CAPITOLO IX - IMPORSI

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L'aria fresca della sera era quanto di meglio poteva desiderare dopo la lunga corsa sugli edifici della città. Iluk camminava a passo svelto, evitando lo sguardo di tutte le persone che incontrava, fissando il suolo per evitare di calpestare qualche escremento.
Le fastidiose canzoni a palla dei giovani guidatori che passavano ad alta velocità erano la cosa che più lo infastidiva, insieme a chi si scontrava di proposito contro di lui per rapinarlo; per loro sfortuna non aveva neanche mezzo zapol da dare in beneficenza e la tracolla infinita era impossibile da trafugare senza farsi notare.

Arrivò al piccolo chiosco ambulante nel vicolo sulla decima strada in poco più di mezz'ora tenendo un basso profilo. L'ultima cosa che voleva era essere seguito fin laggiù dalle forze dell'ordine. Le lanterne in stile orientale, dal colorito arancio, illuminavano abbastanza da poterci vedere qualcosa. Il lieve suono di un biwa che suonava alla piccola radio riusciva sempre a tranquillizzarlo.

– Il solito? – chiese un uomo retto e mingherlino.

Iluk si sedette su uno dei pochi sgabelli disponibili, poggiando i gomiti sul banco.

– Oggi ho voglia di spaghetti – rispose, dall'aria stanca. – Oggi quanti sono passati?

L'uomo, dal gilet di un violastro e dalla camicia di un nero sfumato, si voltò con calma e buttò la pasta in un bollitore già pronto, per poi iniziare a tagliuzzare qualche verdura. Indossò un paio di occhiali per avere pezzi più simili possibili tra di loro.

– Purtroppo gli affari vanno a rilento... ogni giorno perdiamo il sette per cento di profitti rispetto al precedente. Menomale che ci sono gli affari loschi del signorino a mandare avanti questa copertura.

Rimasero in silenzio finché non finì di cucinare, servendo il ragazzo con garbo e gentilezza.

– Sei l'unico su cui posso sempre contare Darniv, senza di te questo gruppo si sarebbe sciolto già da tanto tempo. Quegli altri due che stanno facendo? Sono sempre a vedersi quella robaccia spinta?

– In realtà osservano le vostre gesta al telegiornale. È da più di un'ora che ridono per la figuraccia che ha fatto fare a quel Generale. Io invece ho sentito tutto in diretta sulla radio.

Mangiò di fretta, senza neanche continuare la discussione. Si limitò a inghiottire ogni singola cosa che metteva in bocca e a bofonchiare insulti a caso.
Passò una banconota da cinque zapol, presa dalla borsa infinita, all'uomo ed entrò nel retro del chiosco, nascosto dall'oscurità dietro una porta di un legno nero.

Scese quelle poche scale e iniziò a sentire quel pungente odore di fumo nell'aria di quella grande stanza. Dopo tutto quello che aveva passato quella sera Iluk voleva solo farsi una bella dormita ma le risate dei due compagni erano più fastidiose del previsto.
Illuminati dai neon arancio e viola, il dottor Eugenie Solok e un ristorato Ardix erano seduti su un lungo divano curvo a godersi lo spettacolo sul grande schermo al plasma mentre divoravano le loro porzioni di cibo. Un piccolo robot fatto di scarti, alto poco più di un metro, reggeva il vassoio dove avevano preso i piatti e attendeva che li avrebbero rimessi a posto.

– Lo senti anche tu Eugenie? A quanto pare è tornato il signorino.

Odiava quando il rosso lo chiamava a quel modo; Darniv lo usava come forma di rispetto ma quando veniva partorito dalle sue labbra tendeva a prenderlo in giro. Erano entrambi felici, come si fossero fatti di qualcosa prima del suo arrivo.

– Un giorno di questi finisce che vi ammazzo a tutti e due. – replicò, divertito, il ragazzo.

Si mostrava giocoso con loro per non dargli altro a cui pensare, soprattutto per via delle loro gravi ferite di cui si addossava ancora la colpa dopo sette anni.

Il dono dell'AlchimistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora