24.

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Gli occhi cerulei del mafioso lo guardarono con aria piuttosto stupita dalle parole appena emesse dal castano. Quasi credeva di esserle immaginate, non si sarebbe stupito in tal caso...

«Eh?»

Vide Dazai pararsi dinanzi a sé, le iridi colore ambra lo scrutavano con molta attenzione senza lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio. «Chūya-kun, so che- che questo è un periodo difficile per te, tuttavia, se tu lo volessi potremmo superarlo... insieme, che ne dici?Dopotutto, anche prima di tutto questo hai vissuto tranquillamente come fosse casa tua, qui, per un paio di giorni perciò...» tra i due la distanza era meno di un metro, motivo per cui, il rosso dovesse alzare di molto il capo per poterlo guardare dritto negli occhi e cercare di captare quali fossero i pensieri di Dazai, nonostante fosse un'impresa piuttosto complessa quella di riuscire a comprendere qualsiasi cosa stesse frullando nella mente del moro.

La proposta del bendato era piuttosto allettante e quasi convinceva il fulvo ad accettare. Poiché, dopotutto, non ci sarebbe stato alcun effettivo cambiamento se non un ufficializzazione del suo trasferimento all'appartamento del più alto, tranne per il fatto che avrebbe dovuto recuperare ogni suo effetto personale dalla propria abitazione. Tamburellava le dita sulla coscia un po' nervoso prendendo il labbro inferiore tra i denti. «Ecco-» esalò un lungo respiro «va bene...» furono sufficienti quelle due semplicissime parole per illuminare, quasi avesse preso il posto della stella polare, il viso di Dazai. Arricciò le labbra in un sorriso così splendente, luminoso, da risultare quasi accecante agli occhi del rosso che si trovava di fronte a lui. Guardandolo bene, pareva quasi volergli saltare addosso da un momento all'altro. Eppure, notò che teneva le mani ben stretta l'una nell'altra, come se si stesse trattenendo. Chūya aveva già capito il perché di ciò. Era... per colpa sua. Sua e di quel maledetto, opprimente senso di angoscia e terrore che lo assaliva in ogni momento della giornata senza mai lasciarlo in pace. Conficcò le unghie nel palmo della mano, spoglia del guanto nero che abitualmente aveva indosso, facendosi un male cane, eppure necessario.

Si era talmente estraniato dal mondo esterno da non accorgersi quasi di una mano bendata che gli posava sul capo un cappello, ma non un cappello qualunque. Il suo cappello. Quello stesso cappello che indossava ormai da troppo tempo per potersene separare definitivamente. Lo afferrò da sopra la tua testa e se lo rigirò tra le mani quasi non credesse fosse tutto reale. Alternò lo sguardo dal suo accessorio preferito a quello di Dazai.

«Sai, quando sei scomparso... i tuoi vestiti erano stati lasciati qui, insieme a quello e quindi ho pensato che-»

«Grazie.» si lasciò sfuggire, il rosso, con tono flebile ed udibile unicamente al moro che gli stava vicino ma neanche troppo. Gli venivano quasi le lacrime agli occhi. Sbatté le palpebre più volte ricacciandole indietro.

«Figurati, Chibi.» si sedette sullo sgabello di fianco a quello di Chūya mantenendo quell'espressione così spensierata in volto da essere quasi contagiosa per il più basso che non riusciva a scostare lo sguardo. Lo vide distogliere un attimo lo sguardo, un po' pensieroso e appena appena titubante. «So che è adesso è tardi, però... ti andrebbe di andare a farci un giretto e vedere le stelle che ti piacciono tanto?»

Il viso di Chūya divenne un po' più vivo e luminoso in seguito a tale domanda. Le sue labbra scarlatte si piegarono in un sorriso sincero, spontaneo, forse il primo vero da quando era tornato finalmente a casa, protetto dall'amore che li univa. Ne avevano passate tante e avevano decisamente bisogno di staccare un po' la spina andandosene lontano, molto lontano, sotto un cielo stellato che attendeva soltanto di essere ammirato per ore e ore senza essere consumato dagli occhi che gli si posavano costantemente ogni singola notte da ogni essere umano, che fosse un bambino, un adolescente o anche una persona anziana. Ci si poteva stancare di tante cose, tuttavia, di restare a guardare per delle ore intere un cielo saturo di tante piccole luci nessuno avrebbe mai detto di no. Almeno, ciò era quello che Chūya pensava.

Siamo come i fiori di ciliegio- Soukoku Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora