"Ridimmelo."
"Sì, Alex."
Avvicina sfacciatamente il suo ventre al mio fondoschiena, "Mi hai messo voglia di giocare, Beth."
Un sorrisetto stupido mi esce dalle labbra mentre ogni parte di me si tende, desiderandolo. Un fremito che mi scuote la schiena, a più riprese, e la sua mano non si stacca dal mio petto, tenendomi salda a lui.
"Propositi per il nuovo anno?"
La sua voce ha un'intonazione mielosa e lenta, le parole si perdono nell'aria fredda in un sussurro.
"Nessuno, Turner", lo imito e soffio pacatamente il fumo verso il cielo, che si perde in spirali grigiastre.
"Oh, per fortuna. Già temevo volessi smettere di bere... Di fumare..."
"No, non lo farei mai", rido lasciando cadere il braccio lungo il corpo e spostando la mano dietro di me, incontrando la sua, che tiene precariamente il bicchiere di puro alcol. Sciolgo la presa dal bicchiere e me lo porto alle labbra, sorseggiando lentamente il cocktail mentre sento i suoi occhi osservarmi.
"Non era troppo forte?"
"A me piacciono le cose forti", mi volto appena, sfidandolo con lo sguardo. In un attimo, le sue labbra si avventano sulle mie, mordendole con una veemenza che mi toglie il fiato. Più affonda i denti, più la mia voglia di essere sua cresce e la sua lingua soffoca il mio gemito.
"Giochi con il fuoco, dolcezza."
"It's better to burn out, than to fade away."
"My my, hey hey" intona sulle mie labbra in un soffio.


Ho perso la concezione del tempo e più cerco di ridurre gli occhi a fessure per distinguere le lancette dell'orologio, più questo sembra che si deformi in una strana fantasia di Salvador Dalì. Brenda miagola verso Miles che "desidererebbe davvero tanto una tigre, Miles-tesoro-mio" e il mio amico le risponde allungando l'indice sulle sue labbra promettendole che gliela comprerà. A qualunque ora, in qualunque giorno, casa di Miles è una specie di territorio franco, di spazio fuori dal mondo in cui non esistono regole. E' come essere sempre e costantemente in tour, un interminabile after party di persone che ti vogliono bene e camicie dalle fantasie bizzarre. A casa di Miles non sei mai giudicato e puoi permetterti, una volta tanto, di fare il cazzo che vuoi.
Gli ospiti se ne sono praticamente andati tutti, Jay e Jeff ciondolano in stato comatoso sul divano emettendo qualche lamento strampalato di quando in quando, Miles e Brenda sono seduti accanto a me, nella stessa posizione in cui ore fa osservavo Beth come un maniaco. Lei è in cucina, ha detto di voler sistemare un po' in giro e sul pavimento si sente, ad intermittenza, il ticchettare dei suoi tacchi e l'acqua del rubinetto che scorre, il rumore dei piatti e la lavastoviglie, aperta, chiusa e di nuovo aperta. Qualcosa cade, forse un cucchiaino e un "vaffanculo!" proviene forte e chiaro dal suo accento mancuniano.
"Forse è ora di andare a dormire", propongo con voce rotta, massaggiandomi le tempie.
"Immagino di sì, Turner", malizioso Miles mi fa l'occhiolino prima di prendere Brenda in braccio, che si lascia sollevare con un urlo "buonanotte, Al. Jay, Jeff, i divani sono vostri. Non vomitate sul tappeto sennò vi faccio causa. Buonanotte, Beth!" esclama più forte allungando il collo.
"'Notte, tesoro!" gli risponde dalla stanza alla fine del corridoio.
Mi accerto che il padrone di casa e concubina siano al piano superiore e, silenziosamente, mi dirigo in cucina. E' appoggiata al ripiano in marmo bianco e non si accorge della mia presenza, troppo impegnata ad asciugare un piatto.
Felinamente, la abbraccio appoggiando il mio petto alla sua schiena come ho fatto qualche ora fa e subito sento il suo profumo e studio i suoi capelli, meticolosamente raccolti, in cui vorrei perdere le mani, che vorrei accarezzare.
"Ciao, Connell", sorrido con il mio miglior tono profondo.
"Ciao", sorride anche lei, lasciando scivolare la mano lungo il mio braccio e stringendo le mie dita, voltandosi di tre quarti e svelando quella pelle così liscia e perfetta. Che cazzo mi sta facendo.
"E' ora di andare a dormire."
"Concordo", stringe gli occhi come una bimba, voltandosi di scatto e gettandomi le braccia al collo "mi porti a dormire?"
Senza il minimo sforzo la sollevo da terra stringendola a me come se potesse cadere da un momento all'altro, come se potesse sparire tra le mie mani come sabbia. Appoggia il mento sulla mia spalla e sento il suo respiro dolce sul collo.
"Prima prendiamo il cappotto, entrambi. Sennò moriremo di freddo."
Piagnucola un po' quando sono obbligato a farle appoggiare i piedi a terra per poter prendere il mio cappotto e infilarle il suo. Faccio tutto solo con una mano, l'altra è impegnata a sorreggere la sua schiena, ha ancora i tacchi ai piedi e un meraviglioso sorriso assonnato.
Mi abbraccia, dandomi un bacio bollente sul collo e sento che il mio autocontrollo sta per venire meno. Non bruscamente, ma pian piano, come se tenendomi per mano mi stesse conducendo verso il caldo dell'inferno passeggiando e respirando a pieni polmoni il profumo, il nostro profumo.
La mia mano dalla schiena, ormai protetta dalla stoffa pesante, si appoggia sul suo sedere, facendola ammiccare "Mi porti a letto sì o no?" miagola accanto al mio orecchio. La prendo in braccio e, uscendo dalla medesima porta di qualche ora fa, percorro il sentierino ciottolato che conduce alla casetta in mezzo al giardino. Per fortuna almeno qui non è piovuto, negli ultimi giorni, ma un freddo paralizzante inizia a scolorire il cielo, che si prepara ad accogliere l'alba.
Non so perché l'ispirazione vada di pari passo con l'eccitazione, temo sia un meccanismo malato che mi ha innescato questa donna che ho tra le braccia dopo la prima volta che abbiamo fatto sesso. Anche se quello non era solo sesso, ma nel mio caso è meglio tralasciare ogni possibile definizione. Dopo che l'ho avuta è un'ossessione, è un pensiero da cui non riesco a staccarmi. Se scrivo a una donna ipotetica e mi impongo di dimenticarmi di Beth, ecco che questa donna fittizia improvvisamente, appena abbasso la guardia, assume il suo stesso broncio, ha gli stessi capelli biondi e la stessa voce, quella che mi rimbomba in testa nei momenti più assurdi. Sembra così piccola tra le mie braccia, proprio come quella mattina fuori al freddo a fissare la pioggia.
Mi richiudo la porta alle spalle con un colpo di tallone e la faccio sedere delicatamente sul letto, allungandomi poi ad accendere una abat-jour sulla cassettiera sotto lo specchio. Solo ora noto la sua valigia aperta e le sneakers accanto alla poltrona. Oggi pomeriggio, appena arrivato, avevo solo un'immensa fretta di lanciare in questa stanza il mio borsone e far iniziare la festa.
Ci sono le sue cose, disseminate in giro, ed è la prima volta che non lo sono a casa sua e io vedo come si è ambientata. Mi sento ancora una volta un osservatore del suo modo di essere e di comportarsi, così semplice, che mi dice così tanto.
"Tutto bene?" mi domanda alzandosi in piedi e passandomi accanto, posizionandosi davanti allo specchio dopo essersi tolta il capotto. La imito, guardando la stanza e sedendomi sul letto "Sì... Sì, io oggi non avevo notato le tue cose, quando sono passato a lasciare la mia roba", mi tolgo le scarpe posizionandole accanto al borsone di pelle scura.
Sorride e scrolla le spalle, guardandosi allo specchio e picchiettando con la punta dell'indice la pelle sotto l'occhio "Fottute occhiaie", ringhia alla figura riflessa davanti a sé. Porta una mano sul collo, muovendo il capo a destra e sinistra. Sfiora la cerniera del suo abito e la mia attenzione è tutta rivolta a quelle dita che giocano.
"Alex, per favore, dammi una mano", indica la sua schiena e quel piccolo pendaglietto che chiude la cerniera che corre in verticale sul vestito.
Mi avvicino lentamente, quando sono dietro di lei noto che con i tacchi è più o meno alta come me e alzando le mani verso il suo collo vedo il riflesso dei suoi occhi sullo specchio seguirmi con devozione. Ora il suo sorriso è un invito e appoggio le dita alla stoffa, tenendo un lembo del vestito e lasciando scorrere la cerniera millimetro dopo millimetro. La pelle chiara si rivela man mano e so che tra un po' non riuscirò più a mantenere il controllo su me stesso, sul mio cervello e soprattutto sul mio corpo. Sento che sono già lontano dalla lucidità, e questa volta l'alcol gioca un ruolo minimo. Sospira, quando termino il compito e le mie mani si appoggiano sui suoi fianchi, cingendoli. Mi ringrazia con un cenno della testa e torna a guardarsi allo specchio, togliendo ogni forcina dai capelli, da quell'acconciatura che ora libera a più riprese ciocche bionde impertinenti che, ondulate, le ricadono sulle spalle. A ogni forcina che prende dalle dita e districa dai capelli, l'apertura del vestito si allarga e poi si tende seguendo i suoi movimenti. La cerniera si ferma sopra il suo fondoschiena, portandomi alla mente ricordi poco ortodossi e facendomi fare pensieri ancora peggiori. Non si cura di me, troppo impegnata a far cadere fermaglio dopo fermaglio sulla cassettiera liberando la sua massa bionda e lucente. Si volta e fa un passo verso di me, il suo viso ad un centimetro dal mio, le labbra che si sfiorano.
"You thought you'd never get obsessed, you thought the wolf would be impressed..." canticchia, ha smesso di essere fragile. O forse no, continua a essere fragile, ma capace di farti bruciare con uno sguardo. E' come se la sua pelle fosse contemporaneamente bollente e sottile da rompersi sotto il mio tocco.
Mi sembra di sentire lo stomaco attorcigliarsi.
Infilo una mano tra i suoi capelli, avvicinandola a me ed esplorando subito la sua bocca con la lingua, avido e affamato.
Hai azzannato la preda e hai perso ogni inibizione.
E ne voglio sempre di più.
Le mie mani si appoggiano sulle spalline del vestito che senza alcuna resistenza scivola ai suoi piedi. Quando sento la stoffa incontrare il pavimento, mi stacco appena dalla sua bocca e la osservo, il corpo nudo nella penombra freme a ogni respiro e rimane davanti a me solo con un paio di slip, le autoreggenti che avevo indovinato qualche ora fa e le scarpe, che le permettono di guardarmi negli occhi senza alzarsi sulle punte come fa di solito. Non indossa il reggiseno e osservando le sue forme così sode, involontariamente passo la lingua sul labbro inferiore in segno di approvazione. Abbassa appena il viso, arrossendo e mordendosi il labbro inferiore. Eccola, la fragilità di lasciarsi guardare da me, in tutta la sensualità che può racchiudere il suo corpo con il semplice movimento del respiro.
"Cristo..." sussurro mentre non riesco a staccarle gli occhi di dosso e sento l'eccitazione scuotermi e farmi pulsare le tempie. Allungo le dita verso il suo ventre piatto, la pelle bianca resa aranciata dalla luce alle sue spalle. La sfioro delicatamente, sentendo la sua pelle rispondere a ogni mio tocco come il miglior strumento mai esistito e il suo respiro si fa più forte, riesco a sentire l'aria che inspira ed espira gravemente, come se le costasse una fatica che non riesce a sopportare.
Sposto una mano sulla sua schiena, raggiungendo l'orlo degli slip, quello che la cerniera, stronza, mi nascondeva. Con l'altra mano scopro la sua mandibola, il collo, il seno, seguita da baci che aumentano di intensità, il suo profumo mi inebria e il sapore della sua pelle ormai mi fa abbandonare ogni resistenza. Mentre le bacio il seno sposto la mano sul suo ventre e poi sulle cosce, dove le autoreggenti nere cingono ancora le gambe meravigliose.
"Le ho viste, prima..." sussurro.
"Sì?" un suono distorto esce dalla sua bocca.
"Ti voglio", sospiro sulle labbra prima di riprendere a baciarla con ancora più foga. Le mie dita giocano con l'orlo dei suoi slip, un gioco al massacro per i miei nervi. Sono un sadico bastardo.
In un attimo in cui riesce a reagire alla tempesta che sembra la stia scuotendo, sbottona la mia camicia con decisione, quasi facendo saltare gli ultimi bottoni, e la getta sul pavimento. Osservo i suoi movimenti, affannosi ma mai lasciati al caso. Ora è lei a cercare le mie labbra e ad aprirmi la cintura dei pantaloni. Con un passo si libera del vestito che giace alle sue caviglie e mi spinge sul letto. Sono sotto di lei, che ha lasciato cadere le scarpe a terra senza nemmeno guardarle, e finalmente realizzo il mio desiderio di mettere entrambe le mani sul suo sedere sodo spingendola verso di me. Mi asseconda e spalmata sul mio corpo, abbiamo lo stesso respiro.
"Oh, Al", sussurra baciandomi e togliendomi i pantaloni e non posso che osservare il suo corpo nudo muoversi su di me con una naturalezza e una sensualità senza pari, con la complicità che ci unisce. Passa una mano sui miei boxer, con risoluzione e malizia, sorridendomi sfrontata "Oh, Al", ripete nuovamente, con più passione, mentre la sua mano accarezza la mia erezione e io chiudo lì occhi, stringendo le palpebre. Hai azzannato la preda e hai perso ogni inibizione.
Rimane seduta su di me, una mano tra i capelli e l'altra sul mio petto e il suo sguardo si è fatto così profondo che sono sicuro che i suoi occhi stiano brillando di desiderio, il riflesso del fuoco che mi brucia tra il basso ventre, lo stomaco e la testa. Fa aderire il seno ai miei pettorali, sa quanto mi piace sentirla addosso a me, e insinua la sua lingua tra le mie labbra mentre mi libera dai boxer diventati ormai un fastidio insopportabile. Mi tiro a sedere e continuando a baciarla, li faccio cadere ai piedi del letto, le mie mani che senza tregua percorrono la sua schiena, le sue cosce, il suo sedere e poi avvicinano le sue spalle a me. Con una mano, dolcemente ma con decisione, ha iniziato ad accarezzarmi con movimenti gentili e ritmati e in qualche modo devo fermarla, prima che sia troppo tardi.
"Beth", la mia voce trema e la mia devozione si fa strada in gola, nel profondo, con il mio tono più roco e caldo. La stendo, le nostre labbra che si inseguono, lottano e si arrendono, si rincorrono e si sdraiano, le une sulle altre. Mi stacco da lei, accompagnando il tocco delle mie dita a quello dei miei baci, sul collo e il seno, procedendo sul suo ventre dalla pelle morbida e liscia, per arrivare al limite delimitato dai suoi slip di pizzo percorrendolo con la lingua, con lentezza. Un mugolio di piacere proviene dalle sue labbra chiuse e infila le mani tra i miei capelli, spingendomi più in basso. Quando raggiungo la sua intimità la trovo già pronta, non vedo l'ora di toccarla, stuzzicarla, baciarla. "Alex" in un sospiro che trasuda urgenza e bisogno, quello che mi fa passare oltre per sfilarle le autoreggenti con un movimento fluido. Percorro il profilo delle sue gambe sode con le labbra e con la lingua, quando arrivo a toglierle gli slip, i miei baci sono diventati roventi e decisi. Tremo appena e sento le tempie pulsare aritmicamente, le mie dita la penetrano, il suo respiro si è fatto forte, percepisco le sue mani chiudersi a pugno tanto da far sbiancare le nocche "Alex, di più", una litania e i suoi respiri affannosi, voglio portarla al limite. Non voglio più giocare, perché un gioco non ti rimescola le budella così, non ti fa annebbiare la vista dalla voglia. Stringe le mie mani e il suo sussurro squarcia il silenzio complice di questa stanza "Alex... Ti voglio dentro di me". Avevo bisogno di sentirglielo dire, quelle parole che le ruzzolano dalle labbra come un cocktail troppo forte buttato giù troppo in fretta sotto di me, che la guardo con un misto di istinto e meraviglia, come se la scoprissi per la prima volta, come se ogni centimetro della sua pelle fosse l'accordo perfetto della canzone che sogni sempre di essere capace a scrivere e non scriverai mai. Mi fa sentire completo.
Appoggio gli avambracci sul materasso incorniciando il suo volto accaldato, le sorrido e con le labbra appoggiate sulla sua fronte, entro dentro di lei. Ho le vertigini. Sento il suo corpo reagire con un fremito che la scuote e i nostri movimenti sono sincronizzati e dolci, un naufragio in cui lasciarsi andare con la testa gettata all'indietro e un sorriso imperturbabile.
Rallento per distorcere il tempo ed essere una cosa sola con lei ancora di più, ancora per un po'. La guardo, solo i suoi occhi e i leggeri movimenti del suo viso, i suoi sospiri nella mia bocca, i suoi morsi, le sue mani che mi spingono verso di lei con decisione e poi le labbra, che succhiano le mie con dolcezza, con un sorriso. I nostri sospiri si sono fatti sempre più forti, sono un tutt'uno. Sentire la sua voce e il mio nome mi fanno riscoprire tutto, anche il senso di quelle parole che temevo di aver perduto. La nostra complicità è al culmine quando raggiungiamo l'orgasmo insieme, e per un attimo non sono me stesso, perdo coscienza di qualunque cosa sia io e mi sia intorno. Lei, è l'unica cosa presente, lei è ciò che si fonde perfettamente con me.
Mi lascio cadere su di lei, spostandomi su un fianco per non opprimerla con il mio peso. Ha gli occhi grandi e liquidi, due mari di cioccolato in tempesta. Mi bacia, quasi con riconoscenza. Mi sorride, e penso che la felicità sia qualcosa che le assomiglia davvero molto. Una scia di piccoli baci che mi fanno venire la pelle d'oca costella il mio petto, finché non ci si abbandona con il capo, e la sua chioma bionda le copre le spalle e il seno. Liscio i capelli con una mano, stringendola a me. E' così piccola e forte.
"A cosa pensi?" domanda dopo un po', la voce incerta.
"A una strofa di una poesia."
"Me la reciti?"
La abbraccio, sentendo il suo corpo nudo e stanco aderire al mio.
Penso alla pioggia, quella che deve guardare per ricordare che cos'è la sua anima.
Penso a quando nella settimana a casa sua si accoccolava a me con le dita sporche d'inchiostro e mi confessava di avere paura.
Penso a quando vorrei proteggerla da quello che teme, e a volte mi chiedo se sono capace di proteggerla da me stesso.
Penso a quando Miles smetterà di avere ragione e io avrò il coraggio di far sì che tutto questo diventi normalità e non solo gli sprazzi di felicità prima di un burrone che si avvicina.
Penso a quanti segreti sarai capace di sopportare, a quante mancanze dovrai curare, a quante mie parole dovrai sforzarti di credere prima di chiederti se sono solo un coglione che ti prende in giro.

I wanna be your raincoat
For those frequent rainy days
I wanna be your dreamboat
When you want to sail away
Let me be your teddy bear
Take me with you anywhere
I don't care
I wanna be yours



Mi rigiro tra le coperte assonnata, portandomi una mano nei capelli e l'altra a stropicciarmi un occhio. Rimango immobile, ad ascoltare i rumori intorno a me. Silenzio. Solo il respiro di Alex, accanto, che riposa accoccolato sul fianco con aria serena e senza pensieri, il petto nudo che si alza e abbassa ritmicamente.
Lo guardo rapita, vorrei essere una buona pittrice per poterlo raffigurare come vorrei, attraverso i miei occhi e la mia anima. A parole non ce la faccio, è un pensiero troppo difficile da imbrigliare e delimitare. Una mano sotto il cuscino, l'altra protesa sulla mia schiena a scaldarmi, le tende schermano la luce permettendo solo a qualche raggio biancastro di infilarsi nella stanza. Mi chiedo che ore siano, ma non voglio voltarmi a cercare l'orologio. La nostra fiaba, ancora una volta, sta per svanire arrendendosi alla vita reale, agli orologi, agli impegni, agli aerei da prendere per ritornare nella città degli angeli.
Una profonda malinconia mi assale, sembra premermi sui polmoni e sulla gola. Non voglio che se ne vada, voglio rimanere con lui.
La scorsa settimana è stata una parentesi fuori dal mondo e dal tempo, convivendo come una coppia e saziando la nostra fame l'uno dell'altra come novelli amanti che si scoprono per la prima volta. Ha reso un bisogno, il fare l'amore con lui. E' irresistibile. Allungo una mano a sfiorargli i capelli teneramente e ripenso alla sera in cui sono andata a dormire presto e lui è rimasto a fumare in cucina. Quando è entrato in camera l'ho sentito, nel dormiveglia, rannicchiata in posizione fetale con le mani tra le cosce e la testa abbandonata sul cuscino, si è coricato accanto a me, mi ha lasciato un bacio sui capelli e uno sulla spalla, poi mi ha sistemato meglio la coperta e si è steso a dormire.
Dalla memoria una canzone ben conosciuta si impossessa di me, di ogni fibra del mio essere. Tra qualche ora non saremo più niente. Noi non esistiamo, siamo come il primo gennaio: un giorno vissuto a metà, a fare niente, un giorno che non esiste perché rimane sospeso tra ciò che è stato e ciò che sarà, un giorno che non ha niente in comune con gli altri, come queste nostre parentesi non hanno niente in comune con il mondo là fuori. Una parentesi racchiude tutto ciò che viene preservato dal resto, come il nostro abbraccio, come i nostri occhi.

Sing me to sleep
Sing me to sleep
And then leave me alone
Don't try to wake me in the morning
Cause I will be gone
Don't feel bad for me
I want you to know
Deep in the cell of my heart
I will feel so glad to go

Prenderemo ancora quell'aereo e ingeriremo un sonnifero, vedremo ancora quella scritta bianca a caratteri cubitali, LAX AIRPORT. Forse sbufferemo un po'.
La magia sta svanendo, la parentesi non ha più confini e la nostra vita, quella reale, quella che fa male, è lì, pronta a prenderci per un orecchio ricordandoci a che posto apparteniamo. A chi apparteniamo.
Mi giro su un fianco, osservando ogni linea sinuosa e gentile che compone la sua figura. Chissà se tutte le altre persone lo vedono bello e invincibile come faccio io. Reprimo le lacrime e una gran voglia di piangere, mentre passo le dita sulle sue labbra. Con un sospiro sbatte appena le palpebre, il sonno imbrigliato tra le ciglia e un sorriso intorpidito. Quando apre gli occhi, i due scuri diamanti mi osservano con dolcezza.
"Buongiorno, Beth", il suo tono di voce roco e una mano che mi avvicina a lui, appoggiati fronte contro fronte.
"Buongiorno a te e scusa, non volevo svegliarti."
Scuote appena il capo "Non mi hai svegliato, va bene", mi posa un bacio leggero sulle labbra, guardandomi e ridendo maliziosamente, riso che si trasforma in uno sbadiglio.
"Perché ridi?"
Indica il mio collo "Potresti... Ehm," il suo viso sembra quello di un bimbo soddisfatto della sua marachella "potresti avere un segno viola sul collo, ecco."
Sgrano gli occhi "Quanto..."
"E' piccolo. Cioè... Sì, è piccolo", ridacchia ancora facendomi sospirare divertita, "Cosa stavi facendo?"
Scrollo le spalle, "Ti guardavo."
Le sue guance, sul bianco della pelle mattutino, si colorano di rosso. Appoggio il capo sul suo petto, lasciando che mi accarezzi i capelli amorevolmente. Gli è sempre piaciuto giocare con i miei capelli.
"A cosa pensi?"
"A una canzone."
"Quale?"
Sospiro "Asleep."

Sing me to sleep
Sing me to sleep
I don't want to wake up
On my own anymore

La sua voce riempie l'aria.
Sospiro più forte.
"Cosa c'è, Beth..." la sua sembra una preghiera.
"Io e te... Siamo come il primo gennaio. Non esistiamo. Là fuori, nel mondo vero, noi non esistiamo."
Le sue dita sono passate dai miei capelli, alle guance, alle spalle, alla schiena "Io e te esistiamo proprio per quello."
"E' tutta una nostra costruzione", la mia voce incrinata mentre percorro il profilo del lenzuolo con l'indice. La sua mano mi fa alzare il capo e mi bacia le labbra con urgenza, come se solo dal mio respiro lui potesse prendere l'aria che gli manca.
"Sei l'unica persona con cui mi potrei tatuare Sheffield addosso."
Annuisco, ma forse non lo ascolto davvero e lui lo capisce.
"Vorrei solo fossi felice", ammette malinconico.
Mi sento in colpa, per aver rovinato il suo umore già ora; per essere egoista; per non essere capace di dirgli che finché è qui con me, la felicità mi scorre nelle vene. Mi stringo di più a lui, aggrappandomi alla sua pelle.
"Alex?"
"Mmm?"
"Andiamo a fare una doccia. Insieme."
Lasciarsi lavare via le paure è forse il modo migliore per accettare quello che ci aspetta fuori dalla porta.
Anche il primo gennaio.
Anche quando l'incantesimo si spezza e per entrare in Paradiso ci vuole il braccialetto giusto. Quello che io non ho.

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