17.

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Jackson aveva conosciuto Wonho quando non era ancora il Joker, a quell' epoca era solamente un giovane ragazzo già danneggiato.
La madre di Wonho aveva un market nel paese dove viveva, era gestito dal patrigno perché il padre era morto anni prima.
Tra Jackson e lui c'erano sette anni di differenza, lo incontrava ogni volta che andava a fare compere per la sua famiglia.
Era sempre seduto in un angolo a colorare o a fare i compiti, purtroppo doveva stare con il suo patrigno perché sua madre era molto spesso fuori per i vari fornitori.
Quel ragazzino era taciturno, mentre quella sottospecie di uomo lo insultava per ogni singola sciocchezza.
Avrebbe tanto voluto prenderlo a sberle, ogni volta che assisteva a quelle scene gli ribolliva il sangue.
Ma era un ragazzino, così mingherlino da non intimorire nessuno, dentro di sé si era ripromesso che sarebbe ritornato quando sarebbe stato più forte.

Nonostante trascorsero diversi anni lui si ricordava della promessa che aveva fatto a sé stesso.
Ritornò in quel market, la madre di Wonho era morta e lui era stato affidato a quel miserabile scarto umano.
Quando solcò la soglia lo fece con il nome del Joker, e non si sentiva più quel ragazzino indifeso e debole.

Wonho era cresciuto, ma poteva ancora vedere i segni esterni e interni che gli aveva procurato quell'uomo.
Non era riuscito a salvare suo fratello, ma non avrebbe permesso che anche lui facesse la stessa fine.
Chiamò i suoi uomini dentro, fece mettere a soqquadro quel market, lo voleva ridurre in brandelli, l'uomo era stato messo al muro, minacciato con una pistola alla tempia, non aveva osato fiatare.
Jackson si avvicinò a Wonho e lo portò fuori da lì, lo guardava con gli occhi sgranati senza fiatare.
Non avrebbe potuto riconoscerlo, avevano entrambi subito notevoli cambiamenti.

Wonho non aveva opposto resistenza, pensava che non ci fosse cosa peggiore di quella che viveva giornalmente.
Il piano di Jackson era quello di ospitarlo per pochi giorni, dargli dei soldi e permettergli di andarsene successivamente.
Ma il piano di Wonho era ben diverso, in quei giorni divenne la sua ombra, lo aveva supplicato di tenerlo con lui, che gli doveva la vita, che avrebbe fatto di tutto.
Forse accettò perché gli ricordava suo fratello, forse perché era felice di essere riuscito a salvare almeno lui.
Lo allenò personalmente, si trasferì definitamente in villa con lui, divenne il suo braccio destro conquistando la sua fiducia.
Lui era il responsabile anche degli altri scagnozzi.
Tutti gli portavano rispetto anche se era il più giovane, quel posto se lo era guadagnato, non gli era stato concesso nessun privilegio.
Wonho era grato a Jackson, per averlo salvato, per averlo accolto, non gli importavano i suoi affari, sapeva ciò che faceva.
Lui sapeva che aveva fatto uccidere solo persone che meritavano quella fine.
Aveva torturato anche altre persone prima di Mark, ma mai uccise, non erano mai durate quanto lui.
Quelle precedenti le "usava" al massimo per due giorni e poi le liberava.

Tutto quello che era successo con Mark non era mai successo precedentemente, sembrava che seguisse un percorso a sé.
Perfino Wonho si era reso conto che Il Joker era da un po' che era più Jackson che il suo pseudonimo.
Pensava di saperlo mascherare bene Jackson, ma per chi aveva imparato a interpretare ogni tonalità ed espressione era molto visibile il cambiamento.
Wonho era felice di aver captato questo, e considerava Mark un toccasana per il suo capo.
Era come una ventata d'aria fresca, lo tormentava, ma era impossibile non finire con l'accontentarlo e sorridere insieme a lui.
Il suo sorriso era contagioso, perché non era solo fatto con le labbra, ma era capace di estenderlo su tutto il viso, illuminando i suoi occhi.
A prima impressione poteva sembrare fragile o ingenuo, ma era l'esatto opposto, era scaltro, tenace e sapeva andare oltre all'apparenza.
Era la persona giusta, perfetta per tirare fuori dalla tenebre il suo capo.
Forse a breve avrebbe visto anche il sorriso di Jackson, in tutti quegli anni non ne aveva mai visto nemmeno un cenno.
Era sempre contenuto, calibrava ogni gesto e ogni emozione risultando un automa a occhi esterni, ma lui sapeva benissimo che non era così.



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