Anna e Ferrante: galeotto fu il Sartù

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Gli ultimi raggi del sole tagliavano via Toledo come lame, inesorabili. Anna camminava spedita perché la sensazione che la pelle le bruciasse era diventata insopportabile. Dell'esile figura non passavano inosservati i lunghi capelli del colore del rame e la carnagione diafana. Mancavano pochi metri al vicolo che l'avrebbe portata ai Quartieri Spagnoli* «finalmente!». Entrò e la frescura la investì donandole sollievo. Alzò la testa e guardò i palazzi che si addossavano, aveva sempre pensato che fossero giganti legati da un abbraccio eterno e le finestre fossero occhi che osservavano indifferenti l'umanità che brulicava ai suoi piedi. La distanza da una parte all'altra degli edifici era grande quanto bastava per agevolare il passaggio dei carretti e delle persone. Anna Imperato dei marchesi di Spineta, amava travestirsi da popolana per poter passeggiare per quei vicoli dove l'aria era impregnata dei succulenti odori di pietanze e condimenti, dei profumi dei panni stesi sulle corde tese da una parte all'altra del vico come fossero pronte a essere solcate da un funambolo; il vociare a volte allegro altre triste, la musica che accompagnavano le giornate e poi i sussurri della notte e lei era parte di tutto questo.
La sera si affrettava a scendere su Napoli, gli ultimi metri che la separavano da Palazzo Alba li fece quasi correndo. Arrivò davanti al portone in quercia con un leggero affanno e i battiti del cuore che le martellavano nella testa. Il batacchio dalla testa di Grifone in ferro la fissava minacciosamente o forse voleva solo dare un monito; una goccia di sudore partì dalla nuca solcando lentamente la schiena ed ebbe un brivido di fastidio. Sorrise indispettita al Grifone «non rinuncio!». Afferrò la maniglia con decisione e batté tre volte «tum, tum, tum» il rumore sordo deflagrò nell'aria e nel suo cuore innamorato. Il portone si aprì subito dopo con un clic che risultò essere irrisorio per il contesto. Come poteva dividere un portone due mondi? La donna se l'era sempre chiesto, da una parte la pavimentazione del vicolo sconnesso dai cazzimbocchi** e dal chiasso della gente, dall'altra un giardino con alberi, aiuole fiorite e la fontana al centro dove Partenope sorretta da un delfino che sputava acqua faceva bella mostra di sé. L'unico rumore percepibile era lo sciabordio della fontana e ogni tanto le fronde che si muovevano al passaggio degli uccelli.
Immerse le mani nell'acqua, il contatto le diede refrigerio; si accarezzò il viso fino ad arrivare al collo con le mani bagnate. Si sistemò l'abito e sciolse i capelli, guardò la sua immagine riflessa nella fontana, l'acqua la restituì deformata. Fece qualche passo indietro, per un attimo si sentì smarrita, poi la sua attenzione fu catturata dal portone d'ingresso. Lo fissò, «strano,» pensò «non ricordavo che la bouganville fosse tanto cresciuta da ricoprire parte della porta».
La sera era sopraggiunta improvvisa e le luci della casa si accesero, la porta si aprì come un invito che accolse entusiasta. La grande sala d'ingresso era illuminata da grandi candelieri, le pesanti tende e il tappeto che copriva il pavimento creavano un ambiente ovattato. Salì piano il grande scalone in marmo, con le dita accarezzava il corrimano in legno, si sentiva leggera. Arrivata al piano cominciò a percorrere il lungo corridoio, i quadri si alternavano alle pesanti tende e ai candelabri si accendevano al suo passaggio. L'unico suono che si percepiva erano i suoi passi, il tintinnio della sua cavigliera e il frusciare delle sue vesti. Si fermò davanti alla porta intarsiata, vi poggiò le mani, inspirò volendo concentrare tutta se stessa in quell'azione che pensò essere plateale, ma nel preciso istante che spinse forte le ante spalancandole, ebbe la certezza che la sua vita sarebbe cambiata.
«Sei qui finalmente!» Ferrante le andò incontro, le baciò la mano, poi bevve un sorso di Greco di tufo e le offrì il bicchiere panciuto.
Anna guardò i suoi occhi verdi, accarezzò con l'indice la sua mano e delicatamente la appoggiò per poi accompagnarla alle labbra assaggiando appena. Una goccia le sfuggì e percorse lenta la piega tra la guancia e il mento, Ferrante raccolse con le labbra la stilla ribelle, l'amante affondò le mani nei suoi riccioli scuri e lo guidò alla bocca. Fu un bacio lento, le lingue si esplorarono scambiandosi il sapore che il vino vi aveva impresso.
«Non tutto e subito». Anna gli sussurrò sulle labbra.
Il marchese d'Avalos le offrì la mano e la accompagnò alla tavola imbandita. Sedettero uno vicino all'altra.
«Ho fatto preparare il Sartù che ti piace tanto».
Anna ne tagliò un pezzetto con la forchetta e guardò Ferrante che la imitò.
«Non ci sono regole o obblighi, siamo soli». Le offrì la sua porzione.
Anna aprì la bocca e per istinto chiuse gli occhi. Il primo sapore che le esplose nella bocca fu il ragù con cui era stato condito il riso. Non cominciò a masticare subito, ma ne fece espandere il gusto che si amalgamò con quello del parmigiano, l'odore del basilico si impadronì delle narici. Delicatamente passò il boccone da una parte all'altra della bocca sminuzzando le delicate polpettine.
«Ancora...»
Ferrante ne tagliò un altro pezzetto e la provola fece un filo che legava la porzione nel piatto alla forchetta, Anna con due dita la prese e la portò alla bocca succhiando il sapore deciso, amarognolo, del latticino che contrastava con il dolciastro che avevano lasciato i piselli. Prese la forchetta all'amante e gli offrì il boccone. Le labbra del colore del ragù erano invitanti, le venne voglia di assaggiarle. Così si mise a cavalcioni sulle sue gambe, poi strinse le cosce per aderire meglio strusciandosi lentamente.
«Assaggia». Ferrante le offrì un calice dove il rosso del vino contrastava con la trasparenza del vetro, alla luce delle candele brillava, «è il Lacryma Christi».
Anna bevve piano senza mai lasciarlo con lo sguardo, si leccò le labbra per raccoglierne il sapore, poi intrappolò la sua testa tra le mani e cominciò a succhiargli le labbra, sentì la sua virilità crescere. Ferrante l'afferrò per i fianchi e cominciò a farla muovere più velocemente, mentre Anna esplorava con la lingua la sua bocca, quella di lui l'accarezzava, la esplorava e le restituiva il piacere. La voleva subito, si alzò, lei per un momento credette di cadere così strinse le gambe al suo bacino e le braccia al collo.
«Non temere, tieniti stretta».
Percorse il corridoio quasi di corsa mentre Anna gli mordicchiava il lobo dell'orecchio per scendere lungo il collo e subito dopo ci passava la punta della lingua. Sentiva i seni sul torace e gli bruciava il petto, voleva soffiare fuori l'aria, ma ne uscì un gemito. Aprì la porta della camera da letto con un piede e si diresse deciso verso il letto a baldacchino, ci salì con le ginocchia e Anna lasciò la presa e fu accolta dal morbido materasso. Ferrante fu sopra di lei, le sfiorò il collo con le labbra, le slegò il cordoncino del corpetto e le aprì la blusa. Si fermò ad ammirare i seni bianchi e le aureole rosa che lo invitavano ad essere amate, con i pollici cominciò a disegnare piccoli cerchi intorno ai capezzoli che divennero turgidi, li sfiorò con le labbra e li mordicchiò. Anna sospirava e gemeva stringendo le lenzuola per trovare un appiglio perché si sentiva cadere nel vuoto. Ferrante scese piano lungo i fianchi, le alzò la gonna e le tolse gli indumenti intimi, accarezzò piano l'interno delle cosce e quando lei si inarcò le baciò la sua femminilità, «sì...» la sentì gemere. Le fu sopra e lei gli cinse i fianchi con le gambe, Ferrante la penetrò, non aveva desiderato altro per tutto il tempo, così dapprima il movimento fu quasi furioso, voleva spegnere la fame che aveva di Anna, dopo divenne più lento. Si fermò rimanendo dentro di lei, voleva imprimere nella sua memoria i suoi occhi accesi di desiderio, affondò il viso nei suoi capelli che avevano l'odore del mare. Pensò:«Sono innamorato di questa donna. Al diavolo! Domani metto sulla prima nave per la Spagna quella Janàra***di Caterina. Anna prenderà il suo posto nel mio letto, nella mia vita».
Un urlo sovrastò i suoi pensieri, sentì Anna muoversi furiosamente sotto di lui e poi un dolore lancinante dietro le spalle, sui fianchi. La lama penetrava nella carne con feroce violenza, senza sosta. Ferrante tentò di spostarsi su un fianco per liberare dal suo peso la donna, ma le forze gli scivolarono via come la sua vita.
Ad Anna mancava il respiro, le lacrime le offuscavano la vista, il corpo del suo amore la stava schiacciando, sarebbe morta così, soffocata. Chiuse gli occhi pronta ad accogliere la fine, «Ferrante, amore mio». Sentì il corpo spostarsi e istintivamente l'aria le entrò nei polmoni, vide un'ombra incappucciata e la lama del pugnale luccicò, istintivamente si coprì le nudità, passò la mano sul ventre e si sentì bagnata, si guardò le mani intrise di sangue poi... il buio.

Anna afferrò la maniglia del batacchio dalla testa di Grifone e batté tre volte «tum, tum, tum» il portone si aprì...

Poco dopo arrivarono i turisti accompagnati dalla guida. Indicò il Palazzo Alba: «Si racconta che in questo palazzo nella notte del 4 agosto 1722 gli amanti Anna Imperato dei marchesi di Spineta e il marchese Ferrante d'Avalos furono assassinati da un sicario assoldato dalla moglie Caterina. Ogni anno nella stessa notte si accendono le luci del salone e si sente il profumo del Sartù, piatto amato da Anna, poi le urla e i pianti di donna. Dopo solo silenzio».

Dipinto di Roberto Ferri, L'età dell'oro, 2015

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One Shot scritta in memoria di @paroleemusica per il contest "Come ti prendo per la gola" di @NicoleMoonlight

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Note.

* I Quartieri Spagnoli furono costruiti per ordine del viceré spagnolo don Pedro d'Avalos per acquartierare le truppe spagnole di istanza e di passaggio per Napoli.

**Il cazzimbocchio è un blocchetto di porfido, a forma di piramide tronca, usato per la pavimentazione delle strade e più conosciuto come 'sampietrino'. Qualcuno ne individua l'origine etimologica nel nome di un ciottolo tedesco di forma semisferica, il 'katzenkopf ' (testa di gatto).

***La Janàra è una strega.

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