13.

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La cucina di Jackson sembrava un campo di battaglia quella mattina.
Il bancone era ricoperto di farina e di terrine sporche di una strana poltiglia appiccicosa.
Mestoli di legno gettati nel lavello impiastricciati con la stessa poltiglia.
L'odorino che aleggiava invece era di bruciato.
Mark stava tentando di fare i pancakes, ma la prima volta aveva sbagliato le dosi, la seconda gli aveva bruciati tutti e ora era intendo a farli per la terza volta.
Le cameriere e gli scagnozzi stavano trattenendo le risate.
Non era solo la cucina ad essere un disastro ma anche il cuoco mancato.
Indossava un grembiule tutto infarinato e perfino nel suo viso c'erano tracce di farina.

"SIIIIIIII. Ce l'ho quasi fatta".
Disse Mark ridendo vedendo il primo pancake formarsi sotto i suoi occhi.

Jackson si svegliò di scatto per quell'urlo, pensava già che fosse successo chissà cosa.
Si mise una tuta addosso e appena aprì la porta della sua stanza venne investito con quel miscuglio di profumo con una nota di bruciato.
Era corso subito giù dalle scale pensando che avesse preso fuoco qualcosa.
Si fermò quando trovò Mark sculettare felice mentre muoveva la padella.
Ipnotizzato seguì le sue movenze, si riprese solo quando quest'ultimo si girò verso di lui.
Gli sorrise e il battito di Jackson si fermò, come poteva sorridergli dopo quello che gli aveva fatto, come poteva trovarsi ancora in quella villa, era sicuramente impazzito, un pazzo che purtroppo lo destabilizzava.
Nemmeno Mark sapeva perché fosse rimasto, forse perché negli occhi di Jackson la sera prima ci aveva visto un grido di aiuto, come se avesse lui bisogno di essere salvato, salvato da se stesso e dai demoni che si portava appresso da tutta la vita.
Era compassione? Non lo sapeva, non sapeva dare un nome a ciò che provava per lui.

"Ho preparato i pancakes. Ci sono riuscito".
Disse continuando a sorridere.
"Siediti nella tavola da pranzo. Non preoccuparti per la cucina la sistemo dopo colazione".

Jackson maniaco della pulizia e dell'ordine per colpa del sorriso del ballerino non si era nemmeno reso conto del cataclisma che era piombato nella sua cucina.
Se ne accorse solo quando glielo fece notare, ma non disse niente.
Andò come detto a sedersi nella sala da pranzo.
Dalla sua seduta poteva vederlo mentre sistemava i pancakes su un piatto tutto fiero di sé stesso.
Involontariamente alzò un angolo nella bocca incantato a guardarlo.
Si ridestò subito quando lo vide entrare nella sala.
Lo vide andare su e giù diverse volte portando il caffè, la cioccolata spalmabile e la marmellata per poi mettere al centro il suo orgoglio di quella mattina, i pancakes.

"Spero siano buoni quanto belli".
Disse Mark guardando Jackson mettendone uno già sul suo piattino.

"Mmm si discreti".
Esclamò Jackson dopo aver mangiato il primo boccone.

"Non mi darai mai la soddisfazione".
Ridacchiò.

Eh lì, in quel preciso istante il cuore di Jackson perse il secondo battito.
Non vedeva ridere qualcuno da tantissimo tempo, lui non lo aveva mai fatto.
Eppure quella risata gli era entrata dentro, come se facesse già parte della sua vita.
Finì velocemente di fare colazione per potersi allontanare da lui, da tutti quegli effetti che gli stava provocando.
Mark lo guardò ingurgitare i pancakes così velocemente che temeva si strozzasse.
Non disse niente, aveva notato una leggera tensione.
Finì di fare colazione, lui era già felice del risultato culinario per preoccuparsi delle turbe di Jackson.
Pulì la cucina e per tutta la giornata non vide più Jackson, pranzarono e cenarono separati.
Mark pensava che fosse tutto normale visto il personaggio, mentre l'altro stava cercando di non fare emergere emozioni morte da tempo, chiuso nella sua stanza.

Ognuno nella propria stanza, ognuno immerso nei propri pensieri.
Ma uno dei due stava per infrangere una delle sue regole verso se stesso.
Non si doveva rovinare l'involucro, quello doveva rimanere perfetto immacolato, solo ciò che custodiva doveva essere fatto a brandelli.
Ma quella sera stava provando così tanto odio per se stesso, odio per i sentimenti che spingevano per fuoriuscire che decise di spingersi oltre.
Prese il coltellino, si sedette ai piedi del letto e fece un taglio sul palmo della mano, la chiuse in un pugno.
Guardò le gocce di sangue cadere per infrangersi sul pavimento.
Provava dolore e questo gli piaceva, era l'unica cosa che conosceva.
Restò lì alcuni istanti prima di fasciarsi la mano e pulire il pavimento.
Quel dolore lo aveva portato al suo solito stato, vuoto.
Prese sonno guardandosi la mano, per oggi aveva sepolto di nuovo il tumulto di emozioni.







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