The look of love, the rush of blood.

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"Dammi qualche idea!" piagnucola dall'altra parte della cornetta.
Afferro la borsa, sistemando due cartelline sulla scrivania e lancio uno sguardo all'ufficio per assicurarmi di aver preso tutto.
"Charlie, dammi qualche informazione in più. Di cosa deve parlare questo tema?"
Mi chiudo la porta di vetro alle spalle salutando con un cenno del mento la segretaria, mentre armeggio nella borsa alla ricerca degli occhiali da sole.
"E' un tema sul tempo... Sai, il tempo che passa e stronzate simili"
Premo il pulsante di chiamata dell'ascensore. Tre volte. Per sicurezza.
"Beh, potresti fare qualcosa di un po' diverso dal solito..."
"Mi interessa!" la voce squillante mi fa sobbalzare.
"Una riflessione su tutto il tempo che dedichiamo alle ricorrenze, alle feste in cui per forza ci si deve divertire, agli impegni, allo stress... Senza goderci davvero cosa stiamo vivendo negli anni migliori della nostra vita", le porte si aprono davanti a me, l'indice preme 0.
"Spiegati meglio, non ti seguo"
"Beh, penso a tutto il tempo che passiamo, che so... A dover per forza festeggiare le ricorrenze. Anche quando non ne abbiamo voglia. Anche quando a Capodanno vorresti stare a casa in pigiama e devi divertirti per forza. Devi andare al ballo del liceo ed essere felice e perfetta. La domenica devi fare qualcosa, e il sabato sera non puoi stare a casa" arrivo al piano terra, attraverso il corridoio verso la porta di uscita sventolando la mano verso la receptionist e poi verso l'usciere "Penso a quanto tempo sprechiamo imponendoci di goderci il tempo che passa," infilo gli occhiali da sole "senza mai godercelo davvero fino in fondo. Correndo", alzo lo sguardo "senza fermarci mai. Perché alla fine il tempo investito nella maniera migliore è quello in cui siamo coscienti, presenti a noi stesse" sorrido, un profilo ben conosciuto appoggiato alla mia macchina con una sigaretta tra le labbra "e ci godiamo ogni singolo istante", si volta verso di me con un sorriso dolce, due dita alzate, "e vorremmo che il tempo non passasse mai, invece di farlo passare per forza". Mi fermo a pochi metri da lui, che si stiracchia con una t-shirt bianca e un paio di jeans.
"Porca troia", commenta la mia cuginetta, dall'altra parte della cornetta "niente male, Beth"
"Grazie, Charlie. Almeno vuol dire che ho qualche idea per fare la scrittrice" ridacchio.
"Sei sempre la migliore. Grazie. Che fai adesso?"
"Sono uscita dall'ufficio, devo tornare a casa" mi guardo le scarpe, nascondendo un altro sorriso scemo.
"Buona serata, allora. E grazie ancora"
"Corri a scrivere e fammi sapere com'è venuto. Ciao, Charlie"
"Ciao, cugina"
Abbandono l'iPhone nella borsa, avvicinandomi all'uomo che mi stava aspettando.
"Ciao", esordisce "volevo farti una sorpresa"
"Sorpresa più che gradita", sorrido, dandogli un bacio sulla guancia e lasciandomi abbracciare.
"Come stai?"
Annuisco "Bene! Cosa ci fai qui?"
"Matt passava da queste parti, mi sono fatto dare un passaggio", il suo braccio si stringe intorno alla mia vita "volevo salutarti"
"Allora sali in macchina, ti accompagno a casa"
"Mmm, dovremmo parlare anche di questo..." si porta una mano tra i capelli, divertito ma sulle spine.
"Cioè?"
"Ora ti spiego", con una smorfia attende che sblocchi le portiere per allungarsi sul sedile e guardarmi mentre mi sistemo alla guida.
"Allora?" domando, iniziando la retromarcia.
"Ricordi a chi hai lasciato le chiavi di casa tua?"
Guardo a destra, poi a sinistra, nuovamente a destra e mi immetto in strada "Sì, certo, io –"
"No, non di qua" mi interrompe "vai dritta. A casa tua"
"Da me? Al, ma che cazzo stai dicendo?"
"Ora capirai", ride spontaneamente "Allora, dicevamo: a chi hai lasciato le chiavi di casa tua?" si sistema meglio, appoggiando le spalle alla portiera e osservandomi indagatore.
"Un mazzo di chiavi a mia mamma e a nessun altro..."
"Ne sei sicura!?" passa l'indice sotto il mento, atteggiando le labbra in quella smorfia da rubacuori che se solitamente mi manda su tutte le furie, oggi mi lascia divertita e incuriosita. Anche se comunque vorrei stringergli le guance per chiedergli di smetterla. Mi piace trovare qualcuno che mi aspetta fuori dall'ufficio, mi calma. Mi tranquillizza il non essere sola dopo una giornata pesante.
"Direi di sì"
"Bene, allora quando arriveremo a casa sarà tutto a posto", si fa scappare un sorriso mentre osserva il boulevard fuori dal finestrino. Allunga il dito, come a disegnare un profilo. Lo capisco, sta percorrendo il profilo dell'orizzonte rotto dal sole che sta tramontando, quando la luce che si fa arancione rompe un punto della netta linea dell'oceano. Sta pensando, chissà a cosa.

"My days end best when the sunset gets itself behind
That little lady sitting on the passenger side
It's much less picturesque without her catching the light
The horizon tries but it's just not as kind on the eyes"

Pronuncia queste parole con una studiata e disarmante lentezza. Una dopo l'altra, come quando devi ricordare un testo a memoria, lo conosci, lo visualizzi e hai bisogno di tempo per indovinare l'ordine delle parole e farle suonare così come immagini.
Perché la sinfonia che ti si muove in testa possa corrispondere almeno un po' a ciò che dici.
Stringo la presa sul volante, una reazione incondizionata.
"Lo facevi la scorsa settimana, ti ricordi?" mi domanda.
"Cosa?" la mia voce trema appena.
"Giocare con le dita verso il tramonto, come me adesso"
Alzo il mento, le mani fredde.
E' vero, lo facevo la scorsa settimana, metto la freccia, imbocco il boulevard a sinistra.
Me ne stavo seduta in macchina, appoggiata al finestrino, a giocare con un dito con la luce del tramonto e poi con una ciocca di capelli, capricciosa come so essere dopo un'intervista. Alex si era offerto di passare a prendermi – dato che al mattino avevo approfittato della gentilezza di Bre – per sapere come mi andassero le cose. Ero stanca, avevo caldo, la camicetta iniziava a darmi fastidio. Volevo tornare a casa, infilare un vestitino e bere una birra. Poi è comparso lui, in fondo al parcheggio, con le sue scarpe sportive e i jeans, un sorriso, l'accento di casa. Mi ha chiesto come fosse andata, se mi sentissi soddisfatta. Avevo solo mugolato che volevo andare a casa, cercando riparo tra le sue braccia, mentre sentivo che mi baciava la fronte dicendomi che mi ci avrebbe portata in fretta, più in fretta che poteva. Promessa irrealizzabile, a quell'ora, a Los Angeles. Nella lotta continua con chi esce dal lavoro e chi vuole tornare a casa sua prima di te, con le cose chilometriche ai semafori e la domanda ricorrente sotto il sole: "Ma perché passiamo la nostra vita a correre e incazzarci?" Però lui era lì, vicino a me, sicuro alla guida con l'espressione da spaccone. Centellinava le domande come una mamma preoccupata che cerca di indovinare la via migliore per far parlare la figlia adolescente. La mia insofferenza, la mia insopportabile insofferenza verso il mondo si stava riversando anche su di lui. Ero stanca. Stanca perché avevo aspettato mezz'ora una giornalista in ritardo che mi ha fatto le stesse domande le cui risposte si possono trovare su internet. Perché sentivo che la mia ispirazione stava parlando proprio mentre ero costretta in quel bar del cazzo da fighetti ad aspettare una che fa la giornalista perché non è riuscita in tutto il resto. Perché quando poi ho preso un foglio, non sono riuscita a fare altro che a scarabocchiare una frase inutile. Poi ho fatto un commento sul tramonto, e lui ha fatto quella risatina scema e gutturale che adoro. E ho sorriso anche io. E la mia serata ha preso un'altra piega, e avevo Alex accanto a me che mi cantava le canzoni alla radio per sentirmi ridere e niente di più. Mi ha fatto sentire fortunata.
"A cosa stai pensando?"
Scrollo le spalle, "Al tramonto"
Accosto a destra, siamo arrivati. Si sfrega le mani, invitandomi a entrare in casa. E già dal cancello di entrata sento della musica, provenire dal mio appartamento. Musica ad alto volume. Paul Weller, indovino.
Mi volto verso Alex, che sta ridendo dietro di me, le braccia conserte.
"Miles", dico in un soffio.
"Come, scusa?" rincara lui.
"Miles. Le chiavi le ho lasciate a Miles quando mi sono trasferita qui."
"Così pare", mi fa l'occhiolino.
Giro la chiave nella toppa e faccio ingresso in casa. Nell'aria un nauseante profumo di colonia maschile, la musica a tutto volume e un bicchiere di whiskey sul bancone della cucina.
"Miles!" urlo, andando ad abbassare il volume.
Dalla camera da letto, uno spilungone in una vestaglia leopardata mi corre incontro prendendomi tra le braccia: "Sorpresa!"
Appoggiato al divano, Alex applaude: "Finalmente!"
"Che cazzo ci fai qui?" lo abbraccio.
"Una sorpresa a voi due! Troppi mesi senza Miles non si sopportano, lo so bene... Quindi ho rimediato", spiega soddisfatto.
"Approfittando di casa mia", specifico.
"Beh, ma... Cioè..."
"Va bene, tesoro. Mi casa es tu casa", sorrido "Sono felice di averti qui finalmente, lovely", gli stringo le guance tra le dita avvicinandolo a me e stampandoci un bacio.
"Ehi, ehi, piano lì. Sono geloso", si avvicina Alex ridendo.
"Di chi? Di me o di lui?", mi aggrappo alle braccia di Miles.
Riduce gli occhi a due fessure, sospirando "Di entrambi", si allunga verso il suo amico abbracciandolo velocemente e dandogli una pacca su una spalla. "Quindi, quali sono i programmi per stasera?"
"Si esce a festeggiare"
"Concordo", alzo la mano, supportando l'idea di Miles.
"Pff", alza gli occhi al cielo Alex "ho una cena"
"Saltala"
"Concordo anche in questo"
"Non posso, idioti. Non anche stasera", fa spallucce.
"Allora raggiungici dopo", suggerisco avvicinandomi al divano e posandoci la borsa sopra. "O fai il cazzo che vuoi. Io devo andare a fare una doccia e sbronzarmi con Miles"
Sono elettrizzata dall'averlo qui con me. Afferro i lembi della maglietta, togliendola e lasciandola cadere a terra. Miles, al solito, non fa una piega nel vedermi in reggiseno. Sorride appena, facendomi l'occhiolino. Alex si passa una mano tra i capelli, indugiando con lo sguardo sul mio seno.
"Facci solo sapere se ci raggiungi o no. Buona cena", mi avvicino lasciandogli un bacio vicino alle labbra e scompaio in camera da letto.
Dovrei farlo più spesso.
E' così divertente.

"... E avevo questo gatto nero che..."
"Un gatto nero", si mette a ridere, avvicinandosi a me.
"Mmm, sì", annuisco.
"Perché nero?"
"Mi stai davvero chiedendo perché il mio gatto fosse nero?"
Sarà l'alcol, la mia domanda, il mio tono di voce o l'insensatezza della conversazione, ma io e Miles scoppiamo a ridere. Me ne sto seduta sulle sue gambe chilometriche avvolte in un paio di pantaloni eleganti con una fantasia bizzarra ed estrosa, abbinati ad una camicia viola che sta bene solo addosso a lui. Mi sorregge la schiena con una mano, accertandosi che non cada all'indietro, mentre ci raccontiamo le nostre vite. Perché stavo parlando del mio gatto di Manchester? Chissà.
"Un tizio ti ha adocchiata, Beth"
"Che dici?" gli domando, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Non guardare adesso, ma... Il tizio al bancone. Maglietta bianca. Sembra anche carino"
"Il mio tipo?"
"Non Alex, però direi di sì" ride, finendo con un sorso il suo cocktail.
Io e Miles insieme siamo la follia e l'eccesso, l'adrenalina e gli abiti stravaganti. Perché? Forse perché lui è tutto ciò che non mostra. Perché è timido, è profondo. Ha delle qualità umane ed artistiche chiuse in un nucleo di elettricità che esplode e poi si acquieta e poi esplode di nuovo. In continuazione. Così opposto ad Alex, riflessivo e silenzioso, a volte addirittura freddo.
Mi volto ed incontro il ragazzo in questione. E' oggettivamente molto carino. Anzi, no, non lo definirei carino. Lo definirei selvaggio, forse anche particolarmente strafottente. Bello, indubbiamente. Di quella bellezza fatta di muscoli accennati sotto la t-shirt, capelli biondo scuro lunghi abbastanza da volerci affondare le mani, e un sorrisetto impertinente che lo tiene inchiodato a quel bancone come se volesse sfidarmi. Sorrido, voltandomi verso Miles: "E' proprio bello"
"Oh, piccola, incorreggibile Beth", mi apostrofa.
"Dovrei andare a salutarlo?"
"Da quando vai tu dagli uomini?"
Faccio una smorfia, bevendo dal mio bicchiere: "Sei il male in persona, Miles"
"Ya betcha"
Mi piace, quest'atmosfera. L'odore del tabacco che mi si attacca al top nero di pizzo, l'alcol nei bicchieri, gli sguardi impertinenti, le luci soffuse.
Come lo descrivo tutto questo, Alex? Vieni qua a sussurrarmi qualche parola, qualche stralcio di canzone?
"Maglietta-bianca continua a guardarti"
"Lascialo fare", gli passo una mano sul collo sorridendo.
"Mai nessuno ti guarderà come lui, lo sai questo?", appoggia l'indice sulla punta del mio naso, premendo appena. Si è fatto incredibilmente serio.
"Cosa diavolo intendi, Miles?" corrugo la fronte.
"Intendo... Mai nessun uomo ti guarderà come Alex. Ne sei consapevole?"
"Perché devi tirare in mezzo lui?"
Scuote la testa, "Scusami, hai ragione. Non avrei dovuto"
"No, infatti", allungo le gambe raggiungendo il suolo con la punta dei piedi "vado a fare rifornimento". Mi alzo, cercando di non farmi prendere dalle parole di Miles e dalla sua sincera visione delle cose. So com'è fatto, gli passava quello per la testa e l'ha detto. Ma non ho voglia di sentirlo stasera, quel pensiero ricorrente dello sguardo di Alex su di me. Ho passato troppo tempo a provare ad analizzarlo, per cosa poi? No, non voglio pensarci adesso.
"Hai finalmente deciso di venire qui?"
Il ragazzo con la maglietta si è avvicinato a me e nel mio capo visivo rientra solo il suo braccio abbronzato su cui indovino il rilievo di una vena.
"Quando l'alcol chiama, solitamente rispondo", sorrido cercando i suoi occhi. Verdi, su un viso dai tratti duri ma aggraziati.
"Sono Jack, piacere"
Gli stringo la mano, "Beth. Vieni spesso qui?"
"Sì, quasi ogni settimana. Faccio il dj in un altro locale e quando posso, passo di qua"
"Oh, sembra interessante", annuisco.
Scrolla le spalle, "E tu invece cosa fai nella vita?"
"Gioco a fare la scrittrice", alzo un sopracciglio, stringendo le dita intorno al bicchiere di gintonic.
"Quella interessante sei tu, qua". Ha un bel sorriso, naturale, spontaneo, uno di quelli che vedi al tramonto in spiaggia, quando cammini sul bagnasciuga e la sabbia si sta facendo fredda. "Di cosa scrivi?"
"Prevalentemente racconti. Sto lavorando sul prossimo libro, adesso. Oh, adoro questa canzone", indico un punto indefinito sulla mia testa.
"E sei un'amica di Miles Kane"
Annuisco, "Già"
"C'è chi sta aspettando il suo prossimo album"
"Anche da questa parte dell'Oceano?"
"Io sicuramente", sorride portando il bicchiere alle labbra.
"Ti..." mi allungo appena verso di lui "ti va se ci spostiamo da qui?"

Era parecchio tempo che non bevevo il vino e pensavo mi sarei sbronzato in tempo record. E invece no. Eccomi qui, fiero padrone della mia moto, dopo aver lasciato Arielle a casa sua. Lei sì, che si è sbronzata in tempo record questa sera. Sarà che oggi a pranzo ha buttato giù solo una centrifuga di frutta o che non ha la mia resistenza tutta britannica all'alcol.
Sono uno stronzo, mi vanto dell'Inghilterra solo quando voglio.
Supero con un movimento sinuoso una lucida limousine bianca, le cui luci posteriori segnalano una frenata gentile. Miles mi ha inviato un messaggio con la postazione sua e di Beth, quindi finalmente posso raggiungerli. E' da tanto tempo che non passiamo una serata tutti insieme e ammetto che il riavvicinamento tra lei e me mi ha molto giovato.
Sto bene? Direi di sì, o almeno ho trovato un equilibrio in questo blocco di roba americana. Ci vediamo spesso e facciamo cose comuni, a volte solo un passaggio in macchina dopo una giornata pesante. Faccio ancora fatica a staccarmi da lei fisicamente. Non ci riesco. Non riesco a fare star zitta l'ossessione, quella continuerà a parlare o bisbigliare in un angolo buio della mia mente. Appoggio la punta del piede a terra, il semaforo rosso davanti a me.
Stiamo lavorando sull'album, abbiamo ancora un pezzo di tour e le Olimpiadi quest'estate. Pretty massive, ah, ha commentato una sera, girando su se stessa. Mi sono passato una mano nei capelli e mi sono dato del coglione.
Parcheggio con una sicurezza che mi stupisco di avere, mentre mi ritornano in mente le sue gambe e quel brivido che mi ha percorso la schiena quando mi ha guardato, dal basso, sorridendomi e chiedendomi se andasse tutto bene, passando il pollice sul mio labbro: "Perché ti mordi le labbra, Al?"
Cammino sul marciapiede, il caldo della primavera inoltrata spinge le ragazze a scoprirsi e i ragazzi a correre loro dietro più del solito, con quell'accento del cazzo, con quei pantaloni bianchi di merda.
Faccio un cenno al tizio all'entrata che mi sorride e mi assesta una pacca sulla spalla destra togliendo il cordone rosso che separa l'ingresso dal locale. Sospiro, guardandomi intorno. In sottofondo ora stanno passando i Black Keys e incrocio subito due gambe magre e lunghe che ballano una danza tutta loro. Giungo alle sue spalle imitando il saluto del bodyguard: "Ciao, Miles"
"Oh! Al! Ciao!" esclama sorridendomi. Si alza, mi abbraccia e si siede nuovamente invitandomi ad imitarlo.
"Beth è a prendere da bere?"
"Ehm..."
Basta il suo attimo di indecisione prima di dirmi qualcosa sul fatto che si è alzata per andare in bagno per farmi girare subito cercandola in tutto il locale. Ignoro decine di teste, capelli scuri, occhi troppo truccati, inutili orecchini sgargianti. Basta solo un insieme di dettagli, a me: lo smalto nero e un bicchiere dal contenuto a metà, la chioma bionda portata da un lato, un top nero di pizzo e un paio di pantaloni eleganti. E' bellissima, porca puttana.

Oh, oh, oh, oh, I got a love that keeps me waiting
Oh, oh, oh, oh, I got a love that keeps me waiting
I'm a lonely boy, I'm a lonely boy
Oh, oh, oh, oh, I got a love that keeps me waiting

Mando affanculo i Black Keys mentre osservo il tizio con la t-shirt bianca sorriderle e dirle qualcosa che le fa spalancare gli occhi prima di sciogliersi in una fragorosa risata.
Di scatto mi lancio in avanti per alzarmi, ma un braccio teso mi si para davanti: "Non fare stronzate"
"Smettila, Miles."
"Bevi qualcosa e lasciala stare, Al."
"Miles, seriamente: che cazzo vuoi? Dico davvero."
"Io dico che dovresti stare calmo e farti i cazzi tuoi, Alex. And I'm bloody serious"
Non capisco davvero cosa gli passi per la testa, ma lui continua: "Ti ricordi com'è andata l'ultima volta che hai fatto la diva? Forse no, ma io e i vostri amici sì, porca puttana. Io l'ho vista, come stava. Quindi stai calmo, beviti qualcosa, e goditi il fatto che ce l'hai di nuovo vicino. Fai l'uomo, dannazione", stizzito ingurgita la roba che ha nel bicchiere e lo posa davanti a sé con un solo movimento deciso, poi si mette a fissare un punto in giro per la stanza – poco lontano da dove si trova Beth – muovendo il piede con nervosismo. Mi irrita quando qualcuno mi fa una scenata, chiunque sia, ma quando lo fa Miles – che combina in sé il peggio di un uomo, di una donna e di un artista – gli riverserei davvero addosso tutta la mia incazzatura, che consisterebbe in qualche suono gutturale, delle parolacce e qualche rimando a cose passate tipo: "Ti ricordi la cazzo di tizia russa che mi volevo scopare e te la sei fatta tu perché le hai detto di essere quello che scrive tutte le canzoni?". Cose inutili, in fondo. Perché io ai miei amici potrei solo rinfacciare cose di dubbia utilità e importanza, per questo evito di farlo. Perché so che se lo facessero loro... Beh, il loro peso da portare sulle spalle quando si tratta di me supera di gran lunga il mio peso corporeo. Fosse solo quello, i chili poi non sono neanche troppi. Con la coda dell'occhio vedo il braccio di Miles – sì, forse per lui sarebbero troppi anche quelli.
"E comunque, caro il mio macho geloso", riprende, avvicinandosi al mio orecchio "vorrei ricordarti che sei fidanzato, al contrario suo. Quindi fai meno l'idiota, soprattutto in pubblico". Si allontana da me, sistemandosi i polsini della camicia. Miles riesce anche a essere un'ottima maestrina.
Sbuffo, appoggiandomi con le spalle al divanetto. A stare fermo non ci riesco, non così, quindi decido di alzarmi per un cocktail lasciando il mio insegnante di vita a crogiolarsi nel risentimento per il mio comportamento istintivo.
Però in fondo so che ha ragione, quindi opto per un altro bar, più piccolo e in ombra, che si trova in un angolo del locale e serve solo le star di Los Angeles. A quanto pare dallo scorso album lo sono anche io.
"Una tequila, per favore"
Mi appoggio con la schiena al bancone, osservando da lontano la musa della mia malinconia cronica. Sono invidioso di quel tizio e so che se volessi potrei materializzarmi accanto a lui e portarla via con me. Ma stasera non ne ho voglia. Forse perché il vino mi rende più riflessivo e meno arrogante, o forse perché le parole di Miles riescono a raggiungermi meglio di tante altre. La osservo sorridere e giocare con i capelli... Forse essere maturo in questo momento significa cercare di far annegare le farfalle nello stomaco e rimanere a guardarla, consapevole che non posso pretenderla vicino a me. Il mio egocentrismo mi ammazzerà in ogni caso.
Prendo il bicchiere tra le dita, non me la sento di tornare da Miles ora. Mi sento solo. Mi manca casa, mi manca la leggerezza che prima avevo in moto, che oggi mi sentivo addosso mentre la aspettavo fuori dall'ufficio. Mi manca la mia bolla di semplicità, mi manca sentirmi speciale per qualcuno alla maniera che piace a me. Perché dovrei fare il sentimentale??? sento solo quel piccolo nodo alla gola, il blues della dolcezza a trasmissione automatica, che qualcuno ha, che loro non mi odiano nemmeno... Mi tornano in mente le parole di Bukowski, che quando le ho lette ho deglutito sperando di cacciarlo un po' più giù, quel nodo. Ma più giù ci sono le farfalle e l'elettricità e un altro misto di cose che mi stancano e mi emozionano, mi irritano e mi fanno gioire.
A volte mi sento davvero scemo.
Mi districo tra i corpi presenti con la mia migliore espressione neutrale senza guardare mai nessuno, con una calma serafica che negli occhi racchiude tutta la misantropia possibile.
Miles è sempre nella stessa posizione.
Il tizio con la maglia bianca si è avvicinato di un passo a Beth.
Mi lascio cadere sul divanetto vicino al mio amico, appoggio i gomiti sulle ginocchia, proteso in avanti, e ridacchio: "Ho capito perché sei incazzato: perché questa volta non avete fatto il vostro gioco scemo"
Miles e Beth ogni volta che sono a una serata insieme giocano a "Tu la conosci Beth?" o "Tu lo conosci Miles?", imitando How I Met Your Mother. Sono divertenti insieme, soprattutto quando si fanno da spalla e si inventano situazioni strane.
Ora Miles potrebbe mandarmi affanculo. O potrebbe cedere al mio sorriso e assecondare il mio tentativo di riavvicinamento.
"Non è un gioco scemo", precisa con l'indice in aria "però sì, avrei voluto giocarci", scrolla le spalle sorridendo "cheers, Al."
La cerco con lo sguardo.
Si volta nella nostra direzione, guarda Miles, si accorge di me.
Un sorriso le increspa l'angolo della bocca, socchiude gli occhi.
Alzo il bicchiere nella sua direzione.
Torna a parlare con il ragazzo davanti a lei.
Mi sembra di tornare ad avere diciassette anni. In fondo, ho sempre avuto talento nel fare da tappezzeria.

E' la prima sera dopo molto tempo che esco da un locale con il numero di un ragazzo salvato sul telefono, senza aver fatto niente tranne parlare. Jack è una persona interessante ed è ancora più bello quando racconta qualcosa che lo appassiona e lascia indietro ogni pensiero riguardante l'ambiente che lo circonda. Ci siamo salutati con un bacio sulla guancia e sono tornata da Alex e Miles che stavano parlando seduti sul divanetto con davanti un paio di bicchieri vuoti.
"Vuoi tornare a casa?" mi ha chiesto Al.
"Se volete, per me va bene"
"Sì, sweetie, andiamo a dormire", ha mugolato Miles con dolcezza. Mi dispiace di aver reagito così istintivamente con lui, ma ha un modo tutto suo di porre fine ai litigi: spontaneamente, senza dire una parola a riguardo. Lui comprende, sorride e torna il sereno.
Ci avviamo all'uscita, mi posa un braccio sulle spalle stringendomi a sé: "Tutto bene con il tipo?"
Annuisco, "Si chiama Jack, è simpatico"
"Ho visto che stavi bene"
"La mia moto è lì", indica Alex che cammina davanti a noi.
"Noi siamo venuti con il taxi"
"Ah, ehm..." si passa una mano tra i capelli "allora –"
"Al, accompagni tu Beth a casa? Io posso prendere il taxi, non c'è problema", suggerisce Miles.
"Sì, certo, io... Non c'è problema, se per te va bene" mi concede un sorriso, dolce, appena accennato. Annuisco, accettando il passaggio e dando un bacio a Miles: "Ci vediamo a casa"
Camminiamo per pochi metri, uno accanto all'altra, in silenzio. Lui guarda a terra, io in aria. Questa notte il cielo sembra quello di un paesino sperduto tra le montagne di un paese lontano: limpido, immenso, silenzioso. La musica del locale è un sottofondo lontano, ora sento solo il rumore dei nostri passi sull'asfalto.
Arriviamo davanti al suo bolide, mi porge il casco allungando il braccio, un sorriso.
"Pronta?"
Appoggio le mani sui suoi fianchi, sistemandomi meglio dietro di lui: "Sì"
Mette in moto, controlla alle nostre spalle che non arrivi nessuno. Voltandosi i nostri occhi si incontrano. Istintivamente, alla prima accelerata, stringo la presa.
Los Angeles sembra quieta, ora. Piena di colori e luci, ma stanca, sopraffatta dai ritmi del giorno, dal casino, dalla parata umana che la calpesta. Inspiro, espiro. Chiudo gli occhi. Penso a casa, penso ad Alex. Una malinconia agrodolce mi prende in pieno e penso che potrei mettermi a piangere ora per il solo fatto che vorrei far durare questo viaggio in moto più di dieci minuti. Aggancio le mani intorno al suo petto, stringendolo a me. Mi è mancato, forse mi manca ancora di più quando ce l'ho accanto. Guida deciso, rallenta appena, supera, si ferma e riparte. Non parla mai, sento solo il movimento del suo corpo che respira. Basta questo a tranquillizzarmi.
La strada di casa mia riposa nel silenzio, solo i lampioni a illuminare i marciapiedi e le palme e la luce del primo piano della villetta all'angolo accesa. Percorre gli ultimi metri alla minima velocità e si ferma davanti al mio cancello, piegando appena la moto di lato per aiutarmi a scendere.
Mi tolgo il casco, lasciandoglielo e scuotendo la testa per ravvivare la mia chioma ribelle e lui mi imita. Li posa entrambi sul sellino, e si posiziona in piedi davanti a me. Più alto. Stanco e bello. Perché quando è stanco e ha bevuto un po' torna a essere genuino, senza maschere, bello nella sua semplicità.
"Sei stata bene questa sera?"
Annuisco.
"L'ho visto... Non volevo venire a romperti le scatole"
Annuisco di nuovo: "Grazie"
"Però avrei voluto farlo... Io... Avrei voluto essere io al posto suo e passare la sera con te. So che non ho nessun diritto di dirtelo però –"
Mi avvicino di un passo e mi alzo sulle punte dei piedi. E lo bacio. Appoggio le labbra sulle sue, per zittirlo, perché ho bisogno di sentirlo baciarmi e basta. Perché questo è l'unico silenzio che sa parlare tra noi.
Mi sorride, appoggiando la fronte sulla mia spalla: "Così va meglio."
"Sì, così va meglio", respiro a pieni polmoni il profumo della sua pelle. Sa di buono e di casa.
"Hai voglia di entrare? Tra poco Miles sarà qui, possiamo bere ancora qualcosa e parlare un po'."
Annuisce, cercando le mie labbra e lasciandoci un bacio: "Sì, ho voglia di entrare."

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