You knew that he'd be trouble right before the very first kiss (II).

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"The sky looks sticky." indico il lenzuolo di un profondo blu violaceo che si stende sulle nostre teste, fuori dal finestrino. Sembra che mielose gocce scure si possano staccare appiccicandosi ai nostri corpi.
"Solitamente sono io che cito le mie canzoni." un sorrisetto malizioso.
"Ah, anche io solitamente cito le tue canzoni." ridiamo insieme. Alzo gli occhi a guardare nuovamente al cielo, l'imbarazzo di inizio serata si è sciolto e una nuova complicità carica l'atmosfera di un'attrazione eccitante. Di quando in quando sposta lo sguardo dalla strada a me, un sopracciglio alzato e i capelli che ormai si sono scomposti in un ciuffo ribelle. Quella febbre di desiderarsi e perdersi uno nell'altra, senza regole e senza schemi. Senza il mondo che c'è fuori da questa macchina.
Un viale apparentemente tranquillo, parcheggia con la maestria di sole due manovre, scende e mi apre nuovamente la portiera. "Connell." finge di mettersi sull'attenti.
"Turner, mi lusinghi."
L'adrenalina e l'alcol nel mio corpo si mescolano in un mix letale che potrebbe farmi ridere per qualunque, stupidissimo dettaglio. Sorregge con dolcezza la mia schiena con il palmo della mano aperto, sull'orlo del giubbotto di pelle, e raggiungiamo un cancelletto nero.
"Ti proteggi dalle groupie, vedo."
"E' necessario, baby." finge un'espressione da rubacuori navigato, passandosi rapidamente il pollice sul labbro inferiore per poi sbuffare e infilarsi entrambe le mani nelle tasche del giubbotto.
"Cosa cerchi?" involontariamente – ma non ne sono troppo convinta – perdo l'equilibrio avvicinandomi ancora di più a lui. Fissando il marciapiede, sento il suo respiro vicino al mio orecchio.
"Le chiavi, Beth. Per... Per entrare."
Mentre una mano rovista nella tasca dei pantaloni, l'altra raggiunge i miei capelli sistemandomi una ciocca dietro l'orecchio. Si sposta poi al mio mento, sollevandolo appena e obbligandomi a guardarlo negli occhi. Non dice niente, non capisco se stia sorridendo o semplicemente stia cercando qualcosa nel mio sguardo. La tempesta ora è carica di fulmini. Fulmini rossi, infuocati.
La mia mano, istintivamente, raggiunge il suo giubbotto di pelle, tirandolo verso di me e un tintinnio metallico mi annuncia che la caccia al tesoro è finita. Prende la mia mano con urgenza, armeggiando con la serratura e silenziosamente conducendomi al portoncino di legno scuro di casa. Si sente solo il rumore bagnato delle nostre scarpe e quello dei nostri respiri.
Apre la porta di casa – una villetta su due piani dall'aspetto estremamente elegante – con un movimento fluido e mi invita ad entrare dopo aver acceso una luce che dolce avvolge il salotto che si apre dopo l'ingresso. Un divano basso, nero, occupa il centro della stanza; di fronte un ampio televisore a schermo piatto; alle spalle, un giradischi dall'aria vintage, con vinili impilati con la medesima diligenza di chi ha sistemato i libri sugli scaffali del mobile a fianco. Alla mia sinistra, una cucina con un tavolo a penisola si estende in una successione di fornelli e ripiani sui toni contrastanti del nero e del bianco. Questa casa profuma vagamente di menta, ma in realtà è l'associazione più approssimativa che posso trovare tra ciò che annuso e ciò che riposa nella mia mente annebbiata. Questa casa profuma di Alex in un modo che non riesco a decifrare.
"Ti piace?" mi domanda lasciando cadere svogliatamente le chiavi in un piatto metallizzato sulla cassettiera.
"E' molto bella."
"Vieni." Intreccia nuovamente le sue dita alle mie, conducendomi al divano. Mi siedo, guardandomi intorno, curiosa. Mi chiedo quanto questo posto nasconda e dica di lui. Chissà quante persone l'hanno già visto.
"Sei una delle poche a sapere che sto qua." si stropiccia gli occhi, leggendomi nel pensiero.
"E' da molto che è tua?"
Scuote la testa. "Mmm, no. In realtà non da molto. Però, sai... Quando inizi a sentire aria di tempesta cerchi un altro rifugio, no!?" continua senza attendere una mia risposta "Poi ormai non è difficile prendere casa. Cioè, chiami un tizio e gli dici che vuoi prendere casa a Londra e loro ti procurano le migliori, ai prezzi più spropositati, sicuri che tanto una la prenderai. Qualcosa da bere?"
Annuisco, lo sguardo oltre alla mia spalla con cui mi arrampico sulla superficie dei libri cercando di leggerne i titoli. Un'attività difficile da sobria, immaginiamoci da ubriaca.
"Ti preparo un margarita alla Turner."
"E' il migliore!" rido.
Mentre raggiunge il piano della cucina, mi alzo non troppo ferma sulle gambe, e mi dirigo alla libreria, lontana abbastanza per non invadere irrispettosamente un luogo tanto intimo. Ho sempre provato un immenso rispetto per angoli della casa del genere. Penso che costituiscano l'identità di una persona. I miei occhi incontrano due portafoto rovesciati, appoggiati sulla parte che incornicia l'immagine. Un bicchiere alto dal vetro spesso mi si para davanti, stretto da delle dita affusolate dalle unghie corte. Non l'ho sentito arrivare, mi chiedo quanto tempo io stata qui imbabolata, ma soprattutto non mi sono accorta quando si è tolto il giubbotto di pelle ed è rimasto con una t-shirt nera che mostra la linea delle spalle e i pettorali in maniera civettuola.
"Grazie." in un soffio.
"Ho pensato che rovesciarle fosse più facile che toglierle. Se non le vedi non ci sono, no!?" una smorfia di dolore si dipinge sul suo volto e si riflette sul mio. Penso a Philip, nella casa che condividevamo oltre oceano. Mi chiedo se stia bevendo il suo consueto bicchiere di vino rosso in un calice panciuto di cristallo, lasciandosi pizzicare le narici dalle note fruttate, nascondendo le nostre foto. Ma Philip è troppo drastico, troppo razionale. Per lui struggersi per amore è un'invenzione romantica dell'uomo. Lui le fotografie le strappa e le butta perché eliminare fisicamente, fa posto a qualcosa di nuovo. Quel qualcosa che io non ero più. E non sarò mai più.
"A cosa pensi?" imbeve le labbra nel magarita, facendomi cenno di raggiungerlo sul divano. Così faccio, incrociando diligentemente le gambe mentre la parte finale della mia fenice si mostra irriverentemente sotto l'orlo dell'abito.
"Alle persone che ci siamo lasciati dietro."
Scrolla le spalle e i muscoli delle braccia si irrigidiscono appena, disegnando una linea netta. "Non voglio pensare a quante parole verranno fatte a riguardo. Tutti a dire che eravamo una coppia incrollabile, che saremo per sempre insieme, tutte queste stronzate... Il fatto è che," ingolla un sorso abbondante "che certe persone sono fatte per stare con te solo un po' di tempo. E poi le situazioni cambiano e non ci si riesce ad adattare. E si diventa estranei." in un discorso che sembra fare a se stesso, osserva le mani giunte davanti a lui.
"E' ciò che è successo a voi?" lo imito, senza guardarlo in faccia. So che per queste cose ha bisogno di non sentirsi osservato o sotto pressione.
"Sì." soffia l'aria dai polmoni come se si fosse appena liberato di un peso, come se per la prima volta stesse lucidamente parlando a se stesso "Sì. Sai, quando hai un sacco di cose da fare... E quando avresti mille cose da dirti e invece riesci solo a sederti sul divano, stanco, con il mal di testa e dici le solite stronzate. Non ci conoscevamo più, non avevamo più niente da dirci. Quand'è così che cazzo fai?"
"Te ne vai." Suggerisco in un soffio.
"Già. Per quanto si sia d'accordo e finisca tutto in amicizia. Anche se non è amicizia. La vita che sembriamo avere sui giornali non è la vita vera. Ora parla tu." Avvicina il suo bicchiere al mio braccio, sfiorandolo come a darmi la parola.
"Non funzionavamo più. Non avevamo più niente da dirci ma forse prima di quello, non riuscivamo più a condividere qualcosa. Sai, quando fai quelle cose che hai sempre fatto e ti hanno sempre fatto provare qualcosa... E invece tutto aveva perso colore. Inizio a pensare che sia la vita quotidiana la sfida più difficile. Mantenere quell'equilibrio. Anche se stare con me è come abbracciare una bomba a orologeria."
Sorride "Mi piace questo paragone. Non sei una persona facile, Beth."
"Grazie, questo mi fa stare meglio." Storco la bocca alzando il bicchiere.
Passa una mano tra i miei capelli, parlandomi come una mamma che rimprovera bonariamente il proprio figlio "Intendevo dire che non è facile aver a che fare con te perché sei una persona con mille sfumature. Per trovare un equilibrio con te bisogna non avere paura di farsi fare del male."
Alzo lo sguardo verso il suo viso, le occhiaie appena accennate, il braccio teso verso di me "Tu fai paura, ricordatelo."
"Faccio paura quanto te?"
Scuote la testa "Io non faccio paura a un cazzo di nessuno, Beth. Guardami." Pizzica la maglietta all'altezza del petto.
"Ora sei tu il bigger boy."
"Ironico, eh? Sono quasi contento che quel coglione mi abbia fregato la ragazza al liceo perché aveva la macchina. Ora pensandoci mi viene da ridere."
"Non cambiare." una richiesta urgente mi sfugge dalle labbra mentre raggiungo le sue dita "Non cambiare, Al."
"Perché me lo dici?"
"Perché non voglio... Non cambiare look e personalità."
"Devo proteggermi, Beth. C'è... Vieni qui." mi avvicina al suo petto, accarezzandomi la schiena "Ci sono troppe persone del cazzo intorno. Devo mettere qualcosa tra me e loro. Ma tu mi conosci, tu mi conosci, Beth." posa le labbra sulla mia fronte lasciandoci un bacio dolce "Come ti senti?" mi domanda con premura.
"Stanca," commento sbuffando "stanca come se potessi sentire il peso dell'universo sulle spalle. Come se avessi sofferto mille altre storie d'amore finite tragicamente. Come se tutto mi si fosse accasciato addosso."
Annuisce "Ti senti mai sola?"
"Sì."
"Ora ti senti sola?"
Scuoto la testa "No."
"Neanche io."
Appoggia la guancia alla mia fronte, sento ancora il suo profumo raggiungere le mie narici, il suo respiro così vicino che mi sembra per un attimo di poter essere una cosa sola. La sua pelle è morbida, dolcemente calda.
"Ora ripartirò con il tour, avrò la mente impegnata, non avrò più orari. A volte mi chiedo se sia giorno o notte e dove mi trovo. Ne ho bisogno."
"E' così difficile essere te?" gioco con le dita con le pieghe della sua maglia, concentrando lo sguardo sul suo corpo che inspira e espira.
"Non è difficile... E' abbastanza insensato, essere me."
"Sei sempre così duro con te stesso..."
"Forse non lo sono abbastanza." asserisce, serio.
"Per me rimani sempre il ragazzo che sorride con gli occhi al fondo dell'aula."
Sorride, ora è il suo turno di giocare con i miei capelli, modellando onde intorno all'indice prima di lasciarle cadere dolcemente sulla mia schiena.
"Non vorrei sembrare inopportuno, ma..."
"Ma?" incalzo.
"Rimani qui?"
Espiro il suo profumo, a cui le mie narici si sono abituate con vanità. Perché è contemporaneamente strano e bellissimo essere con lui. Perché dopo molto tempo ritrovo un posto nel mondo che io possa definire mio, perché ancora una volta è lui a tirare fuori la vera me stessa. Per rispondergli, lo fisso negli occhi. Sono grandi, scuri, un mare che si è placato. Per ora.
"Sì."
Annuisce, un sorriso impercettibile muove l'angolo della bocca. La magia malata e dolce che ci ha riscaldato lo stomaco – ma quello, forse, è anche merito dell'alcol – è svanita per lasciare posto a un'indefinita tenerezza, a un senso di riparo dal mondo esterno, di ritrovo caldo da un universo capace di cadere a pezzi. Forse a volte il cielo precipita. E' un momento privo di colori forti e passionali, è un'atmosfera rilassata, che non chiede niente e niente pretende.
Socchiudo gli occhi, abbandonandomi sul suo petto. La stanchezza dell'ultimo periodo si fa sentire, così come i drink. A risvegliare i miei sensi intorpiditi è la sua mano sulla mia coscia, che si sposta sapientemente verso il ginocchio per poi risalire con lentezza. Un movimento che mi mette i brividi e sembra lasciare su ogni millimetro di pelle sfiorata una scia bollente.
"Hai tenuto fede al tuo proposito." Sussurro.
"Quello di non baciarti?"
Si allunga, come un felino capriccioso, sento gli addominali stendersi sotto la mia mano appoggiata sulla maglietta. Emette un mugugno a metà tra l'ironia e il fastidio. "Allora sono davvero un bravo ragazzo."
"Fai ciò che senti, non ciò che ti imponi."
Pronuncio questa frase con un tono di voce sottomesso, eppure limpido. Quasi supponente, come se mi stessi lamentando dell'ovvietà delle mie parole. A cosa serve mettersi divieti?
"Se facessi cosa mi sento, poi –"
"Non uscirtene con la solita stronzata "Potremmo pentircene domani." Siamo grandi abbastanza per non farlo."
Mi bacia la nuca, affondando il viso tra i miei capelli. "Non voglio essere sbronzo e incazzato con il mondo, per fare ciò che mi sento. Per questo adesso andremo a letto."
Lo stringo in un abbraccio e nel farlo, mi ritrovo raggomitolata tra le sue braccia che mi trasportano in camera da letto. Occhieggiando dalla sua spalla, vedo il breve corridoio che conduce a una camera la cui porta viene aperta con il gomito e socchiusa con un colpo di tacco. Le mie mani, strette intorno al collo, scendono sulle braccia scoprendone i muscoli tesi. Mi appoggia con dolcezza sul materasso, un ampio matrimoniale dalle lenzuola blu. Istintivamente, cerco un profumo sul cuscino. E' il suo, è quello di Alex. Per una sera, non trovare il profumo di Philip non sembra sbagliato. Anzi, il profumo di Alex sembra l'unico possibile.
"Stai bene?" mi domanda, togliendosi la t-shirt.
"Mm-mm. Sì. Stavo sentendo di cosa sanno le lenzuola."
Suscito un risolino "E di cosa sanno?"
"Di te."
"Sembra bello. Detto da te, intendo. Sembra una cosa positiva."
"Lo è."
Mi rannicchio in posizione fetale, rivolgendogli le spalle. Un turbinio di pensieri mi frastorna e mi chiedo dove sia casa mia, dove mi trovi. Perché questo dannato profumo sia ovunque, tranne che su di me. Pensavo che volermi appropriare della sua immaginazione, o quantomeno farmi ferire, non avrebbe avuto conseguenze su di me se non puro soddisfacimento della curiosità. E invece quest'uomo, che si stende sul materasso accanto a me silenziosamente, riesce a insinuarsi in ogni piccola fessura lasciata incustodita dalla tua mente. Sarà il tono di voce, sarà il movimento della gola quando deglutisce, saranno le mani forti e curate. Le stesse che si posano sul mio fianco e mi tirano a sé, il suo petto appoggiato contro la mia schiena, il suo respiro sul mio collo. Posa un bacio lascivo, seguito da un morso leggero.
"You're waiting lying on your side, with your hands between your thighs."
Lo sento sorridere a fior di pelle, la sua mano stringe la mia.
Buonanotte, Al. Una volta tanto non starò diventando saggia, ma almeno mi sento al mio posto.

Una luce fioca penetra dalle tende e accanto a me, la schiena nuda di Alex si muove lentamente al ritmo del respiro. Ne osservo le linee, sinuose e dolci, chiare e belle. Bello come solo lui sa essere, agrodolce e decadente, romantico e pieno di domande.
Per una strana sincronia, si risveglia anche lui dal torpore, allungando una mano dietro di sé e appoggiandola sulla mia gamba nuda, stringendola appena. Si volta, gli occhi socchiusi e uno strano sorriso sulle labbra.
Si avvicina al mio volto, passando un polpastrello sulle mie labbra che del rossetto hanno solo qualche traccia residua.
Avvicinandosi, con una lentezza disarmante, pian piano tutto diventa più chiaro. Il mare si è placato, e lui non è più incazzato con il mondo. E' assonnato, sorridente, ha i capelli scarmigliati e il petto avvolto solo da un lenzuolo scuro che rende ancora più bianca la sua carnagione inglese.
Dalla coscia, la sua mano si sposta al mio viso, accarezzandomi una guancia. Seguo i suoi movimenti, quasi in adorazione.
Le sue labbra si posano sulle mie, schiudendosi. Le nostre lingue si incontrano, si sfiorano, si cercano e fuggono, per poi ritrovarsi con ancora più forza.
E' come precipitare o risorgere. Dimentico tutto e tutto mi cade alle spalle. Il peso di quelle storie d'amore, il peso degli amori passati e delle fotografie nascoste, delle incongruenze e delle incomprensioni, dei tatuaggi la cui parte più dolorosa è il significato, non l'ago.
Dentro di me cresce l'invincibile forza di affrontare il mondo, l'ispirazione di poter scrivere pagine e macchiarle d'inchiostro per un momento del genere.
Prima di staccarsi appena da me, sfiora ancora le mie labbra con dolcezza.
"Intendevo questo." Sussurra.
Annuisco, sorridendo e ricambiando questo bacio. Questo primo bacio, dopo anni.
"Le lenzuola..."
"Cosa?" domando, perdendomi nei suoi occhi.
"Questa mattina... Le lenzuola sanno di te. Avevi ragione ieri sera, è bello."  

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