Do you still think love is a laserquest?

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 Indosso i pantaloni a vita alta, pizzicando la stoffa della camicia che assecondando il mio movimento ricade molle. Sfoggio il mio miglior broncio rivolta verso lo specchio, alle mie spalle il sole mattutino investe la camera da letto.
Nessun suono per casa, se non quello dei miei mugugni e delle tazze della colazione. Il profumo di caffè si fa più forte man mano che dei passi si avvicinano alla porta. Eccolo, l'aderente t-shirt blu notte e i jeans, i piedi scalzi e il ciuffo ancora umido dopo la doccia. In mano, la tazza bianca da cui si sollevano nebulosi sbuffi grigiastri e caldi.
"Buongiorno."
"'Morning." rispondo, cercando le scarpe rosa antico.
"Vuoi il the?"
"No. Per l'intervista è prevista anche la colazione. Anche se non penso mangerò."
"Perché?"
"Così." mando indietro una ciocca di capelli.
"Mmm." abbassa il capo, imbevendo appena le labbra nel caffè "Sei nervosa?"
"No."
"Sto facendo troppe domande?"
Mi volto, cercando i suoi occhi. Guardo il suo viso dolce, che mi fissa piegato di lato con un sorriso comprensivo. "E non dirmi stronzate, sei nervosa."
Passo entrambe le mani tra i capelli. "Lo sono, Al."
"Vieni qua."
Allarga le braccia e le stende verso di me, mi faccio piccola piccola lasciando che il mio corpo aderisca al suo e sento il suo abbraccio stringermi forte, in maniera decisa. "Don't be upset."
"Tu non sai chi mi farà l'intervista. Claire McGuillan è una delle donne che più temo."
"Perché?"
"Perché è una giornalista estremamente critica e soprattutto potrebbe essere mia mamma. E io non sono il tipo di ragazza posata e tranquilla che piace tanto ai giornalisti. Io sono più o meno inquadrata come una con tanti tatuaggi quanti problemi psicologici."
Suscito una risata, che nasconde affondando il viso tra i miei capelli. "Non prenderla male. Vedrai che andrà benissimo. E poi il tuo ultimo libro ha venduto bene e continua a farlo, non ha niente da obiettare."
"Non bastano le vendite, tanto più ora." mi stacco, rimanendo davanti a lui con le braccia sui suoi fianchi "Ora non ho in mano un progetto tangibile di cui discutere e parlare della mia vita mi terrorizza. Se mi facesse domande troppo personali?"
"Non rispondere."
Faccio una smorfia. "Tu non –"
"Io non so cosa? Come sono le interviste?"
Scuoto la testa. "Non volevo dire quello. Certo che lo sai. Tu non hai a che fare con gente del genere, gente che ti guarda dall'alto in basso."
"Tu sei estremamente talentuosa, Beth. Su quello non avrà niente da dire. Che si fotta se pensa che tu sia strana per i tatuaggi."
Porto l'indice a sfiorare il suo ciuffo, mentre i grandi occhi scuri osservano le mie labbra. "Stai. Tranquilla." scandisce le parole lentamente, la sua voce è contemporaneamente bassa e roca e mi provoca un brivido lungo la schiena. Mi abituerò mai a tutto questo? Mi bacia la fronte pacatamente, sorreggendo il mio viso con la mano aperta. "Rispondi ciò che ti riflette. Non nasconderti, perché tutti devono vedere chi sei."
"Grazie." la mia voce tremante sussurra sulle sue labbra.
"Non ringraziarmi."
Rimango con la fronte appoggiata alla sua, alzandomi sulla punta dei piedi per raggiungere la sua statura. Lo faccio sorridere, ma qualcosa oltre al divertimento lega i nostri occhi. Come qualcosa di vischioso, pieno di promesse e discorsi che non ti fanno mollare la presa. Come se il mondo intorno fosse lontano. Non potesse mai venirci a prendere.
Alex ha fermato il mondo, ed è sceso con me.
Staccarmi da lui è difficile, così come lo è afferrare il paio di scarpe che stavo cercando e iniziare a truccarmi per l'occasione. Si sdraia sul letto appoggiato la schiena alla testiera, ma involontariamente piombo in un silenzio tombale che in realtà corrisponde, nella mia testa, a un vorticoso susseguirsi di domande, aspettative, speranze. Come sarà? Commenterà i miei libri? Penserà che sono una che ce l'ha fatta solo per fortuna? O perché Alex mi ha aiutata in qualche modo? E' sempre così, con i giornalisti o i critici: ho paura. Ci ho messo anni prima di lasciare che qualcuno di esterno potesse leggere ciò che scrivevo e ancora oggi, se vengo fermata per ricevere complimenti, mi imbarazzo terribilmente. Perché espongo il mio mondo agli occhi di tutti, e gli occhi sanno essere pazienti, comprensivi, dolci e attenti, ma anche glaciali e perentori. Ho paura che qualcuno non si faccia scrupoli a distruggere le mie parole, a calpestarle. E con loro, a calpestare me.
"Quand'è l'ultima volta che ti ha intervistata?"
Ci penso su, stendendo l'ombretto sulle palpebre. "Il 2007, mi pare."
"Quindi stavi ancora con Philip."
Alzo gli occhi al cielo, contemporaneamente per cercare una risposta e mettere il mascara. "Direi di sì."
Philip è stata una delle mie storie più importanti – la mia storia più importante. Esclusa quella con Alex, ovviamente. Philip è un po' come Alexa per Alex, o qualcosa di simile. Una delle differenze tra Philip e Alexa, è che io e lui abbiamo deciso che una volta finita, non ci saremmo più rivisti. Mai più. Abbiamo consegnato tutto nelle mani del Masterplan dicendoci "Se ci incontreremo in un aeroporto, ci abbracceremo e ci racconteremo le nostre vite davanti a un caffè. In caso contrario, addio." Alex e Alexa, invece, si sono rivisti appena dopo la rottura con Arielle e saltuariamente si sentono per parlare delle loro vite.
Ripenso a Philip. Non a lui come persona, ma a ciò che avevamo, agli anni passati insieme, alle avventure e ai viaggi. Penso a quanto, non importa come in seguito diventino i rapporti, certe persone siano destinate a compiere con noi un pezzo del cammino della nostra esistenza e ad abbandonarlo prendendo una via laterale, scomparendo.
Incontro sulla superficie dello specchio la figura di Alex, impegnata a percorrere il perimetro della tazza con l'indice, assorto nei suoi pensieri. Vedo lui, la persona che dal mio cammino non se n'è mai andata. Testardo, insopportabile, romantico, malinconico, forte, freddo, dolce, semplice. Alex.
Lancio un'occhiata all'orologio, che segnala che tra cinque minuti dovrò uscire di casa. Sistemo la borsa, infilo la collana e con cura aggancio il braccialettino che mi ha regalato Alex per il mio compleanno, uno dei miei portafortuna più importanti.
Lascia la camera da letto, dirigendosi verso il salotto e io controllo di non aver dimenticato niente di fondamentale in giro per la camera. Il mio sguardo corre veloce in ogni angolo e si ferma un attimo sul mobile bianco su cui si trovano alcune fotografie. Sorrido alla vista di quella che ci è stata scattata poco tempo fa da Miles, un giorno in cui ci è venuto a trovare e abbiamo trascorso tutti insieme una giornata in spiaggia. Al tramonto, quando la temperatura ha iniziato a scendere e il sole rosseggiava all'orizzonte, ho preso il giubbotto di pelle di Alex e mi ci sono stretta dentro. La fotografia ritrae me, appoggiata con la schiena al suo petto e seduta tra le sue gambe e lui, che sorride sfiorandomi il collo con le labbra. Davanti a noi, un falò. Accanto a noi, la chitarra acustica. La pace dei sensi, il mio mondo, i miei colori, i miei filtri. Molto di questo ora, finalmente, appartiene e corrisponde ad Alex.
Lo trovo ad aspettarmi alla porta di ingresso, sorridendo, calmo.
"Ti aspetto qua, mardy bum."
Annuisco, premendo le labbra sulle sue e sentendo il suo profumo avvolgermi completamente. "Break a leg!" esclama mentre mi avvio verso la macchina.
Tu e Alex avete un rapporto che a noi comuni mortali non è dato comprendere, affermò Philip dopo la prima volta che lo conobbe. Era ad una serata in cui Alex e Alexa erano arrivati insieme, tenendosi per mano e si erano avvicinati a noi per salutarci e per le presentazioni di rito. Non provavo gelosia per quel rapporto, era in qualche modo speculare al mio. Eravamo tranquilli, avevamo la nostra stabilità. Le parole di Philip non erano accusatorie né tantomeno critiche. Philip ci teneva alle parole, anche se spesso le soppesava poco, come se ne cogliesse una manciata da un catino con le mani giunte senza farci troppa attenzione. Comuni mortali, come definiva tutti coloro che non hanno niente a che fare con la creazione, con l'"arte". Sosteneva che per quanto le altre persone si impegnassero nessuno avrebbe capito me e Alex come facevamo nel nostro rapporto, perché eravamo affini nel creare e nel soffrire, nel soppesare al millesimo ogni singola sfumatura, nell'arrovellarci su come esprimere ciò che ci si agita dentro. Philip era la razionalità, i numeri, il calcolo. Era la semplicità e il mare piatto, ma senza troppe sfumature, senza complicazioni. Senza tutti i dettagli, i punti di luce, gli spazi di ombra con cui Alex ha colorato la mia vita e spesso l'ha incasinata. Philip era un dipinto bellissimo, semplicemente diverso da Alex.
Qualunque cosa succeda tra noi, comprerò sempre i tuoi libri a Natale, mi ripeteva quando in occasione delle festività natalizie, nell'appartamento in affitto a Brooklyn in cui dividevamo due stanze, preparava pacchi di libri da spedire ai suoi amici in giro per il mondo. Mi chiedo se li compri ancora, che cosa pensa di me e del mio stile. Il tuo modo di scrivere mi fa sentire bene, commentava rigirando tra le mani il mio primo libro dalla copertina rigida, sorridendo.
"Quando ho letto l'ultimo capitolo... E' come se fossi coricato al sole, sulla spiaggia di Brighton, con il cielo terso... Con te accanto a mangiare lo zucchero filato e il mare lì vicino... E in silenzio, ascoltarti ridere. Quando scrivi sei come una giornata a Brighton." questo è ciò che mi ha detto Alex, quando ha terminato il mio ultimo racconto.

Mi siedo pacatamente a un tavolo in un angolo indisturbato del locale, pregando la cameriera di aspettare per la mia ordinazione finché non arriverà la McGuillan. Controllo nel piccolo specchietto a forma di testa di panda – regalo di Breana – se il trucco non è sbavato e se io non sembri quello che forse le sono sembrata sette anni fa, una che ha sbagliato epoca in cui nascere, perché si sarebbe dovuta trovare a Parigi negli anni '20 tra Modigliani, Soutine e Kisling.
Fa il suo ingresso dalla porta principale, un completo color panna, i capelli a caschetto biondo platino e il rossetto magenta delineato perfettamente sulle labbra strette. Mi individua subito, dirigendosi verso di me con un sorriso appena accennato.
Inspiro ed espiro.
Quando scrivi sei come una giornata a Brighton.
Allungo il braccio davanti a me, una decisa stretta di mano. "Buongiorno."
"Ciao, Beth. Come stai?"
Rispondo, prendendo posto davanti a lei. Mi sento come quando al liceo ero tanto nervosa che quando parlavo in pubblico non riuscivo a capire cosa stessi dicendo. Era solo un fiume ininterrotto di parole. "Un Earl Grey, grazie."
"Per me un cappuccino." comunica alla cameriera, in maniera distaccata. Estrae dalla borsa un'agenda dalla copertina consunta e il tablet, posizionandoli sul tavolo accanto a sé "Dato che non è un'intervista su un libro che sta per uscire, ma più su di te, ho pensato di fare qualcosa di informale... Una chiacchierata."
Sorrido, annuendo. "Molto volentieri."
"Come procede la tua vita nell'ultimo periodo?"
"Bene," rispondo di getto, mentre davanti a me compaiono le immagini di ogni mattina, al risveglio "sono in un periodo di calma e di... Diciamo di riprogettazione. Di me stessa, dei miei obiettivi e dei prossimi progetti."
"Stai scrivendo qualcosa?"
"Sì. Ho già qualche bozza pronta."
"Scrivi ogni giorno?"
"No, purtroppo non ne sono capace. Sono decisamente poco costante, forse sento ancora visceralmente l'ispirazione che mi spinge a scrivere per giorni, o a stare in silenzio per settimane. A volte mi sforzo di scrivere qualcosa. Magari un solo appunto a matita, ma so che in qualche modo servirà. Altri giorni penso che sia saggio imparare a convivere anche con il proprio silenzio."
Annuisce, quasi a concordare ma non lasciando trapelare niente. Sposta la biro, facendo spazio per la tazza bianca che le viene posata davanti e scarabocchia qualcosa sull'agenda.
"Ci siamo conosciute sette anni fa... Quanto la tua vita è cambiata da allora?"
Sospiro, guardandomi intorno. "E' cambiata molto. Sette anni fa era l'epoca del mio primo libro, affrontavo il mondo con tanto coraggio, ma forse anche con tanta incoscienza. Quando ci penso mi immagino sempre mentre mi lancio a braccia aperte nell'acqua. Senza riserve, senza pensieri. In sette anni ci sono state delusioni, abbandoni... Ma anche molte cose positive. Sono cresciuta, in qualche modo. Ho imparato a circondarmi di positività, perché la negatività quando arriva non fa sconti."
"E' sempre ciò che hai desiderato fare? E' questa la vita che ti immaginavi?"
"Da piccola... Non ricordo cosa volessi fare. Volevo viaggiare, volevo in qualche modo fare ciò che i miei genitori avevano sempre fatto e continuavano a fare. Sembrerà strano, ma quando a dodici anni terminai Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, iniziai a non chiedere altro che una stanza, soldi abbastanza e del tempo per me. C'è chi vuole fare l'astronauta e chi Virginia Woolf." rido "Ogni giorno mi rendevo conto di quanto ci fosse da leggere, da scoprire. Troppe parole in cui perdersi e ritrovarsi. Avere il privilegio di poter leggere e scrivere senza dover rendere conto a nessuno... Senza dover rendere conto al mondo, timbrare un cartellino, aggiornare un curriculum, rispettare scadenze, beh, penso sia il più grande privilegio che si possa chiedere alla vita."
"L'importanza delle parole fu una cosa che mi stupì tantissimo, quando ti conobbi. Eravamo a Londra, e mi rimase impresso quanto le parole fossero centrali nella tua creazione. Tanto da scrivertele addosso."
Dalla leggera stoffa della camicia che indosso, è impossibile non vedere le parole tatuate sul mio avambraccio, anche se in maniera poco nitida.
Abbasso la testa, richiamando le parole di Alex alla mente, per poi rialzarla subito. "Spero di non sbagliarle proprio ora, le parole. Per me sono un'ossessione. Non sopporto di non poter scegliere quelle giuste, o di ritrovarmici infangata dentro, senza sapere come districarmi. Sì, ho bisogno di averle con me, su di me. Ci sono stati momenti della mia vita in cui solo il male fisico delle parole, poteva in qualche modo farmi stare meglio. E' un'esperienza catartica."
"C'è qualcuno che ti ispira nel tuo lavoro?"
"Solitamente l'ispirazione viene pungolata dai dettagli più scontati, o almeno, quelli che sembrano tali. Una macchia su un foglio, la pioggia, un lenzuolo. Sì, c'è una persona che è fondamentale, ora."
"Non ti chiederò chi è. Faccio fare ai paparazzi questo lavoro, non fa per me." sorseggia un po' della bevanda calda "Senti di aver trovato stabilità con l'amore?"
La mia mano istintivamente raggiunge la bustina dello zucchero ormai vuota, ancora costellata di mille invisibili granellini bianchi. "Stabilità... Non so esattamente cosa significhi. Però penso di sì. Penso di aver trovato qualcosa di molto simile a un equilibrio, forse perché conosco meglio anche me stessa. Ho capito che si tratta di donarsi all'altro rimanendo sempre se stessi. Creare un'unità con due individualità distinte, capaci di guardarsi dentro e di guardare l'altro."
"Non pensi più che l'amore sia un laserquest?"
Sorrido imbarazzata. "Solo qualche volta."
"Mi stupisci." mi osserva e questa volta tocca a lei, la ferrea e insensibile Claire McGuillan, accennare un sorriso.
"Perché non pensava che arrivassi a tanto?"
"Forse ti ho sottovalutata o forse mi sono fermata solo alla corazza che usavi sette anni fa. Lo sguardo sfuggente e la malinconia, il mio più grande timore per una scrittrice come te era quello che ti saresti persa."
"Oh, mi sono persa. Sono anche arrivata a pensare di smettere di scrivere. Ho perso per strada me stessa, il mio quaderno e molte persone. Gli unici che mi sono rimasti accanto, sono coloro che oggi gioiscono con me per i miei successi."
"Sono stati molto sofferti i tuoi ultimi lavori?"
"Tutto ciò che scrivo è sofferto. Altrimenti non potrei scriverlo, non ne sentirei nemmeno l'impulso."
"Si può dire che sia tornato il sole nella tua vita?"
"Non se n'è mai andato, immagino. Ma da brava inglese, cerco una pozza di fango che mi ricordi da dove vengo e quanto ce n'è voluto, per alzarmi con il sorriso."
"Di cosa ha paura Beth Connell?"
Sorrido, lo sguardo rivolto alla superficie del tavolo. "Del buio. Delle parole che non riesco a trovare. Dell'abbandono." mi fermo. Sorrido ancora, questa volta cercando gli occhi di Claire "Ma in fondo, tutto questo non mi fa più paura. Ora."



Avvio la chiamata, impostando il vivavoce. Aggancio la cintura di sicurezza e metto in moto la macchina, dall'altra parte la ridente voce familiare esclama "Sweetie! Com'è andata?"
"Direi bene... Bene, sì. Penso sia la mia prima intervista da persona adulta. Senti, Breana... Ti ricordi quel discorso che abbiamo avuto un po' di tempo fa!? Ecco, sì, insomma... Potresti prendere un appuntamento da –"
"Ommioddio! Ho capito tutto! Sì. Sì! Assolutamente sì! Ci penso io."
"Ti voglio bene."
"Mai quanto te ne vorrò io, Connell."



La sveglia suona stancamente, come sincronizzata con la mia mente, questa mattina. Apro a fatica gli occhi, in uno stato di semi-incoscienza che mi costa qualche secondo prima di riconnettermi con l'ambiente circostante. Allungo il braccio alla mia destra, cercando il meraviglioso corpo assonnato di Alex, ma al suo posto trovo solo le lenzuola accartocciate e la superficie fredda del materasso. Come una doccia ghiacciata, spalanco gli occhi, guardandomi accanto.
Alex non c'è.
Osservo l'ora che lampeggia sul comodino: le nove e mezza.
I miei occhi catturano l'immagine di due bicchieri, sul mobile di fronte al letto. Uno ha il segno del rossetto rosso, lo stesso che è sbavato sulla stoffa bianca di una camicia al rovescio per terra.
Controllo che giorno sia e tutto si ricollega nella mia mente. Cosa è successo ieri sera, ma soprattutto cosa succede stamattina. Esce il numero del giornale con la mia intervista.
La testa, appena sollevata per osservare meglio la stanza, ricade pesantemente e mollemente sul cuscino. "Che palle." brontolo, tirando su il lenzuolo fin sopra la testa.
Ieri sera... Cerco di collezionare immagini di ieri sera, sforzo che mi riesce solo dopo essermi molto concentrata. Siamo andati in un club, siamo tornati a casa presto, eravamo stanchi. In qualche modo, anche se la giornata si era svolta senza troppi impegni, volevamo rientrare a casa e starcene un po' per conto nostro.
Rientrati, ho lasciato cadere la pochette vicino ai tacchi e mi sono rannicchiata sul divano. Alex si è sbottonato la camicia ed è venuto a sedersi accanto a me con due bicchieri di tequila. Siamo rimasti in silenzio per un po', nella penombra, abbracciati. Poi abbiamo iniziato a parlare, non ricordo nemmeno di cosa. Il bicchiere era sempre pieno, e più lo svuotavo, più quel liquido dal profumo intenso diminuiva nella bottiglia, e iniziavamo a ridere, a dire sciocchezze, a baciarci, a volerci.
Siamo arrivati in camera verso le tre e mezza, immagino. Ricordo solo che mi ci ha dovuto portare in braccio, muovendosi ormai a memoria anche al buio.
Con un piede fuori dal letto cerco le ciabatte e, coraggiosamente, decido di affrontare il mondo fuori dalle lenzuola.
Sarà la sbornia, sarà che più mi allontano temporalmente dalle interviste, più me la faccio sotto, ma non so se davvero voglio sapere cosa ha scritto la McGuillan riguardo a me.
La casa riposa nell'assoluto silenzio e io mi chiedo dove diavolo sia andato Alex.
Mi stropiccio gli occhi, quando lo vedo seduto sul divano, proteso verso il basso tavolino di cristallo ai piedi del quale riposa ancora la bottiglia vuota, la testa tra le mani e gli occhi che osservano rapiti qualcosa.
Rimango a guardarlo, ma non si accorge di me.
Sorrido, la mia voce roca articola la prima frase della giornata. "Buongiorno."
Come svegliato improvvisamente da un sogno, mi guarda con un lampo di stupore, poi un dolce sorriso sulle labbra. "Buongiorno a te. Scusa se non ti ho aspettato ma..." allontanandosi dal tavolino, vedo davanti a lui un giornale aperto "Volevo leggere cosa l'arpia dicesse di te."
Il cuore salta un battito.
Forse due.
"... E?" domando, muovendo nevroticamente le mani "Cosa dice?"
Con sguardo soddisfatto allunga le mani verso il giornale, portandolo più vicino a sé e inizia a leggere solennemente:

A distanza di sette anni, incontro una delle scrittrici inglesi più promettenti della sua generazione e mi sembra di incontrarla per la prima volta. Beth Connell è una donna, ora. Con le sue preoccupazioni, i suoi sogni, i suoi bisogni e la sua malinconia. E con l'amore, quello che non le fa più avere paura, ora.

"You fucking nailed it." commenta, gli occhi ancora sulle parole stampate "Vieni qua, vuoi leggere?"
Annuisco e mi siedo accanto a lui, cercando il calore del suo corpo e trovandolo tra le sue braccia.
"Al, lo leggi tu per me? Mi piace il suono delle tue parole, quando parlano di me."

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