Capitolo 16 (una parte di me)

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(MACA's POV)

Otto mesi dopo

Sferro un pugno al sacco, cercando di sfogare tutta la tensione che ho in corpo.
"Stop" dice Rebekah, schiacciando il cronometro in modo che il tempo si fermi.
Butto fuori un respiro pesante, per poi slacciarmi i guantoni e buttarli per terra.
Mi siedo sulla panchina, bevendo un sorso d'acqua, per poi asciugarmi il sudore con un asciugamano.
"Brava. Stai lavorando bene..." annuisco nel sentirla, mentre il mio sguardo rimane disperso nel vuoto.
"Macarena..."
"Mh..." dico, guardandola in faccia.
Sospira, per poi sedersi accanto a me.
"Ci pensi ancora. Vero?"
Scuoto leggermente la testa, per poi alzarmi, mettendo la roba dentro la borsa.
"Non voglio parlarne"
"Sono passati tanti mesi. Come puoi pensare ancora che-"
"Tu non sai niente!" Dico alzando la voce, facendola bloccare di colpo.
Da quando sono tornata vedono che non sono più la Macarena che un tempo ero.
Stare con Zulema, con gli altri, in quel posto, mi ha cambiata un po'.
E se io l'ho accettato, loro ancora no.
La guardo, sospirando, per poi raccogliere le mie cose, avanzando verso l'uscita della palestra.
"Ti sono grata per quello che fai, okay? Ma parlarne di continuo non porta a niente. Sto bene. Mi è passata. Solo che a volte ci penso tutto qui"
"Non voglio che soffri"
"Non soffro" dico, facendo una smorfia, fingendo falsamente.
"Maca"
"Becks. Basta cosi" esco dalla porta, sbattendola con forza, per poi dirigermi fuori.
La brezza notturna mi fa svolazzare i capelli, che sono rimasti fuori dallo chignon disordinato che mi sono fatta prima.
Le prime gocce di pioggia si posano sul mio viso, facendomi chiudere gli occhi.
Rivolgo il viso verso l'alto, come se questo potesse darmi un senso di liberazione.
Liberazione da questo cazzo di senso di colpa che mi attanaglia lo stomaco da otto mesi.
Otto mesi, ripeto tra me e me.
Sono già passati otto mesi, e il ricordo della mora mi perseguita tutt'ora.
Sospiro, pensando a quante cose sono successe nel mentre.
Dopo quel gala, per coprire Zulema ho dovuto raccontare tutto a Estefania e Rebekah, nella speranza che potessero capire.
O quasi tutto.
Forse a dire il vero ho detto il minimo e indispensabile.
Ho detto loro che mi ero invaghita di Zulema, che non sono riuscita a portare a termine la missione.
Senza dire loro del bacio, o di tutti gli altri dettagli avvenuti tra me e l'araba.
Ho pianto.
Sinceramente.
Ho pianto tutto ciò che potevo, perché mi ha distrutto fare il gesto che ho fatto.
Ho pensato mille volte a come poter rimediare, senza mai capire come.
Vedendomi cosi, mi hanno aiutata, cercando di comprendere le mie ragioni, e anche magari se non l'hanno fatto, mi hanno comunque aiutata.
Hanno raccontato al dipartimento che ho cercato di bloccare Zulema, ma che quest'ultima non si era mai fidata abbastanza di me, tanto da nascondermi un piano d'emergenza.
Hanno detto che grazie ad un hacker hanno fatto chiudere la porta, fottendoci.
Tutto ciò che hanno della mora, è il nome e il sesso.
Ora non è più l'anonimo.
Cercando nei database non risulta niente però, è come se fosse un cazzo di fantasma.
Mai schedata, mai fatto esami clinici.
Come se quel nome non esistesse.
Di questo incolpano l'ipotetico hacker, che dovrebbe lavorare con lei.
Nonostante tutto mi hanno aiutata, e mai sarò loro abbastanza grata, ma penso che non riusciranno mai a capire davvero come mi sono sentita e come mi sento tutt'ora.
È come se una parte di me non ci fosse più.
Come se fosse rimasta dall'altra parte della porta blindata.
Dopo due settimane sono ritornata nel posto dove avevamo la base, qui a New York, ma non c'era assolutamente nulla.
E di loro nessuna traccia.
Mi sorprende la velocità con cui ha portato via tutto.
Penso abbiamo cambiato città, perché non ci sono stati più sue notizie da allora.
Nessun crimine che fosse riconducibile a lei.
Come se non esistesse più.
Almeno non a New York.
Per quanto riguarda me e il mio lavoro, sono salva.
Mi hanno comunque riconosciuto il coraggio e la forza, senza sapere che era tutta una cazzata.
E ora mi ritrovo a lavorare con l'FBI, senza più i miei vecchi valori che un tempo mi spingevano a continuare.
Mi ritrovo senza una parte di me.
Un vuoto che può essere colmato solo da lei, e da loro.
Riapro gli occhi, per poi incamminarmi verso la strada, cercando di fermare un taxi.
Dopo il terzo tentativo, uno mi vede, e accosta alla strada.
Salgo, mettendomi comoda, per poi parlare.
"West 56th street. Al 'the osborn'"

𝙱𝚛𝚘𝚔𝚎𝚗 𝚂𝚘𝚞𝚕𝚜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora