7. Auror

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Il giorno delle nozze tra Tom e Tiffany fu fissato il 12 Marzo.
Il matrimonio si sarebbe tenuto nell'immenso giardino di Villa Riddle, una dimora elegante, l'edificio più vasto e grandioso nel raggio di chilometri.

La residenza era circondata da alti alberi spogli che conferivano un senso di inquietudine e desolazione al paesaggio circostante. Sulla facciata una pianta all'apparenza pura e perfetta per le decorazioni si arrampicava in modo quasi possessivo: l'edera non solo ricopriva la facciata della casa ma anche il balcone della camera di Ecate.

Un cancello in ferro battuto retto da due enormi pilastri in pietra presentava lo stemma della famiglia Riddle: un serpente, non rappresentato a bocca aperta in atteggiamento minaccioso bensì elegante, regale, con la testa alzata in segno di superiorità.
Dal cancello partiva poi un lungo viale in pietra circondato da cipressi che conduceva al portone della villa.

Circa un mese prima Ecate, in quanto damigella d'onore di Tiffany la accompagnò a scegliere l'abito da sposa nel centro di Londra.

"Cosa ne dici di questo?" chiese Tiffany prevenuta.

Era il decimo abito che la commessa del negozio mostrava alle due ragazze. Ogni volta sperava di aver trovato quello giusto ma Ecate lo scartava con un semplice gesto della mano: questa volta non fu diverso.

"Ecate" la richiamò la cognata. "Non lo hai nemmeno guardato."

La Serpeverde aprì la bocca come se avesse voluto dire qualcosa ma non uscì alcun suono, continuò solamente a tenere gli occhi puntati su una rivista di moda.

Tiffany sospirò e si passò le mani sul viso sorridendo debolmente alla commessa, scusandosi in silenzio per la situazione imbarazzante e stressante in cui si era venuta a trovare.

"Perché non dai la possibilità a questi abiti di—"

Ecate guardò da sopra la rivista la ragazza davanti a lei con occhi taglienti. La scrutò soffermandosi su ogni particolare del vestito e sul volto della commessa riapparve la speranza. "Passo." Riportò lo sguardo sulle immagini del magazine che teneva tra le mani senza aggiungere altro.

"Perdonatemi, devo servire una signora. Voi guardate pure e se avete bisogno chiamatemi" disse sconfitta la commessa prima di allontanarsi.

"Non ti risaltano." Se Tiffany non avesse saputo quale voce fosse di Ecate era come se quelle tre parole non fossero state pronunciate da nessuno perché la figlia di Voldemort aveva ancora lo sguardo seppellito tra le pagine della rivista, immobile come una statua. "Ti stai ostinando a provare abiti a sirena che ti impediscono di muoverti liberamente e che ti fanno sembrare un animale in gabbia." Finalmente Ecate abbassò la rivista sulle ginocchia.

"Secondo te qual—"

Ecate sorrise e si alzò dalla poltrona bianca su cui era seduta. Camminò sinuosamente verso un reparto del negozio dove si trovavano abiti principeschi; ne prese uno e lo lasciò tra le braccia di Tiffany esortandola con lo sguardo ad andare nei camerini e provarlo.

"Mamma, secondo te gli piacerò con indosso questo?" Ecate fu attratta dalla voce di una ragazza, poco più grande di lei fasciata da un abito verde scuro, stretto fino alle cosce, che le metteva in risalto tutte le forme e che poi si andava allargando in basso finendo in una pozza di tessuto morbido e sottile.

"Amore ma certo! Sei bellissima" disse la donna commossa soffiandosi rumorosamente il naso.

Ecate sentì gli occhi inumidirsi ma li chiuse respingendo le lacrime. Anche lei, un giorno, avrebbe voluto essere quella giovane donna, trovarsi lì con la madre mentre la riempiva di complimenti ma questo non sarebbe mai stato possibile: la donna che l'aveva messa al mondo non aveva nemmeno avuto il coraggio di accettare di avere avuto un rapporto con il Signore Oscuro e per questo motivo aveva scelto la strada più facile: suicidarsi.

𝗙𝗶𝗴𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗼𝘀𝗰𝘂𝗿𝗶𝘁𝗮̀Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora