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Passai tutta l'estate chiusa in casa, preferivo essere sola a casa piuttosto che sola fuori casa.

Inizia la terza media, sento come che quest'anno sarà diverso.
Sono io a sentirmi completamente diversa.

Il primo giorno di scuola sembra andare tutto liscio, Vittoria mi ha fatto addirittura un complimento. Ha detto che ho fatto un glow up assurdo da prima del lock down.

Non sono l'unica a sentire come se fossi cambiata allora.

Con il passare del tempo, però, le cose tornano come prima, come sempre. I miei compagni sono odiosi, i miei professori sono odiosi, la mia fottuta vita è odiosa, non ho letteralmente nessuno.

Nessuno tranne Kety. L'ho riavvicinata ora che è ricominciata la scuola, credo proprio che lo abbia capito, avevo solo bisogno di stare sola.

Già, Kety, quest'anno sono venticinque anni che siamo amiche, mi sembra davvero incredibile. Eppure io ne ho solo ventotto. Dal primo anno di asilo siamo state amiche e ancora lo siamo, queste si che sono le amicizie quelle belle e durature.

Tornando a noi, la piccola me, o meglio, la me tredicenne stava dicendo:

Tutto è tornato odioso e da una parte va bene così, non mi mancherà per nulla questo posto.

Non mi mancherà letteralmente nessuno di tutti gli stronzi che ho vicino.
Nessuno.

* * *

Febbraio.

È finalmente febbraio, manca sempre meno alla fine della scuola. O meglio: manca sempre meno alla mia liberazione da questa prigione.

Non vedo l'ora che finisca tutto.

Furba, sta tralasciando un particolare davvero importante.

Il periodo da settembre a febbraio non è stato come dice lei, più o meno. Come posso spiegarlo?

Lo è stato, quello che ha detto lei è vero.
Però manca di un dettaglio, un dettaglio davvero importante.

Durante quel periodo l'unica cosa che facevo, sinceramente, era leggere.
E tagliarmi.

Già, lo facevo sempre, letteralmente non resistevo più di qualche ora senza farlo.

Avevo già accennato a questo problema in precedenza, ma con il lock down sembravano essersi risolte le cose.

Mi è bastato tornare all'inferno per ricaderci.

Ma è stato peggio, molto, molto peggio.

Era diventata un'ossessione, non riuscivo a farne a meno, mi sembrava di morire senza e, in parte, era esattamente così.

Infondo è così, le dipendenze ti uccidono. Però lo fanno in modo spietato, crudele. Ti strappano tutto ciò che pensavi fosse tuo, tutto ciò che pensavi di poter controllare. La verità è che, quando hai una dipendenza, il controllo è tutto ciò che non hai.

E poi succede, cadi e cadi finché non ti schianti su qualcosa di duro. Lì pensi di aver finalmente toccato il fondo, che più di così non puoi andare giù e cominci a pensare a come risalire. 

Poi... 

Beh, poi semplicemente succede.

Il pavimento crolla e nella tua incredulità ricominci a cadere, però questa volta è diverso, questa volta fa ancora più male. Perché? 

Beh, è semplice. 

Perché è sconosciuto. Ci sei passato tante volte e ci sei rialito altrettante, ma eri mai caduto così in basso? No, non era mai successo. 

Il panico prende il controllo e non ti senti più padrone di te stesso fino a che, ad un certo punto, non realizzi. 

Realizzi la verità, e allora tutto appare più limpido, più chiaro. Pensi "ma perché non ci sono arrivato prima?" ma la risposta è così semplice che appena fatta quella domanda la dai subito per scontata: non potevi.

Ed è proprio lì, in mezzo alle grida del silenzio, in mezzo alle lacrime dei tuoi pensieri e il silenzio del caos dentro di te che, finalmente, riesci a constatare ciò che ti maledici per non aver realizzato prima.

Cioè che, molto semplicemente, padrone di te stesso non ci sei mai stato.

Rifletti, avanti. 

Ritorna a quel primo taglio, alla prima goccia di sangue, al primo bruciore e alle prime lacrime. 

Ritorna, però, anche alla prima soddisfazione, al primo sorriso, al primo sospiro di sollievo, al primo cuore più leggero. 

E ora pensa: non te ne sei mai pentito davvero. 

Ed è stato proprio in quel preciso istante che hai perso il controllo.

Perché, infondo, è bastata una frazione di secondo.

Ebbene, sì, è successo. Sono crollata davvero e ora sto raccogliendo i pezzi di qualcosa che è, ormai, già diventato irrecuperabile.

Il fatto che sia successo così in fretta mi mette un'ansia pazzesca.

Chi sono io?

Già, bella domanda. Me la sono fatta così tante volte senza mai ottenere una risposta soddisfacente che ho cominciato seriamente a dubitare di essere davvero "qualcuno".

Un concetto così astratto che ancora oggi fatico a comprenderlo. 

Infondo, c'è un solo modo per scoprirlo. 

E fu così che mi isolai completamente. 

Allontanandomi da tutto e da tutti, fu solo così che riuscii a comprendere il vero significato della parola "solitudine".

Non è quello stupido alone di mistero che avvolge i protagonisti dei film o dei libri, non è un capriccio fatto per infastidire qualcuno che ti ha fatto un torto.

No, nulla di nemmeno simile a questo.

"Solitudine".

Solitudine, è guardare le persone che hai intorno che piano piano cominciano semplicemente a dimenticarsi di te. 

Solitudine, è non far sentire la propria presenza, in modo da non far notare la propria assenza. 

Solitudine, è la condizione psicologica per cui, la maggior parte delle persone che ne soffrono e dicono di stare bene, finiscono con l'aprire la finestra di quel dannato quarto piano del proprio palazzo e scegliere di dire "Finisce qui, con me e con te. Siamo noi a dire basta"

Ma la verità è che chi ha detto "basta" non sono due persone.

Sono una persona e, beh, un fottuto aiuto che non è mai stato dato.

Ma poi arrivò quel giorno, quel giorno che io chiamai salvezza, speranza. 

Quel giorno che mi illuse dandomi speranza, quel giorno che mi tolse le ultime possibilità di salvezza.

Quel giorno. 

Quello che mi uccise pugnalandomi al cuore con una lama di illusioni.

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