XII. La Ricerca

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Esistono momenti della vita in cui non ci si rende conto di cosa succede. Sembra un sogno, un'illusione, una fantasia forse, e il cervello cerca di estrapolare da quelle immagini la semplice realtà. In una mera utopia si nascondono tanti particolari, quelli così invisibili che non si riuscirebbe a trovare a occhio nudo, o a primo impatto, perché per trovare le particelle d'oro sotto la superficie bisogna scavare.

Il cervello non nasconde nulla all'uomo, è egli a essere incapace di utilizzarlo nel pieno delle sue possibilità, ed è sempre lui a non rendersi conto di avere un potere enorme tra le sue mani.

I ricordi possono essere flebili, trasparenti, poco brillanti e l'uomo si ritrova a chiedersi se quella è la realtà o solo un inganno della mente.

Da quando Richard aveva aperto gli occhi e si era trovato tra le pareti della sua stanza da letto, continuava a chiedersi - quasi come un disco rotto - se ciò che era accaduto fosse reale oppure no. Sembrava qualcosa di così lontano, anni luce forse, e il solo pensiero di essere finito in un castello, circondato da oggetti parlanti e una bestia - che lo aveva rinchiuso in una cella per una rosa -, sembrava così assurdo, irreale, finto.

Lo faceva rabbrividire. Sentiva sulla pelle dei puntini che tiravano e lo catapultavano in una dimensione fatta di timore e stupore. E se fosse stato vero? Se non fosse stato un sogno?

Eppure non riusciva a ricordare nulla, se non pochi stralci di quello che era accaduto. La mente gli riportava l'immagine di un candelabro, di un orologio, una teiera e uno spolverino che parlavano, che gli raccontavano come fossero diventati così. Gli spiegavano di una maledizione e del principe. E poi solo una rosa e una figura alta e grossa che lo trascinava nelle segrete.

Un incubo con i fiocchi. Quando si era svegliato il suo primo pensiero era stato quello di raccontare l'accaduto a Lily - da sempre amante di quei sogni inusuali -, cosicché potesse aggiungerlo alla raccolta di favole per bambini che stava segretamente - ma non per Richard - scrivendo. Avrebbe potuto esserle d'aiuto.

Ma poi lo scontro con la realtà. Aveva aperto la porta della stanza di Lily e, con suo insigne orrore, si era reso conto che il letto era immacolato. Non c'era niente che potesse dargli l'illusione che la figlia fosse stata nella stanza, e ciò non fece altro che preoccuparlo ancora di più.

Aveva sceso di corsa le scale, i passi pesanti che battevano senza alcun ritegno sul legno scuro, un senso di ansia viscerale che lo attanagliava fino alla gola e non gli permetteva di respirare, la saliva bloccata in gola che non saliva e non scendeva, le mani che poco alla volta si chiudevano in pugni serrati.

Era arrivato in cucina, sperando di vederla seduta a tavola mentre faceva colazione.

«Tesoro», lo aveva salutato Dahlia con un sorriso un po' tirato mentre Petunia non alzava la testa dalla sua ciotola del latte. «Ti sei svegliato. Come ti senti?»

Era un'immagine così vivida che Richard, dopo anche una manciata di giorni, non era ancora riuscito a dimenticare. Gli occhi scuri della moglie erano arrossati, Petunia sembrava essere catapultata in un mondo lontano dal loro e la sedia vuota di Lily accanto alla sua.

Fu in quel momento che si rese conto che quel sogno forse fosse fin troppo vivido, perché lui lo aveva vissuto e qualcosa riempiva i suoi ricordi di una nebbia così fitta che credeva di riuscire a superare, ma che poi non lo aspettava mai a qualche passo di distanza, come se la fatica immane impiegata per superarla non fosse valsa nemmeno per un centimetro.

Si era lasciato cadere sulla sedia e si era preso la testa tra le mani, lasciando che un urlo liberatorio lasciasse le sue labbra. Petunia era saltata, stupita del fatto che suo padre - sempre così equilibrato, ligio e serio - si fosse lasciato andare, facendosi schiacciare dal peso della frustrazione. Dahlia, invece, aveva chiuso gli occhi, non riusciva a tollerare il fardello della perdita e tanto meno del malessere che tormentava il marito.

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