Middle of adventure such a perfect place to start.

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Sempre il solito giro di accordi che ritorna.
Termina e riprende da capo. In alcuni tratti più incerto, in altri più deciso. Qualche volta, addirittura arrogante.
Sento i polpastrelli sfiorare le corde della chitarra, che vibrano nell'aria. Producono quel suono così familiare.
Settembre fuori dalla finestra sta scricchiolando con il suono delle prime foglie che cadono sull'asfalto, mentre la mia pelle è avvolta dalle lenzuola bianche che profumano di buono. Profumano di lui.
Dalle labbra socchiuse arrivano dei mugugni che sembrano seguire le note, come se stesse cercando le parole giuste. E' qualcosa di nuovo, che non ho mai sentito prima.
Coricata su un fianco, respiro lentamente, i sensi ancora intorpiditi e gli occhi pesanti.
Trasportata da questo suono quasi ipnotico, un piede ancora nel mondo onirico, la mia mente vola lontana a quei giorni carichi di ansia, quelli in cui non c'era pace per me. L'ispirazione, quella maledetta, mi abbandonava nei momenti peggiori, mi abbandonava quando più ne avevo bisogno, quando dentro di me tutto urlava per poter essere sprigionato. Avevo il terrore degli spazi vuoti, delle pagine bianche. Tutto ciò che riuscivo a scrivere erano sfoghi nevrotici e ossessivi che non guardavo più. A volte li bruciavo, vederli scomparire sotto la fiamma mi faceva provare – per un attimo soltanto – un senso di impunita onnipotenza.
La melodia termina bruscamente e il suono cupo della cassa della chitarra mi fa pensare che sia appena stata posata sul materasso. Un braccio mi circonda la vita e le labbra morbide premono sulla mia spalla nuda.
"Buongiorno." la voce profonda.
"Mmm... 'Giorno."
"Ti ho svegliata?"
Scuoto la testa lentamente, il suo viso si accoccola nell'incavo del mio collo e sento il respiro caldo sulla pelle. Istintivamente, allungo la mano dietro di me passandola tra i suoi capelli lunghi, fissati per ogni concerto con una generosa dose di gel. Ma il tour di AM è terminato, e possiamo passare le mattinate a letto, compiacendoci del sole che si alza in cielo pigro almeno quanto noi.
"E' una nuova canzone?"
"Non lo so... Sono idee. Non riuscivo più a riaddormentarmi."
Annuisco, premendo sul suo braccio, appoggiato sul mio costato. Gioco con le dita sulla pelle, disegnando delle figure inventate. "E' tardi?" domando.
"Non più tardi del solito." sorride, baciandomi dolcemente sul viso.
Cerco le sue labbra con urgenza, sono tutto ciò che mi fa svegliare, mi riconnette con il mondo. Le trovo, calde, dolci, come ogni mattina da un po' di tempo a questa parte al mio fianco. Quella pelle rosata che si mischia alle lenzuola, quel profumo che mi impregna i capelli.
Mi alzo lentamente, incerta sulle gambe, assonnata e nuda. Ai piedi del letto la t-shirt di Alex è abbandonata al rovescio, la afferro e la indosso con un sospiro.
Lui, la schiena appoggiata alla testiera del letto e le mani tra i capelli, mi fissa sornione in ogni movimento. "Torni qui?"
"E' una domanda?" sorrido, raccogliendo da terra la mia gonna e lanciandola sulla poltrona.
"E' più... Un desiderio." allunga le braccia avanti a sé.
Felinamente, mi allungo sul letto fino a raggiungere le sue labbra, lasciandoci un bacio umido, mordendone il labbro inferiore. "Dammi dieci minuti."
A piedi nudi, il rumore rapido dei miei passi tamburella sul parquet, raggiungo la cucina al piano sottostante e, aprendo una tenda – che mi fa ridurre le palpebre a due fessure – saluto la città che si affretta là fuori, sotto il caldo sole californiano. "'Morning LA."
Scaldo l'acqua nel bollitore, sistemando su un piatto due muffin. Mi rannicchio sullo sgabello, osservando, una gamba che penzola, i grattacieli e i quartieri squadrati della metropoli.
Da quando c'è Alex, l'ispirazione non mi fa più così paura. Sembra tutto più calmo, più armonioso. Come i suoi gesti, i suoi abbracci. Sembra che qualcosa sia andato a posto, non ci sia più un mostro da temere, da cacciare da sotto il letto o da sentir ansimare nelle notti senza sogni.
Preparo una tazza di the e una di caffè e, con un'abilità da cameriera indiscussa, faccio il mio ritorno in camera. Ha ripreso in mano la chitarra, ma lascia solo scivolare le dita sulle corde, come impensierito. Alzando gli occhi su di me, qualcosa nella sua espressione si rischiara, lasciando spazio a un sorriso. "A cosa devo tutto questo?"
Scrollo le spalle. "A un'altra mattinata insieme. Qui c'è il tuo caffè bollente. Let me be your coffee pot, Turner."
Ride. "Grazie."
"Dopo devo andare a fare qualche commissione, tu hai impegni?"
Il solito, familiare, ciuffo ricade davanti agli occhi mentre porta alla bocca il dolce, il dorso dell'indice passa sul labbro inferiore e i suoi occhi incontrano i miei. "Mi vedo con Matt."
Lo imito, addentando il mio muffin e circondando con la mano la tazza di the, mentre incrocio le gambe sistemandomi davanti a lui. "Qualcosa ti preoccupa?"
Sbuffa. "Sai quando hai un'idea... Ed è un'idea che ha bisogno di essere espressa. E' lì. Ma quando cerchi di tradurla in qualcosa... Non è più niente. Non hai niente tra le mani se non i soliti due inutili accordi."
"Penso tu sia stanco. Hai fatto un tour mondiale di... Quanti mesi sono stati? Comunque, è stato lungo. Hai girato come una trottola, ci sono stati cambiamenti. Devi avere pazienza."
"Come fai ad avere pazienza quando questa cosa ti gira in testa notte e giorno. Ossessivamente. E non riesci ad esprimerla. Come se non avessi mai scritto niente prima, cazzo."
Il suo sguardo ora si è fatto un po' più malinconico, più tormentato.
"Ascoltami." richiamo la sua attenzione "Ti capisco. Davvero. Conosco quella sensazione e a volte ho pensato sarebbe diventata una malattia. C'è stato un periodo in cui riuscivo solo a pensare alla distruzione, era la mia unica idea, il mio unico motore. Ricordi quando litigavamo e io tornavo a casa senza dirti niente, senza avvisarti, perché sapevo che ti avrebbe fatto incazzare? " annuisce. "Tornavo a casa e spaccavo contro un muro la prima cosa che mi capitava a tiro. Mi faceva sentire meglio, faceva sfogare la rabbia e il senso di... Inadeguatezza. Perché una scrittrice che non sa trovare le parole, è inadeguata. Stavo seduta per terra a osservare il vetro rotto, senza neanche raccoglierne i pezzi. Fissavo ossessivamente quello che avevo appena distrutto. Puoi uscirne solo avendo pazienza, senza combattere contro te stesso. Ce la farai."
"Non me ne hai mai parlato."
Porto la tazza alle labbra, quasi a proteggermi dai suoi occhi, ora diventati preoccupati.
"Non volevo. Non potevo. Non avresti potuto fare niente nemmeno tu."
"Ma stavi male e..."
"Stavo male. Ora sto bene. E voglio che quello che ha tormentato me, non tormenti te."
Prendo tra le mani il suo viso. "Ci sono io qui con te, Alex."
"Voglio esserci anche io per te."
Sorrido. "Ci sei sempre stato. Sempre."
Le nostre fronti sono l'una appoggiata all'altra, solo i nostri occhi, le nostre labbra che si sfiorano. Eccola, la pace. La pace di sentire solo il suo respiro su di me. "Promettimi che ora uscirai con Matt e non ci penserai. La prossima settimana, se vorrai, andremo a Parigi. Io, te, la chitarra e un quaderno."
"Sounds good."
Sospiro. "E' quello che faremo, allora. Ora devo sbrigarmi o farò tardi."
"Ma a noi piace fare tardi." sorride languidamente, baciandomi.
Mi faccio una doccia, mi cambio e truccandomi realizzo che dalla camera da letto non proviene alcun rumore. Sporgo la testa dalla porta, vedendolo coricato scompostamente a pancia in su, fissando il soffitto. Non posso andare a prenderlo, nel corso sconnesso dei suoi pensieri. Ho imparato che c'è una velocità, c'è un percorso, che ognuno di noi ha e in qualche misura deve affrontare da solo: è un segno di rispetto, quello di lasciare un margine di spazio alla persona che ci è vicino per razionalizzare e mettere un punto fermo al proprio mondo. Io gli sono accanto, per sostenerlo e sono dietro di lui, per non farlo cadere.
Inforco gli occhiali da sole e mi avvicino al letto, piegandomi e posando sulla sua fronte un bacio scarlatto. "Alzati, mardy bum."
"Sei tu, mardy bum."
"Oggi ti cedo il soprannome."
Chiudendomi la porta di casa alle spalle, il sole californiano mi sorprende con un dolce calore mattutino e il telefono che ho tra le mani squilla. Ridacchio, leggendo il nome apparso sullo schermo e attivo la comunicazione.
"La tua puntualità mi stupisce, sono appena uscita di casa. Perché cazzo mi chiami a quest'ora?"
"Buongiorno anche a te, milady."
"Buongiorno, anche se da te è notte."
Un risolino proviene dall'altra parte del telefono, mentre salgo in macchina, seguito dalla spiegazione "Sono appena rientrato, abbiamo festeggiato stasera..."
"Cosa?"
"Niente, volevamo festeggiare, così. Qualcosa. Perché cazzo devi sempre avere un motivo?" mi fa il verso.
"Touché. Sto andando a un appuntamento, o almeno ci provo, per discutere di un nuovo progetto. Posso chiamarti più tardi?"
"Certo, anche se non so se mi troverai o sarò crollato tra le braccia di Morfeo."
"Ah, io crollo tra quelle di Alex solitamente. Sei il solito sfigato."
Ride di gusto ora, provocando in me una risata di riflesso. "Mi manca sentirti ridere sui sedili qui dietro."
"Pff, vengo presto a trovarvi."
"Lo spero. Ho un po' di cose da raccontarti."
"Qualcosa non va?" immagino le sue gambe lunghe stendersi sul divano su cui è seduto, la stoffa dei pantaloni a scacchi tendersi.
"Qualche nuvola grigia sull'ispirazione del nostro little mardy bum."
"Gli passerà, vedrai."
Passo una mano tra i capelli, posandola poi sul volante. "Sì, ne sono certa. Però... Dopo tutti questi mesi..."
"In questi mesi ne sono successe... Ne avete fatte succedere" si corregge "di ogni tipo. E' come se avesse centrifugato la sua vita in giro per il mondo, con un tour, un album... E' solo un periodo, è stato così altre volte e ha sempre superato tutto."
Sto per intervenire, ma la voce mi zittisce. "Poi, adesso, ha te lì vicino."
Come un'onda lunga e pacifica mentre osservi il mare al tramonto, quando l'acqua sembra farsi più densa ed essere la liquida copia del cielo, i colori cambiano e raggiungi la serenità interiore, queste parole mi abbracciano. "Grazie, Miles. Dovevo sentirlo dire da te. Ci sentiamo più tardi."
"Take care, lovely."

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