*Rose* Capitolo 2

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È il primo mattino dei mio secondo giorno a Londra. Mi avvolgo dolcemente, tra le coperte ancora calde, ne godo ancora un po', la luce entra fioca dalla mia finestra. Mi cullo tra i rumori dei passi e delle stoviglie in cucina, tra i profumi del mattino. Mi alzo, mi infilo una vestaglia e mentre la lego in vita mi dirigo verso la cucina, c'è Lara, è poggiata su di una piccola cassettiera mentre guarda in direzione della finestra, ma senza guardare davvero fuori. Una piccola radio suona piano i Joy Division, lei stringe tra le mani una grossa tazza fumante, senza guardarmi mi dà il buongiorno, poi sbadiglia. "Cosa hai voglia di fare oggi?" La guardo mentre avanzando mi libero i capelli da un intricata treccia, " Non so", dico piano, spostando rumorosamente una sedia su cui mi accomodo con poca grazia. Sto per fare una proposta qualsiasi riguardo al da farsi e bussano alla porta, troppo forte per i miei gusti, Lara capisce che non sarò io ad andare ad aprire, mentre lei si dirige verso la porta, io mi dirigo verso il caffè.
So perfettamente chi mi troverò in casa da lì a breve, sento il suo chiacchiericcio rumoroso fin qui. Oliver compare dal piccolo disimpegno "goood moooorning" grida, ed io vorrei tappargli la bocca, proteggere le mie orecchie e la mia sanità mentale. Entra a grandi passi in cucina, poggia un sacchetto di carta sul tavolo, probabilmente con delle brioches, o qualcosa di simile, lo supera e me lo trovo appiccicato a versarsi l'ultima tazza di caffè americano, "buongiorno" dico a mezza bocca, mentre penso, anzi spero, che non mi gridi qualcosa nelle orecchie. Torno alla mia sedia e alla mia colazione, nel mentre anche Tom e Lara sono in cucina, chiacchierano presi l'uno dall'altra e si mangiano con gli occhi.
Non l'avevo immaginata così questa vacanza, è appena iniziata, ma so già che piega prenderà con questi due. Mi aspettavo pomeriggi a sorseggiare tea e serate a ubriacarci noi due sole, a parlare io e la mia amica del futuro, e forse piangerci sulle spalle dicendoci quanto ci vogliamo bene, cose così. Ma non andrà in questo modo,
sbuffo persa nei miei pensieri.
"... Che ne dici Rose?" Alzo la testa e di fronte a me, seduto con le gambe accavallate a bere il suo caffè, c'è Oliver che aspetta una risposta da me.
Mi guarda, sorride, lui sa esattamente cosa vuole e come ottenerlo, è sicuro di sé, affascinante, trascinante. Oliver sa come far cambiare idea alle persone, sa come vendersi, ci sa fare con le parole e con i modi.
"Ti va?" Incalza, la testa leggermente inclinata verso il basso, il sorriso appena accennato, malizioso, proteso verso un solo angolino delle labbra disegnate, mi guarda e il suo sguardo mi aggredisce e mi fa sentire nuda, arrossisco. "Non mi piaci", penso mentre sono vistosamente a disagio.

Oliver non è inglese, è nato e cresciuto in America fino alla fine del college, figlio di madre italiana e padre canadese. Ora vive a Berlino da qualche anno, non sta mai fermo in un posto per troppo tempo. È di buona famiglia, e questo lo aiuta a spostarsi, i suoi hanno case ovunque. Ma c'è da dire che è caparbio e talentuoso, e gli ostacoli che ha trovato lungo il percorso li ha superati senza alcun aiuto, la fama che ha è frutto di sudore e carattere.

Dopo aver detto di sì senza avere idea a cosa abbia dato il mio consenso, mi ritrovo in auto, dalla parte sinistra del veicolo, senza un cazzo di volante davanti,viaggiando "contromano". Non mi abituerò mai.
Ci spostiamo fuori città tra splendide strade di campagna e panorami mozzafiato, "walking on sunshine" canta alla radio, sento la mano di Lara sbucata dallo spazio del sedile tenere il tempo sulla mia spalla, e canta, tutti iniziano a cantare.

E alla fine va bene così, anche se la giornata sta andando in una direzione diversa, rispetto a quella che mi aspettavo appena ho aperto gli occhi stamattina.

Dopo un ora di macchina ci troviamo in un paradiso inglese, colline colorate, ornate da fogliame autunnale circondano un pittoresco villaggio che sa di Gran Bretagna e letteratura inglese.
Con zaini in spalla ci avviamo lungo un semplice percorso leggermente in salita, la meta è una splendida collina, che da qui è di un rosso brillante, sfumature oro e arancio.
"Lara mi ha parlato spesso di te" la voce di Oliver è decisa ma melodiosa, è appena dietro di me. "Spero bene." rispondo in modo piatto, continuando a guardare in basso, a vedere dove metto i piedi, i pollici ben ancorati agli spallacci dello zaino. I passi di Oliver si fermano, "non credo ti abbia reso giustizia" dice, sento dei 'click', alzo la testa e mi giro verso di lui. Il suo volto è nascosto dietro alla reflex, mi scatta delle foto e per me è strano, mi spiazza. "I tuoi capelli e le TUE GUANCE si sposano perfettamente con lo sfondo" ridacchia, io mi volto e riprendo a camminare, "che motivo ha di sottolineare che arrossisco, è scortese. E poi perché arrossisco?!".

Siamo circondati da uno splendido panorama, ci fermiamo sotto un grosso faggio, eccolo il nostro picnic inglese, dopo aver sistemato tovaglia teli e pietanze ci sentiamo parecchio soddisfatti dell'operato. Tom è davvero carino con Lara, con quei suoi modi tipicamente inglesi, e a volte mi ricorda Joseph, vorrei fosse qui, ho questo pensiero da quando siamo partiti, tutto questo sarebbe così bello con lui. E inconsciamente mi abbandono ai ricordi più intimi, alle mie mani tra i suoi capelli, al suo profumo, alle sue labbra che fanno vibrare ogni parte del mio corpo.

Abbiamo mangiato, chiacchierato un po', e ora siamo stesi su una fila di morbidi plaid, il vento leggero mi muove i capelli, la pancia è piena, e avvolta nel mio caldo cardigan apprezzo tutto ciò che mi circonda. Sento i ragazzi ridere mentre giocano a trovare forme alle nuvole, poi d'improvviso il silenzio, Oliver accanto a me, inizia a darmi gomitate per svegliarmi dalla mia beatitudine. Mi volto e lui sorride e mi indica con lo sguardo oltre le sue spalle, io mi alzo sui gomiti e vedo Lara e Tom avvinghiati, che si baciano voracemente, rido e faccio spallucce a Oliver, che però non ha intenzione di dargli il minimo di intimità, prende fiato come se volesse gridare qualcosa, io gli faccio segno di no con la testa, mi giro di lato verso di lui facendogli il gesto del silenzio, lui trattiene la risata e anch'io, riprende fiato ed io d'istinto gli copro la bocca con la mano, lui si divincola appena mentre entrambi ridiamo a denti stretti. Poi d'improvviso la sua espressione cambia, si muta nello sguardo che mi spoglia, prende la mano che serrava le sue labbra, e mentre continua a guardarmi ne bacia il palmo. Un bacio caldo e morbido,e lento, la percezione del suo respiro caldo sulla mia mano,
Un brivido mi scuote dentro, arrossisco, non voglio. Sfilo in malo modo la mano dalla sua presa delicata, e mi tiro su, a sedere, frugo nella borsa e mentre sto per iniziare a girarmi una sigaretta squittisco qualcosa come "dovremmo andare..." Mi schiarisco la voce "tra un po'..." aggiungo poco più sicura.
"Si, dovremmo proprio andare" penso " non voglio stare con Oliver un minuto di più."

⚠️In Revisione⚠️ UN PIOVOSO AUTUNNO [Joseph Quinn *Parte 2*]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora