I probably still adore with your hands around my neck.

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Allungo una gamba intorpidita verso l'esterno del letto, il lenzuolo mi è sceso sui fianchi e coricata a pancia in giù apprezzo il lieve soffio di aria fresca proveniente dalla finestra socchiusa accarezzarmi la pelle nuda. Ho sete e caldo.

Sul pavimento, intricati tra loro e abbandonati, ci sono la mia gonna a vita alta, il mio top nero, la sua t-shirt, il giubbotto di pelle sulla poltrona vicino alla porta. Quando siamo insieme mi piace farlo, mi piace guardare da coricata tutto ciò che di nostro è mescolato e lasciato ai piedi del letto, quando siamo senza barriere e differenze, quando siamo senza ostacoli e maschere. Mi sento una spettatrice privilegiata, lo avverto nelle vene, quando mi volto e incontro il suo corpo che si muove appena, lentamente, con i capelli ormai non più fissati dalla gelatina, con le labbra socchiuse e una mano allungata verso di me, senza toccarmi, solo per sincerarsi di avermi vicino.

Mi tiro a sedere con calma per non svegliarlo, reprimendo la voglia di affondare le dita tra i suoi capelli chiedendogli di baciarmi ancora. Afferro una maglietta lunga abbastanza da coprirmi in parte le cosce e silenziosamente, a piedi nudi, raggiungo la cucina. Una bottiglia di birra fredda tintinna non appena apro l'anta del frigo, con una pallida luce giallognola accompagnata da un ronzio sommesso. Le mie unghie laccate di rosso stappano con un movimento deciso la bottiglia e un generoso sorso di liquido mi scorre in gola. Respiro forte, appoggiata con la schiena al lavello nella stanza debolmente illuminata dall'esterno.

E' sempre così il nostro ritrovarci. Perderci per mesi magari, non sentirci, mandarci al diavolo per qualunque sciocchezza, per quella gelosia che in fondo è un po' complice perché sa che l'altro tornerà sempre. Tornerà nei momenti in cui la vita sembra scappare lontano, quando ti senti abbandonata, sola, quando hai bisogno di sfogare ciò che ti assilla, quando devi allontanare ogni spirito maligno.

Cosa siamo io e lui? Chi lo sa.

Chi l'ha mai saputo?

Sono arrivata nella sua classe quando il primo anno di liceo era già iniziato, ricordo ancora gli occhi incuriositi dei miei compagni osservarmi e studiarmi. Poi c'era quella coppia affiatata e inscindibile: Turner e Helders, laggiù, all'ultimo banco, scambiandosi occhiate e risatine si capivano con un'alzata di sopracciglio. Io ero all'angolo opposto dell'aula, eppure quando mi voltavo - e non accadeva così raramente - incontravo gli occhi di uno dei due a guardarmi. I primi tempi pensai che avrebbe dovuto solo farsi gli affari suoi, poi però diventò un bel modo per cercarsi, per giocare, per indugiare un attimo di più occhi negli occhi per poi voltarsi rapidamente e coprire il viso arrossito appena con i capelli.

La pace sotto il mio balconcino mi invoglia a uscire e ad accucciarmi a terra, sopra di me un cielo violaceo raccoglie la potenza delle luci della città, non troppo lontane.

Ci scambiavamo poche parole, sembravano così inutili. A noi piaceva guardarci e capirci. Forse già a quell'età mi piaceva spogliarlo e comprenderlo di più. E pensare che non era neanche il mio tipo. Non il ragazzo per cui avrei fatto follie, né quello per cui avrei scommesso avrei perso la testa, né quello che mi faceva sospirare con tono innamorato.

Eppure c'era un'attrazione, una calamita. Continui, implacabili. Sempre così, anno dopo anno, sempre più intensamente, incontri fugaci, serate passate insieme. Mai un bacio, al massimo un abbraccio troppo stretto, che faceva trasparire qualcosa a cui non sarei stata capace di dare un nome. Cos'era?

Turner e Helders avevano anche formato una band, gli Arctic Monkeys, non mi perdevo neanche una loro prova. Erano bravi e si divertivano a fare ciò che facevano. Prima dell'arrivo del successo spiazzante, di quelli che ti attaccano al sedile come la partenza delle montagne russe, una sera gli anni passati a guardarci arrivarono a chiederci il conto. Era il momento di pagare, cadere nel vuoto o cadere indietro, un movimento era necessario.

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