Spilling drinks on my settee.

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La vita andrebbe vissuta come al terzo bicchiere di vino rosso
Alzo appena il volto, guardandomi intorno. Ormai il sole è tramontato, anche stasera, e come qualche sera a questa parte perdo quel magico momento. Sarà che la nebbia è troppo fitta, o che io sono troppo distratta.
Sola, sola ed in isolamento come mai prima. Ho affittato questo appartamento in periferia, spento il telefono, fatto scorta di fogli, biro, alcolici, the e sigarette. Ho scoperto che il mio corpo apprezza poco il cibo, o meglio, non ne apprezza in quantità eccessive, il che mi rende più sbronza che sazia.
Appallottolo il foglio nella mano, ennesima pagina fatta cadere a terra, con quel suono soffice e attutito.
Tac. La carta sul legno. Un altro foglio vuoto davanti.
Lascio scorrere le unghie sulla superficie del bicchiere, l'alone di rosso del vino ormai terminato come una macchia di rossetto su una camicia.
Vaffanculo, almeno ti avesse scoperto, quella sorridente americana del cazzo. Almeno avesse trovato segni della tua infedeltà da strapazzo, quella maschera da rubacuori che il mio, di cuore, l'ha fatto a pezzi con sadismo. Tutto per una scopata. Quanto puoi essere vigliacco, Turner?
Mi prende un groppo alla gola, le sento le lacrime che mi bagnano gli occhi.
Mi odio per questo piangere che sembra non avere mai fine, per il vuoto che mi rimbomba dentro, per il peso del mondo sulle spalle, quando le stringo in questo freddo maledetto e quando, anche sotto il sole, mi sento senza una casa, senza una direzione, senza calore. Esisto, niente di più. E questa cosa mi ferisce terribilmente, mi lascia senza forze, mi uccide.
Non sei nemmeno capace di ammazzarmi davvero, di cingere quelle meravigliose mani intorno al mio collo e stringere forte e farmi morire. Non ci riesci proprio, rockstar.
"Come va?"
Asciutto, quasi distaccato, appoggia i palmi delle mani sulle mie clavicole, osservando il foglio.
"Un'altra pagina bianca, eh? Riuscirai mai ad andare avanti?"
"Vaffanculo pure tu, Keith. Se sei venuto qui a farmi la ramanzina puoi anche tornart –"
"Shh – shh. Lo so, so come continua. Puoi anche tornartene a casa. Ma non lo farò, Beth. Insomma, vogliamo davvero che io lo faccia? Non credo."
Alzo il dito medio, mentre armeggia con l'accendino.
"E poi cosa vuol dire pure tu? Chi altro deve andare affanculo?"
"Il mondo intero, tutti quanti", stizzita, verso un altro bicchiere di vino.
Mi osserva, quasi con superiorità, prima di aspirare una boccata dalla sua sigaretta e piegare la testa di lato.
No, non sono in totale isolamento. Va così, quando devo sfogare la mia frustrazione, quando devo soffrire ancora di più per ricordarmi che sto soffrendo. Compare Keith, biondo, dannato, strafottente ed incredibilmente pungente. Sa perché e non chiede niente di più. Lo uso? Ci usiamo? Ormai cosa importa?
"Ci stai dando dentro parecchio", mi fa notare.
Lo guardo, inarcando un sopracciglio, interrogativa.
"Non intendo con il sesso," mi fa l'occhiolino "cioè, anche con quello, ma mi riferivo al vino."
"Quindi?"
"Quindi per stasera potresti fermarti, che dici?"
"Per stasera, penso che tu possa andare a casa tua."
"Sei seria?" ridacchia.
"Non vedo perché non dovrei. Sono impegnata, sto scrivendo."
"Vado a recuperare la mia roba in camera, allora. So che ci vedremo domani, o dopo domani, non temere."
"Ricordati di portare altro gin. L'abbiamo finito ieri sera", alzo la voce per raggiungerlo nell'altra stanza.
Ride, e quando ride il suo viso si modella in qualcosa di bello. Mi morde il labbro "Lo farò, Beth. Buon lavoro."
Si richiude la porta alle spalle.
Traccio una linea netta, in diagonale, sul foglio. Lo strappo e lo lascio cadere a terra. Afferro il pacchetto di sigarette, l'ultima Benson, solitaria, balla un valzer tutto suo nella confezione dagli angoli usurati.
La accendo, ormai la punta del mio indice si è macchiata di inchiostro e giallo. Con un guizzo il tabacco inizia ad ardere, il profumo di questo prototipo perfetto di piacere mi brucia nei polmoni. Sospiro. Da quanti giorni non c'è più musica in questa casa? Troppi, decisamente troppi.
Mi chiamato Miles, da Los Angeles, "Quando tornerai, lovely?" ha provato ad accennare.
"Non lo so, Miles. Non parliamone."
Devo tornare, lo so. Scappare non è mai servito. Eppure oggi come mai prima, starmene qua nel mio angolo di mondo lontana dalla vita è la cosa che mi sembra più vicina all'autoconservazione.
Le gambe mi sorreggono ancora, faccio due passi nascondendomi dalla mia figura riflessa nello specchio. Mi appoggio al ripiano della cucina, il maglione mi scivola sulla spalla e la testa mi gira appena.
Sposto lo sguardo nella stanza, su quegli oggetti che finora ho ignorato. Poi mi ricordo, il perché ho scelto di affittare proprio questo appartamento. Mi avvicino lentamente al giradischi, posizionando un vinile portato da casa. Gracchia, il suono caldo e stropicciato. Quella voce che sembra cantare diretta dal mio cuore.
Mi lascio scivolare a terra, a ogni strofa mi sembra che il cuore sussulti. Non riesco a cantare, ma è come se mi potessi redimere.

You're out on the streets looking good
And baby, deep down in your heart I guess you know that it ain't right

E' ritornato negli Stati Uniti, ha chiuso le valigie ed è partito con un biglietto acquistato all'ultimo. L'hanno fotografato a Los Angeles, Arielle con le chilometriche gambe scoperte e lui, con un paio di pantaloni attillati e un sopracciglio alzato, miglior rubacuori che possa esistere, con un tatuaggio esibito orgogliosamente. Sheffield.
Avrei dovuto desistere, non mi sarei dovuta illudere, lasciandomi prendere per mano, lasciandomi condurre nel peggior luogo che esista: me stessa, lo scuro e il buio delle mie paure e delle mie perversioni.

But each time I tell myself that I, well, I can't stand the pain
But when you hold me in your arms
I'll sing it once again


Fa una faccia buffa, l'iPhone dritto davanti a lei. Piega la testa di lato, prima di scattare la foto e ridacchiare.
Sono seduto sul divano, le gambe distese davanti a me, chiedendomi se tutta la gente che vede le sue foto pensi a me. Chissà se si chiedono dove sono io, mentre lei fa foto stupide, video divertenti con gli amici. Chissà se mi cercano nei dettagli e provano a indovinare che io sia qui con l'espressione più neutra che mi riesce.
"That's a nice one", commenta sovrappensiero prima di dedicarsi alle sue attività social, appollaiata sullo sgabello della cucina.
E chissà cosa pensano, quelle persone. Magari ritengono che io sia un coglione e si domandano perché io debba stare con lei; oppure si innervosiscono se sentono la mia risata scema in sottofondo; magari si chiedono dove cazzo sia finito lo sfigato in polo e capelli lunghi di qualche anno fa.
Lei è incredibilmente americana. Non solo l'accento, ma il suo modo di fare, il suo entusiasmo, la risata, il gesticolare e il camminare sotto il sole. Non riesci ad essere così, se sei inglese del Nord, hai il broncio e un'ironia tagliente, l'amore per il decadentismo e una vita passata a camminare sotto la pioggia. Se ci sei nata, nella pioggia.
A quanto pare io sono abbastanza debole e informe per riuscire ad adattarmi a questo posto senza troppe remore. Ci vuole così tanto? Un nuovo armadio, qualche festa, finalmente una moto su cui andare anche a dicembre. Si può smettere anche di essere lo sfigato del liceo e diventare il nuovo Elvis, in questo angolo di mondo. Forse lo diceva qualcuno, che questa è la terra in cui tutto è possibile. Devi volerlo, o almeno provarci.
Quanto può essere malato un rapporto?
Ho buttato tutto in valigia, sono dovuto partire con i miei soliti sonniferi e il mio cocktail in prima classe. Sono piombato nel silenzio assoluto in poco tempo, e a Los Angeles mi sono svegliato con un'emicrania che avrebbe potuto farmi vomitare. C'era Arielle, ad accogliermi a braccia aperte, "Sicuro di stare bene, love?"
Ho annuito "E' solo stanchezza", le ho sorriso inseguendo le sue labbra per un bacio che potesse perdonare tutto ciò che non sa.
Non so quanto quella mattina sono stato seduto fuori dalla sua porta sotto il sole a tormentarmi le mani. Ho rovinato tutto, non faccio che distruggerla. Ha spento il telefono, è scomparsa.
"Come sta, Miles?"
"E' tutto sotto controllo."
"Ti ho chiesto come sta", ho alzato la voce.
"Ti ho detto che è tutto sotto controllo e non ti incazzare", mi ha risposto, risoluto.
Beth, Beth. Non mi esce dalla testa quel cazzo di nome. Continuo a sentirla tra le mani, a vedere il suo sorriso, ad ascoltare il suono della sua voce quando l'inflessione francese si mischia a quella mancuniana e mi sembra di sentire la canzone più bella che sia mai stata scritta. Ho dovuto prendere un aereo perché sennò sarei andato sotto casa sua e avrei spaccato la porta a pugni pur di averla ancora, di poter fare l'amore con lei. Non riesco a non pensarci e più mi impongo di non farlo, più lei torna a – "Alex, babe, io esco, Matt mi ha mandato un messaggio per..." perdo qualunque cosa stia dicendo Arielle in questo momento. Vedo solo le sue meravigliose labbra carnose muoversi davanti a me mentre mi racconta qualcosa di Cuts, l'adorabile biondo californiano mezzo-cantante-mezzo-attore-un-po'-Viner-e-altre-puttanate-assortite, che si dà il caso sia il migliore amico di questo schianto di americana piegata in avanti su di me. Annuisco appena, sorrido. So che il mio sorriso la mette sulla buona strada per perdonarmi tutto, anche il totale disinteresse per la sua roba. Mi viene da ridere, invece, se ripenso a quando chiesi a Beth se aveva capito che lavoro facesse la mia nuova fiamma. "Per quello che ne so, potrebbe comodamente collaudare iPhone, vedendo l'uso ossessivo-compulsivo che ne fa", mi aveva risposto trattenendo una risata dietro al bicchiere.
" – Ok, Alex?"
"Certo, sì... Mmm... Ah, tra poco arriva Matt, passa di qui a salutarmi."
"Proprio non riuscite a stare lontani voi, eh?" afferra la borsa "Salutamelo," si avvicina alle mie labbra baciandole con dolcezza "e se continui a essere così pallido... Sei sicuro di sentirti bene?"
"Sì," mi passo una mano sulle palpebre "sono solo ancora un po' fottuto dal jet lag."
"Beh, sappi che se non ti senti bene, possiamo sempre andare dal dottore. A dopo, love."
Si richiude dietro la porta, aspetto di sentire il rumore della portiera che sbatte e il motore della macchina acceso per alzarmi dalla mia condizione semi-statuaria e raggiungere il mio angolo di salvezza, il miglior dottore che io possa immaginare.
Verso in un bicchiere tozzo una generosa dose di whiskey tracannandolo in una sola sorsata. Così va decisamente meglio, mi asciugo le labbra tamburellando sulla superficie intonsa della cucina. La custodia della chitarra, appoggiata al divano, mi sembra un nemico con cui, tra poco, dovrò seppellire ogni arma per provare a tirare fuori le parti mancanti delle canzoni del nuovo album.
Costante, imperitura pressione su queste spalle del cazzo: il tour, il nuovo album, i video, i paparazzi, gli eventi, i premi, Vorremmo ringraziare i fan, Oh, no il successo non ci cambia, siamo sempre quelli di una volta, gli aerei e il jet lag, Quando iniziamo a produrre?, le domande del cazzo dei giornalisti, le urla delle fan, Arielle, le altre donne, la mia testa che si fa sempre più pesante e un po' di coraggio da tirare su per il naso. Lei, solo lei, che si prende il posto di tutto quello che dovrebbe esserci, si prende la mia attenzione e la mia devozione, la mia rabbia, il mio odio bruciante.
Sto per versare un altro bicchiere, quando il campanello suona, seguito da un poco elegante pugno sulla porta "Sono io!"
"Got it", sbuffo, trovandomi davanti il mio migliore amico, con il suo sorriso ebete sulle labbra che mi squadra dalla testa ai piedi.
"Buongiorno e bentornato in questa terra del cazzo!" allarga le braccia sbattendo il suo petto contro il mio e assestandomi una sonora pacca sulla schiena "Ti vedo una meraviglia! Occhiaie, viso pallido e pantaloni scuri, di chi è il funerale a cui devi andare?"
"Ma quanto sei simpatico", gli faccio il verso "almeno io non ingrasso un chilo al giorno e indosso pantaloni della tuta."
"Uh, e c'è già un bicchiere d'alcol" indica la cucina "la chitarra è ancora nella custodia... Posso dedurre che il funerale sia quello della tua coscienza?" sorride strafottente, incrociando le braccia.
"Caro investigatore dei miei coglioni, se sei venuto qui a fare lo spiritoso, puoi anche levarti dal cazzo."
"Stai calmo, Al, stavo scherzando. Ora, davvero, sono serio", abbandona il suo maledetto culo sul divano "qualcosa non va?"
"Niente", scuoto la testa riluttante "pensiamo solo a questo album di merda."
"Adoro quando sei di buonumore", miagola guardandomi mentre tiro fuori la acustica dalla custodia sedendomi di fronte a lui, la cassa appoggiata sulla coscia, le dita che incerte la accordano ormai a memoria, un rituale inconscio "Allora, hai avuto qualche idea per la prima? Non ci manca poi molto."
Annuisco "Sì, ho qualcosa... Allora, vediamo..."
So bene dove devo arrivare e, se fossi di buonumore, mi fionderei dritto al punto. Ma non è così, ho bisogno di ricordare tutto, di andare a riprendere quelle parole che ho scritto su un foglio da sbronzo tanto che la biro mi scappava dalle dita. Sospiro, ripeto qualche accordo, mi avventuro in una melodia totalmente inventata e poi azzardo con la voce, più cupa di quanto mi potessi aspettare.

Have you got colour in your cheeks?
Do you ever get the fear that you can't shift the type
That sticks around like summat in your teeth?
Are there some aces up your sleeve?

Non ero ancora pronto, né a suonarla, né a cantarla. Quanto posso essere coglione? Quanto posso sentire ritornare la nausea e l'emicrania, il male in fondo, sempre più in fondo, mentre consumo – mi consumo – pensandola?

Have you no idea that you're in deep?
I've dreamt about you nearly every night this week
How many secrets can you keep?
Cause there's this tune I found
That makes me think of you somehow
And I play it on repeat
Until I fall asleep
Spilling drinks on my settee

Lascio andare la mano aperta sulle corde, prima di far cadere lo sguardo su Matt, che mi osserva come un animale raro.
"Poi il pre-chorus ce l'abbiamo già..." accenno, sistemandomi sul divano. Non devo necessariamente sedermi meglio, ma devo rompere questa staticità.
"Quindi tu stai bene. Ovvio. Classica canzone di una persona che sta emotivamente bene. Che non è tornata in anticipo a Los Angeles perché a Londra ha mandato a puttane tutto –"
"Non sei venuto per la seduta psichiatrica, Matt. Sei qua per la canzone. Io sto bene, continuiamo?"
Scrolla le spalle facendomi segno di riprendere.

Crawling back to you
Ever thought of calling when you've had a few?
Cause I always do
Maybe I'm too busy being yours to fall for somebody new
Now I've thought it through
Crawling back to you

Il viso di Matt si scioglie in un'espressione a metà tra l'incredulità, la rabbia, la rassegnazione.
"Spero tu mi stia prendendo per il culo", quasi copre la mia voce sulle ultime parole "Al, davvero, parliamone. Chi cazzo se ne fotte della canzone. Hai tirato fuori il nostro prossimo successo così..."
"Così?"
"Stando male da cani, porca troia."
Scrollo le spalle "Il prezzo per ogni grande successo, no!?"
Riprendo la melodia, mi sono arreso. Sì, sto male da cani, porca troia.

So have you got the guts?
Been wondering if your heart's still open
And if so, I wanna know what time it shuts
Simmer down and pucker up
I'm sorry to interrupt, it's just I'm constantly on the cusp
Of trying to kiss you
I don't know if you feel the same as I do
We could be together if you wanted to

Matt si Lancia indietro con la schiena, alza le mani in segno di resa "Non so che cazzo dirti, hai vinto tu. Sarà una bomba."
Sorrido amaramente, riponendo la chitarra nella custodia "Per fortuna, almeno che ci porti un po' di soldi. Qualcosa da bere?"
"Tu che cosa bevi?"
"Scotch con ghiaccio", perentorio mi alzo andando a riprendere il mio bicchiere.
"Ma sì, perché no. Fanne due, Al."
"Arrivano!" esclamo poco convinto "Come sai che abbiamo litigato?"
"Ti dimentichi sempre così spesso che ti conosco come le mie tasche e se mi chiami alle sette di mattina dicendo che hai appena comprato un biglietto aereo vuol dire che hai fatto una stronzata?"
"Ha parlato con Breana?"
Lo vedo annuire "Certo che l'ha fatto. Bre l'ha chiamata, prima che si ritirasse nel suo mondo."
"Come sta?"
"Una merda, Al. Una vera, fottuta, merda. Che è come stai tu, quindi anche in questo non siete poi così diversi."
Assimilo a una a una le parole di Matt, mentre verso nei nostri bicchieri lo scotch e rimugino sulla sua sincerità. Riesco a immaginarla, seduta a terra, quando finisce le lacrime e rimane a fissare un punto, inerme.
Mi avvicino a Matt, lasciando andare il bicchiere tra le sue tozze dita.
"Ora riprenderemo con la band, poi avremo un tour... Ti riempirai la vita così, vedrai."
"Dovrebbe essermi di consolazione?"
"Potrebbe", imbeve le labbra nell'alcol.
"Mi sono rotto i coglioni", annuncio teatralmente allungando le gambe sul tavolino di vetro "di tutto. Di questa vita. Di questa casa, questa città, dell'album da fare, delle interviste che ci aspettano. Che grandissima rottura di coglioni."
"A me non sembra", appoggia di avambracci alle ginocchia "contando che è ciò che sognavamo da quando ci chiudevamo in garage a suonare. Noi siamo la prova vivente che i sogni a volte si realizzano proprio come gli Strokes o gli Oasis lo erano per noi."
Quasi mi viene da ridere a pensare quanto Liam si amputerebbe gli arti invece di perdere la sua Brit-verve a favore del look da yankee per vendere qualche disco in più. Sono un venduto del cazzo? Forse sì. Passo il palmo della mano aperta sul viso, stropicciandomi gli occhi.
"Al, lo dico per te, perché ti guardo le spalle da più di vent'anni... Passerà. Però, provaci, a reagire."
"Ma lei –"
"Non sto parlando di Beth. Lei è l'unica persona a cui proprio non dovresti reagire. Dovresti solo stare buono, non fare stronzate, e tenertela stretta con te, nella tua vita."
Penso a quei capelli biondi, e a tutto l'inchiostro che sciogliamo sui fogli l'uno per l'altra.
A quando magari Miles smetterà di avere ragione, e io me la terrò accanto, stretta stretta a me. Come quella mattina, lei dormiva ancora, e io mi sono avvicinato, le ho posato una mano sul fianco e ho respirato il profumo dei suoi capelli. Ho avvertito solo un fremito, e la sua mano che stringeva la mia.
"Sai cosa ti dico Matt? Tra poco rientriamo in studio, stasera dovremmo andare a divertirci."
"Tu? Con quella cera?"
"Guarda che i miei occhioni smarriti fanno vendere più album. Allora, che dici, ci stai? Ho voglia di divertirmi."
"Arielle?"
"Fanno una cena dai Paul, non ho voglia di andare."
"Cristo, ma tu mi stai ad ascoltare quando ti do consigli tipo 'Sta' buono'?"
"Ok, lo prendo come un sì" ridacchio "un po' di vita mondana e qualche bella californiana, finalmente."
"Sei fidanzato."
"E tu sei uno spaccacoglioni, ma non te lo ricordo mica con quel tono da suora" rido ancora.
Ho solo bisogno di non stare in casa, fermo a pensare. Lontano da questa chitarra, con luci, musica, casino. Con tizie strette in abiti inguinali che ti si strusciano addosso e si offrono di inginocchiartisi davanti con gli occhi carichi di ammirazione per il tuo portafoglio.
Non siamo più a Londra, siamo a Los Angeles. E a Los Angeles è giusto farsi, sbronzarsi, vendere i propri album, ingraziarsi più produttori possibili e farselo succhiare da una sconosciuta anche se sei fidanzato. E' la vita, è la mia strafottuta vita da rockstar. Circondata da amici che sono rimasti con i piedi per terra e hanno trovato belle ragazze che li amano, brave ragazze, donne che daranno loro dei figli e una vita felice, e li renderanno uomini e non bambini cresciuti pieni di ansie e sindromi inclassificabili. E poi ci sono io, che nell'autocommiserazione adoro crogiolarmi. Che ho l'intero mondo ai miei piedi e riesco a far crollare tutto nella maniera peggiore, vittima e carnefice di me stesso, servo di un qualcosa che mi sta fottendo anima e corpo.
Mi manca.
Questa sera, come molte altre sere; come i giorni lontani, come le notti in cui sono il mio stesso incubo.

Il mio iPhone emette un unico suono. Un messaggio.
Gli unici cinque minuti della giornata in cui è acceso, quando so che dall'altra parte dell'Oceano più o meno tutti stanno dormendo o, se non lo stanno facendo, sono sbronzi riversi da qualche parte con l'ultimo pensiero a me.
Tocco appena lo schermo, che mostra un testo. Breve, netto, preciso.

Ho bisogno di te.

505.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora